Ogni catastrofe comporta ferite fisiche, nel territorio e negli edifici, e poi ci sono, non meno importanti, quelle impalpabili, ma indelebili, lasciate nelle persone che vivono il dramma della distruzione e della perdita dei propri cari e delle proprie radici. In che modo i tecnici, tra cui gli architetti, possono aiutare nel post-emergenza, badando alla propria incolumità e a quella delle comunità colpite, preparandosi a dare un contributo tecnico e, al contempo, mettendosi al riparo dalle forti emozioni da cui inevitabilmente si viene travolti una volta che si è sul campo? A questa complessa domanda hanno cercato di rispondere, da diversi punti di vista, i relatori intervenuti al seminario, organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma e provincia attraverso la commissione Protezione Civile, dedicato all’emergenza post-terremoto.
Rosa Maria Filice del nucleo Emergenza della commissione Protezione Civile dell’OAR ha coordinato il seminario che si è aperto con un tributo, a più voci, all’encomiabile operato di Pasquale Zaffina, consigliere e coordinatore del gruppo Protezione civile dell’OAR, scomparso lo scorso agosto (qui il ricordo dell’OAR). E forse, è proprio una frase di Pasquale Zaffina, ricordata durante il seminario dal figlio Carlo, a sintetizzare quale dovrebbe essere l’impegno di ogni architetto: «Facciamo in modo – diceva Zaffina – che la prevenzione si espanda attraverso noi stessi come portatori sani di cultura di protezione civile. Escogitiamo modi nuovi per contagiare i nostri colleghi, specialmente quelli più giovani e via via la società, perché la sicurezza appartiene a tutti e noi che vogliamo occuparcene ne vogliamo diventare protagonisti».
Il tributo a Pasquale Zaffina
Alessandro Panci, presidente dell’OAR, ha ricordato l’instancabile impegno di Zaffina indirizzato alla diffusione della cultura della prevenzione, sfociata anche in numerose iniziative promosse dall’Ordine per sensibilizzare la popolazione, i colleghi e le istituzioni. «Ho avuto modo di conoscerlo – ricorda Panci – dopo il terremoto dell’Aquila. In tutte le iniziative dell’Ordine è stata una persona costantemente presente, che ha dedicato al gruppo di Protezione civile tante energie, tant’è che il gruppo nasce grazie al suo lavoro e al suo saper interloquire con tutte le realtà, tra cui la Protezione Civile e i Vigili del Fuoco. È sempre stato presente e nel caso dell’Aquila ha guidato gli architetti italiani, oltre a quelli del gruppo romano, e lo ha fatto considerando non solo l’aspetto tecnico, ma anche quello psicologico». «Pasquale Zaffina è e rimarrà – conclude il presidente – un punto di riferimento importante per il nostro Ordine, per tutto quello che è stato e che sarà e per quanto mi riguarda rimarrà nel mio cuore come un grande amico».
La testimonianza più intima arriva dal figlio di Pasquale Zaffina, Carlo, anche lui attivamente impegnato nelle attività dell’OAR come membro del nucleo Emergenza della commissione Protezione Civile. «Era una persona generosa, responsabile e disinteressata. Aveva – ricorda – un forte senso delle istituzioni ed era pronto a mettersi in gioco per l’interesse collettivo. Un importante risultato che lo ha soddisfatto particolarmente è stata l’istituzione da parte dell’OAR di una commissione che ha riportato in primo piano il tema della Protezione civile e in particolare la prevenzione. Grazie alla sua tenacia, costanza e perseveranza si è costituita un’organizzazione strutturata che lui ha voluto fortemente, caratterizzata da un percorso chiaro e con obiettivi concreti. La commissione è stata divisa in cinque nuclei intesi come veri e propri gruppi di lavoro capaci di sviluppare ricerche e progetti in piena autonomia e a titolo gratuito».
Ricorda il grande impegno di Pasquale Zaffina, Giambattista Pagliarulo, responsabile del nucleo Emergenza della commissione Protezione civile dell’OAR. «Ho conosciuto Pasquale Zaffina più di 40 anni fa in occasione del terremoto dell’Irpinia, all’epoca non c’erano schede di rilevamento, si brancolava un po’ nel buio su come agire, con lui siamo riusciti a organizzare una procedura prendendo contatti con l’Ordine degli architetti, siamo riusciti a presentarci, anche se non ufficialmente, come architetti della Protezione Civile e dall’ora Pasquale si è sempre speso totalmente su questo campo».
Ora l’impegno dell’Ordine e della commissione di Protezione civile è quello di organizzare nuovi corsi che formino gli architetti per il rilevamento dei danni attraverso le schede Aedes. Da qui la richiesta di supporto rivolta direttamente da Pagliarulo alla Protezione civile, rappresentata da Cosmo Mercuri dell’ufficio Attività per il superamento dell’emergenza del dipartimento della Protezione Civile. Mercuri si è soffermato proprio sull’importanza della formazione dei tecnici abilitati al rilievo dei danni, riconoscendo l’importante ruolo dei professionisti come «risorsa da utilizzare al meglio soprattutto per avviare al più presto la ripresa economica e la ricostruzione» dopo un sisma. Un impegno testimoniato anche dai numeri: sono stati – riferisce ancora Mercuri – «200mila i sopralluoghi, tra quelli speditivi e quelli fatti con le schede Aedes, nel Centro Italia; 70mila nel terremoto dell’Aquila e 22mila in terremoti minori, ma non per vittime ed altre problematiche catastrofale, come quello del Molise».
Per intervenire nel post-emergenza servono anche le non-technical skills
Come applicare il Dlgs 81 del 2008, tenendo conto delle particolari esigenze che caratterizzano le attività e gli interventi dei volontari di protezione civile, lo ha spiegato Cipriano Bortolato, architetto, coordinatore Protezione Civile della federazione degli architetti del Veneto, soffermandosi sulla figura del professionista volontario che si occupa del rilevamento dei danni. «Il volontario deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti», ricorda Bortolato. Ed è dunque fondamentale che il professionista valuti i rischi cui può essere esposto per non incorrere in incidenti o infortuni, tenendo conto dei pericoli che vanno messi in relazione con le specifiche condizioni ambientali e operative e considerando l’eventuale uso di attrezzature e macchine.
È evidente – prosegue Bortolato – che «l’errore umano non può essere definitivamente eliminato, ma è quantomeno possibile giungere alla sua individuazione e minimizzarlo favorendo la diffusione di competenze non tecniche». Entrano così in gioco le non- technical skills, ossia «le abilità cognitive, comportamentali e interpersonali che non sono specifiche dell’expertise tecnica di una professione, ma sono ugualmente importanti ai fini della riuscita delle pratiche operative nel massimo della sicurezza». Tra queste: la consapevolezza situazionale, ossia la «capacità di raccogliere le informazioni e di interpretarle correttamente; questa competenza – riferisce sempre Bortolato -, è caratterizzata, inoltre, dalla capacità di anticipare i possibili scenari futuri, è un prerequisito indispensabile per la sicurezza in ambienti complessi e dinamici e, non a caso, è indicata come fattore causale in numerosi incidenti. E poi, le capacità di comunicare informazioni in modo chiaro e preciso; di decision-making, che ci permette di raggiungere un giudizio o scegliere un’opzione, di definire i problemi e considerare le diverse opzioni. Bortolato cita anche la capacità di lavorare in team, le attitudini alla leadership, la gestione dello stress e la resistenza alla fatica.
L’importante lavoro dei rilevatori del danno
Porta la sua esperienza di rilievo post-sisma vissuta nel Centro Italia in un intenso intero anno (al netto di qualche licenza) come ufficiale del Corpo ingegneri della riserva selezionata, Addolorata Bennio, architetto, che dopo aver ricordato le peculiarità e criticità del terribile e indimenticato sisma dell’Irpinia del 1980, si sofferma sul rilievo del danno praticato attraverso le schede Aedes. «Qualsiasi tecnico dotato di una buona esperienza, di buone conoscenze – afferma -, è in grado di definire se un fabbricato che ha subìto l’azione del sisma è ancora in grado di garantire l’incolumità degli occupanti. Ma l’importante è fornire queste informazioni in modo uniforme, quindi quello che va metabolizzato è il linguaggio Aedes che deve essere condiviso e comprensibile a tutti gli operatori che andranno a utilizzare questa scheda». E, la valutazione dei danni è fondamentale, perché consente alle popolazioni di rientrare, se è possibile, nelle proprie case e di quantificare subito l’esigenza di alloggi temporanei.
Forte della sua esperienza sul campo, offre consigli pratici, utili ai tecnici rilevatori dei danni, Elisabetta Mioni, architetto ed esperta in Protezione civile. L’architetto lo fa analizzando tutte le fasi che vanno dalla chiamata del volontario al momento in cui il professionista decide di andare sul campo fino alle fasi di rilievo e di consegna della documentazione ai Coc o ai responsabili sul territorio. Un lavoro che si effettua sotto stress, in condizioni critiche e non ordinarie. Per questo «bisogna sempre essere convinti di poterlo affrontare. Ad esempio, è bene essere in perfette condizioni fisiche» – consiglia Mioni – «in modo da non costituire un problema in un contesto emergenziale».
La catastrofe fisica ne genera un’altra: quella emotiva
Spiega quali sono le ripercussioni che una catastrofe come quella di un terremoto ha sulla sfera emotiva e psicologica delle persone che ne vivono il dramma, Michele Grano. Psicologo dell’emergenza per l’associazione Alfredo Rampi, interviene per supportare le persone e le comunità che hanno vissuto eventi di natura emergenziale.
«L’aspetto fisico e tecnico e quello umano-psichico si rispecchiano e si intersecano. L’emergenza ambientale, ma in generale tutte le emergenze, trova sempre una sua specifica corrispondenza nell’emergenza della mente. Al terremoto che distrugge le città è sempre connesso un sisma più violento: quello che avviene dentro», riferisce Grano. «La paura spesso riportata dalle persone – prosegue – è quella di impazzire e di non riconoscersi più perché si è vissuta una situazione abnorme».
«Quelle emozioni – avverte lo psicologo – si attaccano dentro di noi, bisogna prepararsi e avere skills non tecniche e anche una preparazione emotiva». «Io e la mia squadra di psicologi abbiamo fatto nostro il motto di Cosimo dei Medici, “festina lente”, che potrebbe essere di tutti i tecnici che intervengono nell’emergenza: noi dobbiamo essere capaci di essere solleciti e pronti rispetto alle richieste, ma dobbiamo farlo lentamente. Questo ossimoro è la cifra di chi agisce in emergenza che deve essere pronto, saper improvvisare, ma con una preparazione importante alle spalle e la capacità di non agire subito, perché è necessario mantenere uno sguardo che ci permetta di avere una prospettiva più ampia, metterci in autoprotezione sia dal punto di vista fisico, valutando i rischi, ma anche dal punto di vista psichico».
Passando ad analizzare la fase di ricostruzione, Grano invita al dialogo: «Nella ricostruzione – chiosa -, il mondo tecnico e psicologico dovrebbero dialogare e trovare soluzioni congiunte per una ricostruzione adeguata e rispettosa dei bisogni delle persone e delle comunità».