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12 Aprile 2023

Il Parlamento approva la proposta sull’equo compenso che diventa legge

Il provvedimento passa l'esame del Parlamento ed è ora atteso per la pubblicazione in Gazzetta ufficiale

È stato approvato in via definitiva alla Camera, oggi 12 aprile, il provvedimento che interviene sulla disciplina dell’equo compenso quando il committente del professionista è una pubblica amministrazione, una società partecipata dalla Pa, un’impresa bancaria o assicurativa (e loro controllate e mandatarie), nonché un’azienda di grandi dimensioni, ossia con più di 50 lavoratori o con ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.

In sintesi, il principio dell’equo compenso trova ora un campo di applicazione un po’ più ampio. Va ricordato, infatti, che nel 2017, con il Dl Fiscale e la legge di Bilancio 2018, si era tentato di porre rimedio a situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti “forti”, quali le imprese bancarie e assicurative nonché le imprese diverse dalle Pmi. Per quanto riguarda la committenza, la nuova legge conferma l’applicazione del principio dell’equo compenso anche alla Pa, alle imprese bancarie e assicurative, ma va anche a delineare le caratteristiche che l’impresa deve avere per poter essere considerata, nei confronti del professionista, un contraente “forte”.

Ecco allora che le tutele previste dalle nuove disposizioni si applicano, non solo se il committente è una Pa, o se la prestazione è richiesta da un’impresa bancaria o assicurativa, ma anche se il cliente è un’impresa che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico ha occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o ha presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Ed è qui la prima novità: si amplia il campo di applicazione del principio dell’equo compenso, in quanto il Dl Fiscale escludeva i clienti rientranti nelle categorie delle microimprese o delle Pmi, ossia, secondo le raccomandazioni europee, quelle imprese con meno di 250 occupati, con fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro oppure con totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro.

Il compenso equo rispetta i parametri

Dunque, il compenso deve essere equo se il professionista ha come committente una pubblica amministrazione, una società partecipata dalla Pa, un’impresa bancaria o assicurativa (e loro controllate e mandatarie), o un’impresa con più di 50 lavoratori o con ricavi superiori a 10 milioni di euro. Almeno, questo è il principio messo nero su bianco. Ma, cosa la legge intende per compenso equo? Analogamente a quanto aveva già affermato il Dl Fiscale (Dl 148 del 2017), è ritenuto equo il compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai parametri ministeriali.

Quando clausole e pattuizioni sono da considerarsi nulle

Tracciato l’identikit dei committenti su cui agisce il principio dell’equo compenso (da un’analisi del Sole 24 Ore emerge che si tratterebbe di poco meno di 80mila aziende e pubbliche amministrazioni), la nuova legge sancisce la nullità delle pattuizioni di compensi inferiori a quelli stabiliti con i Dm parametri insieme a diverse clausole presenti nei contratti qualora risultino molto svantaggiose per il professionista. Sono considerate nulle le pattuizioni, ad esempio, che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o gli impongano l’anticipazione di spese, o che, comunque, attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto.

Tante le clausole elencate nella legge, che, se presenti nel contratto, devono ritenersi nulle. Ad esempio, non può essere attribuita al cliente la facoltà di chiedere prestazioni aggiuntive al professionista pretendendo che siano eseguite a titolo gratuito. Nulle anche quelle clausole che prevedono la rinuncia al rimborso delle spese da parte del professionista o termini di pagamento superiori a 60 giorni dal ricevimento della fattura. In ogni caso, la nullità della singola clausola non inficia l’intero contratto.

L’azione innanzi al tribunale

Inoltre, l’azione per far valere la nullità della pattuizione (accordo di qualsiasi tipo, convenzione, contratto, esito della gara, affidamento, predisposizione di un elenco di fiduciari etc.) e chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso può essere promossa dal professionista innanzi al tribunale del luogo in cui egli ha la residenza o il domicilio. Il tribunale procede poi alla rideterminazione del compenso secondo i parametri ministeriali in vigore e tenendo conto dell’opera effettivamente prestata.

Il tribunale, se necessario, può chiedere al professionista di acquisire dall’Ordine o dal Collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che – afferma la legge – «costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull’urgenza e sul pregio dell’attività prestata, sull’importanza, sulla natura, sulla difficoltà e sul valore dell’affare, sulle condizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate».

Il coinvolgimento di Consigli e Ordini professionali

La legge affida diversi compiti anche ai Consigli nazionali degli Ordini o Collegi. Questi sono coinvolti nell’aggiornamento dei parametri per il calcolo delle prestazioni professionali, che deve essere svolto ogni due anni. Inoltre, sono legittimati ad adire l’autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso.

Inoltre, la legge prevede che per ciascuna professione siano introdotte norme deontologiche ad hoc per sanzionare il professionista nel caso in cui violi le disposizioni sull’equo compenso. Dovranno essere previste sanzioni anche per il professionista che, nel predisporre il contenuto della convenzione, del contratto o dell’accordo, ometta di esplicitare alla controparte che il compenso dovrà comunque rispettare la disciplina sull’equo compenso.

Si prevede, inoltre, la possibilità che il parere di congruità emesso dall’Ordine o dal Collegio, in alternativa alle procedure di ingiunzione di pagamento (artt. 633 e ss cp.c), acquisti l’efficacia di titolo esecutivo per il professionista, se rilasciato nel rispetto delle procedure, e se il debitore non ha proposto opposizione ai sensi dell’art. 281-undecies c.p.c., entro 40 giorni dalla notifica del parere stesso.

Modelli standard di convenzione

Le imprese potranno adottare modelli standard di convenzione, concordati con i Consigli nazionali degli Ordini o Collegi professionali. I compensi in essi previsti si presumono equi fino a prova contraria.

Nasce l’Osservatorio sull’equo compenso

La legge istituisce, presso il ministero della Giustizia, l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso, con il compito di vigilare sul rispetto della legge, esprimere pareri o formulare proposte sugli atti normativi che intervengono sui criteri di determinazione dell’equo compenso. All’Osservatorio va anche il compito di segnalare al ministro della Giustizia pratiche elusive delle nuove disposizioni.

Nominato per tre anni con decreto del ministro della Giustizia, dovrà essere composto da: un rappresentante designato dal ministero del Lavoro, un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli Ordini professionali e da due rappresentanti designati dal ministero dello Sviluppo economico tra le associazioni professionali. Ai componenti non spetta alcun compenso, gettone, rimborso spese o altro emolumento.

Escluse le convenzioni in corso

Le disposizioni della nuova legge non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della sua data di entrata in vigore.

di Mariagrazia Barletta

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