«La circolare è un’evidente marcia indietro del Governo e mostra che le nostre obiezioni erano fondate. Il ministero lo fa con una circolare e non – come sarebbe stato necessario – con legge, ma rappresenta comunque un importante passo avanti», sono le parole di Giuseppe Busia, presedente dell’Anac, affidate ad un comunicato pubblicato sul sito dell’Authority. Le parole del presidente dell’Anticorruzione fanno riferimento alla discussa (e poco chiara) circolare con cui il ministero delle Infrastrutture ha provato a innovare quanto affermato nel Codice degli Appalti riguardo alle procedure da seguire negli affidamenti di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie.
Il nuovo Codice degli appalti (Dlgs 36 del 2023, art. 50) – va ricordato – ha stabilito che per lavori al di sotto dei 150mila euro e per forniture e servizi, compresi quelli di architettura e ingegneria, di importo inferiore a 140mila euro si procede per affidamento diretto. Per lavori di importo pari o superiore a 150mila euro e inferiore alla soglia comunitaria (attualmente di 5,382 milioni di euro), nonché per le forniture e i servizi da 140mila euro e fino alla soglia Ue (215mila euro per le procedure bandite da autorità non governative) si impiega la procedura negoziata senza bando. Viene fatta salva la possibilità – recita il Codice – di scegliere le procedure ordinarie (quelle sottoposte a obblighi pubblicitari e che consentono un’ampia partecipazione) per i lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie comunitarie.
Dunque, l’articolo 50 aveva suscitato numerose perplessità anche da parte dell’Ue, oltre che dall’Anac che lo aveva duramente criticato, giudicandolo limitativo del confronto concorrenziale. Fondamentale poi, per le stazioni appaltanti, sapere se nel sottosoglia – al netto dei lavori rientranti nel range che va dal milione di euro alle soglie comunitarie – sia possibile scegliere le procedure ordinarie. Il ministero delle Infrastrutture ha allora diramato un’apposita circolare, in cui più che chiarire i contenuti dell’articolo 50 ha fatto marcia indietro, aprendo alla possibilità di ricorso alla procedura ordinaria nel sottosoglia.
«Si ribadisce – si legge nella circolare – che le disposizioni contenute nell’articolo 50 del Codice vanno interpretate ed applicate nel solco dei principi e delle regole della normativa di settore dell’Unione europea, che in particolare richiama gli Stati membri a prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di applicare procedure aperte o ristrette, come disposto dalla direttiva 2014/24/UE».
Dunque, la circolare afferma che bisogna tenere conto non solo del principio di risultato, ma anche degli altri principi del Codice, tra cui innanzitutto quello di trasparenza. Dunque, l’articolo 50 del Codice va interpretato sulla base dei principi dell’Ue, che sono appunto quelli della concorrenza.
Ma, la circolare non ha “poteri” di rettifica, per cui – come rilevato anche dal presidente dell’Anac – sarebbe necessaria una legge che modifichi il Codice. «Prevedere che sia obbligatorio l’affidamento diretto per tutti i contratti per l’acquisto di beni o servizi sopra i 140mila euro e che si arrivi ad assegnare i lavori fino ad oltre cinque milioni di euro senza pubblicare neanche un avviso pubblico rappresentava una forzatura», sottolinea ancora Busia. «Numericamente – prosegue – si tratta infatti della stragrande maggioranza dei contratti significava che sarebbero stati sottratti alle più elementari forme di pubblicità, a danno delle imprese e delle casse pubbliche. È infatti evidente che, se per spendere ben oltre centomila euro, l’amministrazione non deve neanche chiedere due preventivi, si rivolgerà alla prima impresa che capita, e questa non avrà alcun interesse a contenere la propria offerta».
«Anche fuori dai casi di piccola o grande corruzione – chiosa il presidente dell’Anticorruzione – è chiaro che ad essere premiato sarà il fornitore più ‘vicino’ o comunque quello già conosciuto, e non quello più bravo. Con il risultato ultimo di spendere di più, avendo in cambio forniture e servizi di minore qualità o opere destinate a durare meno».