La normativa c’è e tutela le persone con disabilità in ogni ambito. Ma, esiste comunque una distanza abissale tra la realtà e quanto scritto in commi e delibere: i diritti delle persone con disabilità sono trascurati e i contenuti della normativa spesso restano nient’altro che buoni propositi. Così, le esigenze e il diritto alla piena partecipazione delle persone con disabilità alla vita di comunità sono ampiamente trascurati. Non mancano, però, le buone pratiche a cui guardare. Dell’aspirazione alla città inclusiva si è parlato al convegno Costruire la prossimità per tutti, tenutosi martedì 6 giugno al complesso monumentale dell’Acquario Romano, sede dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia.
Come sottolineato da Alessandro Panci, presidente dell’OAR, la giornata approfondisce le riflessioni sul ruolo sociale degli architetti, che costituisce il fil rouge delle giornate (6 – 15 giugno) attraverso cui l’OAR celebra il centenario della legge 1395 del 24 giugno 1923 che ha istituito gli Ordini e ha introdotto tutele per il titolo e l’esercizio professionale degli architetti e degli ingegneri. «Un ruolo, quello dell’architetto – sottolinea Panci – di grande rilievo, che si concretizza nel plasmare i luoghi del vivere, traducendo in spazio le esigenze e le aspirazioni di individui e gruppi sociali e nel puntare alla realizzazione e alla tutela degli interessi generali». E in questo quadro, i temi della progettazione inclusiva, dell’universal design, hanno un valore elevatissimo che si lega ai diritti delle persone con disabilità, e non solo. Durante la giornata è stato anche ricordato come sia cambiato il concetto di disabilità. Con l’approvazione, da parte dell’Oms della classificazione Icf, la disabilità, infatti, non è più concepita solo come una riduzione delle capacità funzionali generate da una malattia o da una menomazione, ma come la conseguenza dell’interazione tra condizioni di salute e fattori contestuali, ossia ambientali e personali. Di questo l’architettura e gli architetti devono tener conto.
La giornata si inserisce – come ha ricordato Panci – nelle tante iniziative che da tempo impegnano le Commissioni dell’OAR, Accessibilità e Plans (Portiamo l’architettura nelle scuole). La prima è impegnata attivamente per coinvolgere la comunità professionale e il pubblico in un percorso di formazione, sensibilizzazione e analisi del quadro normativo-procedurale, con l’obiettivo di promuovere l’universal design e la cultura dell’accessibilità; la seconda lavora nelle scuole, diffondendo la cultura della città inclusiva, promuovendo la cultura architettonica e la comprensione dell’ambiente per contrastare il degrado fisico e sociale dei territori.
«Questo convegno è un primo passo che mette a frutto il lavoro fatto in circa un anno e mezzo di consiliatura, in collaborazione con l’amministrazione pubblica. Un lavoro che punta a far sì che la politica dei Peba – acronimo che sarebbe da aggiornare perché bisogna far riferimento non solo alle barriere architettoniche, bensì alla città inclusiva – possa essere finalmente sviluppata», ha sottolineato Alice Buzzone, consigliera OAR e delegata dell’Osservatorio Accessibilità. «L’idea che l’Osservatorio Accessibilità vuole portare avanti – ha aggiunto – è quella di formare i tecnici, generare occasioni di lavoro, con l’obiettivo ultimo di incidere sulla qualità degli spazi». «Il nostro obiettivo, oggi, è quello di fare un passo avanti affinché non si ripetano occasioni mancate», come quella dei Peba che sconta un grave ritardo. Sarebbe, dunque, auspicabile – ha ribadito la consigliera – pensare ai Peba anche come ad un’occasione per avviare «una rivoluzione culturale che coinvolga la comunità».
Giuseppe Parisio, membro della commissione Plans, ha ricordato il lavoro svolto, anche con passeggiate inclusive, per sensibilizzare i ragazzi delle scuole. Questi hanno percorso brani di città sperimentando le difficoltà e i disagi vissuti da chi ha delle disabilità. Parisio ha ricordato, inoltre, che le disabilità possono anche essere temporali ed interessare chiunque (ad esempio a seguito di un incidente) o legate all’età. Un principio che è basilare nell’universal design.
La ministra Locatelli: «Le norme ci sono, ma non bastano»
Il lavoro dell’OAR ha incrociato l’interesse della ministra per le disabilità, Alessandra Locatelli con cui l’Ordine ha avviato un proficuo dialogo. La ministra, intervenuta in collegamento, ha mostrato apprezzamento per l’attività dell’Oar volta a «stimolare l’elaborazione dei Peba da parte dei Comuni. Le norme ci sono, ma non sempre bastano. Io credo che serva – ha continuato la ministra – unire la parte normativa con la capacità di saper cogliere un momento di cambiamento, di transizione, forse difficile per certi versi, soprattutto dal punto di vista economico e sociale, ma che ci offre l’opportunità di accelerare quello che fino a oggi è stato fin troppo trascurato e rallentato, ossia la centralità dell’accessibilità universale per la vita di tutti». L’invito, rivolto anche ai professionisti, è quello di «non limitarsi al tema dell’accessibilità, ma di considerare la fruibilità degli spazi, perché non possiamo – afferma – limitare l’attenzione alla possibilità di accedere alle strutture, pubbliche o private: le persone ci chiedono di essere protagoniste del loro futuro e delle loro scelte». «Bisogna interrogarsi sulle reali possibilità che le persone hanno di muoversi autonomamente e godere degli spazi in cui fanno ingresso, e questo indipendentemente dal tipo di disabilità fisica, sensoriale o intellettiva», chiosa la ministra.
L’inclusione riguarda anche i luoghi di lavoro
E, il tema dell’inclusività ha tanti punti di approdo. Lo ha ricordato Daniela Freda del dipartimento Innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti ed insediamenti antropici dell’Inail. Un dipartimento di ricerca che promuove metodologie, tecnologie e prodotti finalizzati a rispondere a prassi normative e a procedure per la valutazione e gestione dei rischi negli ambienti di lavoro. Nel piano di attività di ricerca del dipartimento vi è anche lo studio di soluzioni innovative per spazi sicuri, sostenibili e inclusivi. «La parola inclusione è strettamente legata al concetto di sicurezza. Ad esempio, la possibilità di usare, di fruire di un prodotto nella maniera più semplice, riducendo lo sforzo fisico e l’impegno cognitivo necessari, permette di ridurre la probabilità di incorrere in errori e quindi il rischio di infortunio», ha sottolineato Daniela Freda, ricordando anche che «sui temi dell’accessibilità e dell’inclusione vi è un accordo di collaborazione tra l’Inail e l’OAR, volto ad analizzare specifici ambienti di lavoro con attenzione al concetto di accessibilità e a quello più ampio di inclusione. L’obiettivo è – ha precisato – quello di individuare le barriere fisiche, sensoriali e cognitive, insieme ai requisiti prestazionali di questi ambienti, nonché alle soluzioni architettoniche, progettuali e tecnologiche per garantire pari diritti a tutti i lavoratori.
Cosa sono i Peba e a che punto siamo
Ma cosa sono i Peba? A ricordarlo è Enrico Ricci, membro dell’Osservatorio Accessibilità dell’OAR. «I Piani per l’eliminazione delle barriere architettoniche nascono da una disposizione che è antecedente alla nostra legge 13 del 1989. La legge 41 del 1986 è quella che dà i natali ai Peba». «La cosa che interessa sapere è perché una legge così importante, così determinante, nata nel 1986, ha subìto tutti i ritardi che si sono verificati», ha aggiunto l’architetto. «Il Peba – ha sottolineato – risale a princìpi che sono inconfutabili». E sono i princìpi che ritroviamo nella nostra Costituzione. Ricci ricorda l’articolo 2 e 3. «La Costituzione ci dice di rimuovere le barriere, intendendo con questo termine tutto ciò che ostacola il progresso dell’uomo nella società», commenta Ricci. Nella legge sui Peba del 1986 era riportato che «qualora non avessero fatto ricorso ai Peba, iniziando un percorso entro un anno, i Comuni avrebbero dovuto essere commissariati dalla propria regione», ricorda ancora Ricci. E, ad oggi, le amministrazioni inadempienti sono tantissime, l’attuazione di quella legge sconta, infatti, ritardi inaccettabili.
Lucia Martincigh, componente dell’Osservatorio Accessibilità OAR, ricorda che dal 1986 anche i concetti hanno conosciuto un’importante evoluzione. «Intanto, – sottolinea – il discorso sull’accessibilità è diventato un discorso di inclusività». Dunque, si punta a «offrire una città inclusiva a tutti, indipendentemente dalle loro condizioni. Ed è chiaro che questo – precisa l’architetto – apre un vasto ventaglio di prestazioni che devono essere offerte, legate in buona parte all’accessibilità». Quanto ai destinatari dei Peba, anche in questo caso bisogna considerare che se la legge sui Peba «parlava di persone disabili, oggi questo concetto si è evoluto in quello di utenza ampliata». «Rispetto ad allora oggi si considerano molte più categorie di barriere. E anche le finalità del piano sono più ampie: inizialmente il Peba contemplava solo alcune tipologie di edifici ed alcuni segmenti di spazio, ora punta a includere intere zone urbane. Questa evoluzione è stata appoggiata da moltissime strategie varate a livello europeo, che hanno avuto ricadute più o meno dirette sui vari Paesi membri». Martincigh cita l’Agenda 2030 dell’Onu che ci indirizza verso «l’accesso universale alla città inclusiva, sicura, duratura e sostenibile».
Le linee guida del Lazio e il registro telematico
Daniela Orlandi, membro dell’Osservatorio Accessibilità dell’OAR si sofferma sulla normativa regionale. «Tutto – ricorda – è partito nel 2018 quando la regione ha inserito un articolo nuovo nella legge 74 del 1989. Ha così previsto il registro telematico regionale per i piani di eliminazione delle barriere architettoniche, dando all’assessorato competente il compito di istituirlo al fine di monitorare e promuovere l’adozione dei Peba. Registro che dovrebbe raccogliere più informazioni: l’atto amministrativo di adozione, il cronoprogramma degli interventi, la data di aggiornamento e le risorse stanziate. In caso di omessa adozione del piano la norma prevede la messa in mora da parte dell’amministrazione regionale e la nomina di un commissario ad acta», riferisce ancora Daniela Orlandi. «L’assessorato in materia dei lavori pubblici – spiega – dovrebbe trasmettere alla commissione consiliare competente una relazione con l’elenco delle amministrazioni inadempienti, pubblicandola anche sul proprio sito. La regione deve, inoltre, assicurare la verifica e il controllo da parte dei cittadini in merito all’adozione e all’aggiornamento dei Peba. A tal fine il registro dovrebbe essere pubblicato sul sito istituzionale della Regione». Ma, a quanto pare, la costruzione del registro deve ancora essere realizzata. Utile il riferimento alle Linee guida per l’elaborazione dei Peba, emanate con deliberazione della regione Lazio dell’11 febbraio 2020.
Le barriere architettoniche e gli esercizi commerciali: buone pratiche a Bologna e Milano
Non solo criticità: il convegno è stato anche un’occasione per guardare alle buone pratiche. Ne è un esempio la progettazione di dieci percorsi accessibili realizzati a Milano in occasione dell’Expo 2015. Percorsi che si svolgono a raggiera a partire dal centro e che hanno visto il coinvolgimento attivo del terzo settore. A raccontarlo è Marco Rasconi, presidente Uildm. Un’esperienza premiata a Bruxelles, che ha avuto il merito di sensibilizzare l’amministrazione locale, di generare un nuovo know-how, lasciando in eredità la presenza, all’interno del Comune, di un referente per l’accessibilità, prima inesistente. Sempre a Milano sono stati realizzati nove parchi gioco inclusivi grazie ad una raccolta fondi e alla partecipazione della Fondazione Cariplo. La terza esperienza raccontata da Rasconi riguarda gli esercizi commerciali aperti al pubblico, sempre realizzata a Milano in collaborazione con il mondo associativo che ha messo a disposizione il suo know-how.
Un tema, quello dell’eliminazione delle barriere negli esercizi commerciali che è affrontato anche da Ilaria Faranda, dottoranda in diritto e studi organizzativi per le persone con disabilità, che sta portando avanti una ricerca sul regolamento edilizio di Bologna. Si tratta di capire come rendere accessibili i luoghi privati aperti al pubblico, prevalentemente gli esercizi commerciali. La ricerca ha rilevato che a «Bologna i luoghi aperti al pubblico dotati di un ingresso accessibile alle persone in carrozzina sono solo il 28%. E di questi il 54% presenta un gradino di ingresso inferiore a 10 centimetri; quindi, si potrebbe superare con adattamenti minimi», riferisce la dottoranda. Dati che danno la misura di quanto il problema delle barriere sia «soprattutto culturale e legato allo scarso interesse verso il tema», sottolinea Faranda. «Il Comune di Bologna – ha raccontato – ha fatto una cosa interessante: è stato aggiornato il regolamento edilizio con un allegato che viene chiamato “linee guida per la visitabilità degli edifici aperti al pubblico”, che introduce l’obbligo di adeguamento, entro due anni dalla sua entrata in vigore, degli ingressi di tutti i luoghi aperti al pubblico, che devono, dunque, essere accessibili».
Carmelo Comisi, presidente del Disability Pride, conferma la necessità di colmare un gap culturale, denunciando lo scarso interesse da parte dei titolari di esercizi commerciali a superare la barriera del gradino d’ingresso ai loro locali. Eppure, afferma, «basterebbe acquistare una rampetta che costa 40 euro». Ludovico Sargolini, delegato di zona dell’Oar per Monterotondo, racconta il progetto realizzato da un collettivo di architetti che ha condotto alla realizzazione, a Monterotondo, di un parco inclusivo per i bambini da zero a sei anni. «La figura dell’architetto – ha sottolineato – ha funzionato da catalizzatore di iniziative dal basso, tutto è nato dalla associazioni di categoria, dai comitati di quartiere, attivati grazie al dialogo e al lavoro di ascolto portato avanti dai progettisti».
La distanza tra realtà e normativa. In Italia 3,5 milioni di persone con disabilità
Alessandro Gerardi, avvocato, in rappresentanza della associazione Luca Coscioni, ha messo in evidenza lo scostamento che esiste tra normativa e realtà. «Noi, come associazione, ci scontriamo quotidianamente con una distanza enorme tra la realtà e il piano normativo. In Italia, la legge, soprattutto dopo la convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, riconosce in ogni settore e ambito i diritti delle persone con disabilità, li tutela, li promuove e li garantisce. E questa è una precondizione per esercitare una serie di diritti: alla salute, all’istruzione, alla vita di relazione, alla mobilità, all’inclusione sociale. Tutti questi diritti – ha aggiunto – non possono essere esercitati se si vive in un contesto urbano inaccessibile. La legge riconosce questi diritti, ma la realtà è completamente diversa: secondo l’Istat, in Italia ci sono circa 3,5 milioni di persone con disabilità, secondo altri istituti statistici sarebbero più di 4 milioni; quindi, in media, in Italia per ogni sei persone abili c’è una persona con disabilità. Nella realtà quotidiana, però, le persone con disabilità non le incontriamo perché sono costrette, in molti casi, a rimanere dentro casa», ha sottolineato l’avvocato.
Attenzione a non creare realtà “ghettizzanti”
«Se vogliamo aspirare ad avere una città più inclusiva non si può non passare per l’eliminazione delle barriere architettoniche, sensoriali, comunicative e cognitive», ha affermato Aldina Ulrlira, presidente dell’assemblea della Consulta cittadina permanente per i diritti delle persone con disabilità, che mette anche in guardia dal rischio di «creare realtà “ghettizzanti” a partire dall’azione volta al superamento delle barriere architettoniche», è il caso dei posti per persone disabili che, durante eventi e spettacoli, sono relegate in aree laterali senza la possibilità di assistere allo spettacolo in compagnia degli amici “abili”.
Massimiliano Maselli, assessore ai Servizi sociali, disabilità, terzo settore, servizi alla persona della Regione Lazio rivendica, tra le altre iniziative messe in campo, «l’approvazione in Giunta della proposta di legge sulla figura del garante dei disabili, che mancava». Andrea Catarci, assessore alle Politiche del personale, al decentramento, partecipazione e servizi al territorio per la Città dei 15 minuti, afferma che «guadagnare pezzi di accessibilità nella città deve essere un assillo», seppure nella consapevolezza dell’unicità della città e degli ostacoli da affrontare. «Un assillo – dice – che deve guidarci nel ragionare sulle innovazioni da introdurre con la programmazione ordinaria, ma anche sfruttando l’utilizzo delle risorse straordinarie, a partire dal Pnrr, dagli eventi del Giubileo e, si spera, anche dell’Expo». Guglielmo Calcerano, assessore al Patrimonio e lavori pubblici del X Municipio, racconta la grande difficoltà incontrata nel percorso verso l’elaborazione del Peba, legata alla scarsa capacità amministrativa del Municipio. «Il Peba – riferisce – è un documento veramente complesso, in questo momento pensare che una quota del nostro personale possa essere impegnata in pianta stabile all’elaborazione di questo piano non credo sia realistico». Da qui l’esigenza di «mettere a gara la progettazione del Peba, sempre nell’ambito di un percorso partecipato».