Apertura, partecipazione e ibridazione sono state le parole chiave del Festival dell’architettura di Roma (Far). Una manifestazione che è andata sui territori, ha generato dibattito, riflessioni sulla città e sul ruolo degli architetti oggi, con lo sforzo di riprendere un proficuo e necessario dialogo tra architettura, cittadini e amministrazioni, anche mostrando come l’architettura abbia tanti punti di approdo.
«Un percorso molto più rischioso rispetto a un festival dell’architettura realizzato tutto all’interno della Casa dell’Architettura, magari invitando grandi nomi dell’architettura», sottolinea Alice Buzzone, direttrice di Far e consigliera dell’Oar. Partecipazione non solo di cittadini e istituzioni: «sono state realizzate installazioni nate da concorsi di progettazione», altre sono «state realizzate coinvolgendo gli studenti e l’università» e «tutto il palinsesto di Far è stato costruito in modo condiviso, attraverso il lancio e la partecipazione alle call», ricorda Alice Buzzone. «Tutto è stato realizzato – prosegue – in un processo durato un anno». Oltre ai convegni realizzati nel complesso monumentale dell’Acquario Romano, Far è scesa in piazza, nei municipi VIII e XII per coinvolgere la comunità. Tante le iniziative, dai workshop, ai ragionamenti sulla lettura e uso dei dati per la comunità, alla collaborazione civica tramite l’AI, e poi il dibattito sulle trasformazioni della città, coinvolgendo diversi attori.
Ricca di riflessioni e di spunti la giornata finale di Far che si è chiusa con un convegno moto partecipato, mentre il giardino si è trasformato in un vivace luogo di incontro per la comunità. Un convegno aperto dalla lecture di Roberto Cremascoli, cofondatore dello studio Cor Arquitectos, curatore del Padiglione della Santa Sede per la 18. Mostra Internazionale di Architettura, che ha presentato i lavori dello studio a partire dal concetto di «architettura come laboratorio di servizio». Diversi i lavori realizzati con il maestro portoghese, Álvaro Siza, come le residenze a Gallarate.
L’impegno dell’Oar per la città e per la qualità del progetto
«I temi che portiamo avanti all’interno della città comprendono il Festival, ma non solo: spero che presto possiamo fisicamente entrare nell’Urban center di Roma, i primi passi anche realizzativi sono stati fatti. Sarà un luogo in cui conosceremo cosa avviene nella città e come questa sta evolvendo. A questo aggiungiamo un’altra grande scommessa: la qualità del progetto», ha rimarcato Alessandro Panci, presidente dell’Oar, ricordando l’impegno per la diffusione dei concorsi di progettazione con il lavoro presso le amministrazioni e la creazione della piattaforma Can – Competition architecture network. E poi la Consulta per Roma, istituita con Roma Capitale lo scorso ottobre e volta ad aggregare, capitalizzare, raccogliere, mettere a sistema le numerose espressioni intellettuali e creative che vedono nel territorio della Capitale il loro punto di approdo, con l’obiettivo di avviare un avveduto processo di riqualificazione e rigenerazione urbana.
Rigenerazione urbana: serve osare e ripartire dalla bellezza
«Il Festival è molto utile per ragionare sui temi della città. La città è anche una serie di relazioni, non è solo il costruito, quando mancano queste relazioni c’è necessità di ricostruirle e di rigenerare», ha ricordato Christian Rocchi, past president dell’Oar nell’introdurre una sessione dedicata alla rigenerazione urbana.
Il primo a parlare è don Antonio Coluccia, il parroco che vive sotto scorta, ricordato per le sue lotte alla criminalità e che ha, tra l’altro, trasformato una villa confiscata ad un boss della banda della Magliana in una casa di accoglienza. «Per rigenerare – afferma – serve un cambiamento di mentalità, di prospettiva, di chi è chiamato in quei territori ad organizzare la vita civile, perché prima di rigenerare bisogna comprendere i bisogni della città. Le criticità devono essere viste con gli occhi della speranza». Povertà, assenza di giustizia sociale, criminalità sono alcune delle problematiche da combattere, secondo don Coluccia. «Ci sono quartieri della capitale – prosegue – in cui la qualità della vita non è uguale a tanti quartieri del centro». «Bisogna osare in questi quartieri in cui c’è bisogno di rigenerazione e quindi partire dalle criticità, dalla conoscenza dei luoghi e delle persone che li abitano, io credo che serva la cura della bellezza, bisogna portare servizi. Noi a San Basilio siamo riusciti dove sembrava impossibile, dove neanche le macchine delle forze di polizia potevano entrare, io sono sceso lì e con la presenza costante la gente prende fiducia, ci vuole tempo, io credo che tutti i progetti si realizzano con la logica delle tre “P”: “pochi piccoli passi”, non è tutto immediato, bisogna attivare dei processi sociali e creare movimenti di coscienza da parte dei cittadini e delle persone, ma le persone hanno bisogno del cambiamento e della qualità della vita, lo chiedono», afferma. «In questa città si ha paura di osare», sottolinea più volte don Coluccia che subito dopo si interroga sulle possibilità di futuro dei bambini che vivono in quartieri difficili, addirittura militarizzati. «C’è bisogno della presenza delle istituzioni: è necessario che le istituzioni lascino i palazzi e vadano sui territori per dire: lo Stato c’è, ci siamo per voi, serve uno Stato di prossimità. Serve anche la cura dei luoghi. Il degrado porta degrado, quindi – conclude – la rigenerazione secondo me può partire solo da un cambiamento di mentalità e di prospettiva».
Alessia Costarelli, vicepresidente Roma Sibylla – Lions club si interroga sulla relazione tra contesto e benessere psico-fisico della persona e sulla conseguente «importanza del costruire luoghi che creino radicamento e identità». «Oggi grazie al contributo dell’Ordine degli architetti di Roma – prosegue – abbiamo creato con il nostro club un vero e proprio laboratorio chiamato urbAIn, come strumento di supporto per arrivare a creare norme che tengano conto della realtà specifica di ogni quartiere che è fatta da un insieme di persone e di fabbisogni, quindi questi laboratori sono portatori di un nuovo percorso, che parte dai dati e dalle osservazioni eseguite con l’aiuto di nuove tecnologie al fine di misurare il fabbisogno emotivo delle persone. Sono state scansionate da noi 520 forme del corpo e associate a degli stati emotivi, e questo permette di riconoscere quante persone sono arrabbiate, quante sono tendenzialmente pericolose e quante potrebbero essere al limite dello stato di sopravvivenza. L’obiettivo è usare questi dati per una nuova progettazione», racconta Costarelli. «L’idea – prosegue – è portare le amministrazioni a generare nuove norme in cui mettiamo dentro il concetto delle emozioni». Il progetto UrbAIn coinvolge il V Municipio di cui è presidente David Di Cosmo che spiega che si tratta di «un progetto pilota da diffondere in altri luoghi e in altri municipi di Roma». Serve – secondo Di Cosmo – un «approccio diverso per la risoluzione di problemi ancora oggi irrisolti, occorrono nuove normative per portare avanti le idee più innovative che puntino alla rigenerazione dei territori».
Il ruolo degli architetti nella comunità: le commissioni Oar
Il discorso sul coinvolgimento della comunità e sul ruolo dell’architetto si sposta sulle attività in corso nelle commissioni Portiamo l’architettura nelle scuole (Plans), Parità di genere e Protezione civile dell’Ordine degli architetti di Roma e Provincia.
«Nell’ottica dell’agire sociale cerchiamo di dare il nostro contributo sulle tematiche delle pari opportunità e della parità di genere. Il taglio che abbiamo dato alla nostra commissione è proprio di valore sociale, in questa fase abbiamo concentrato i nostri sforzi sull’agire all’interno della comunità. Abbiamo fatto una call sull’architettura inclusiva, o meglio non esclusiva, e questa cosa ha creato interesse, tanto che la commissione Pari opportunità di Roma Capitale ci ha proposto di collaborare a una ricerca in corso sui centri anti-violenza», spiega Roberta Bocca, vicepresidente Oar e coordinatrice delle commissioni Plans e Parità di genere. «Un discorso analogo lo stiamo facendo con le scuole: abbiamo iniziato portando l’architettura nelle scuole, riuscendo a creare un’attenzione sugli interventi nello spazio che ci circonda. C’è questa idea di educazione civica allo stare insieme che ha catturato l’attenzione all’assessorato alla scuola che ci ha proposto di fare un accordo per portare l’architettura anche nelle scuole elementari e materne», conclude Roberta Bocca, ricordando anche il prossimo appuntamento del 21 ottobre, alla Casa dell’Architettura, sede dell’Oar, finalizzato a infondere la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro.
«Sono tanti i progetti che stiamo portando avanti con le commissioni Plans e Parità di genere. Entrambe lavorano in comunità con le istituzioni, con il territorio r con i cittadini, gli studenti e i docenti. Abbiamo organizzato una call lo scorso anno, una chiamata per tutti, anche per studenti, aperta alla cittadinanza, per comprendere quale potesse essere la declinazione di un’architettura più inclusiva, questo ci ha portato ad analizzare tanti progetti trovando delle caratteristiche comuni per aiutare gli architetti a progettare in maniera più inclusiva. È nato un laboratorio di ricerca che si è attivato concretamente nello spazio della città attraverso una mappatura dei centri antiviolenza, dove siamo entrati per dei rilievi tecnici, ma abbiamo incontrato tanta umanità, le persone ci hanno raccontato le loro storie perché gli architetti sono anche questo: sono cittadini che lavorano con i cittadini», ha sottolineato Antonia Genco, segreteria Commissioni Plans e Oarpg. «La Commissione Plans – ha proseguito – raccoglie i giovani ragazzi e li porta a vedere la città con occhi differenti e lo fa con lezioni nelle scuole, con laboratori creativi, con workshop e con il gioco, raccontando l’architettura e il ruolo sociale dell’architetto».
«Molto spesso si associa la protezione civile solo all’evento emergenziale, invece le attenzioni si devono spostare ancor prima che gli eventi accadano, per questo i concetti di prevenzione, di educazione e sicurezza vanno affrontati», afferma Carlo Zaffina, coordinatore della commissione Protezione civile dell’Oar. «Una commissione – ricorda – che ha più di 40 anni, costituita subito dopo il terremoto dell’Ottanta in Irpinia e da allora il gruppo di protezione civile, cui oggi aderiscono più di 800 architetti, è stata presente a tutti gli eventi emergenziali e ai terremoti accaduti in Italia». Una commissione nata e cresciuta grazie all’incessante impegno di Pasquale Zaffina, padre di Carlo.
«Prima – prosegue Carlo Zaffina – si aderiva al momento dell’emergenza tramite degli accordi che i consigli nazionali facevano con il dipartimento, ora le cose sono cambiate e dal 2014 è stato istituito il nucleo tecnico nazionale e dal 2020 è stato istituito dai consigli nazionali il servizio tecnico nazionale cui fanno parte i tecnici che sono anche formati per partire in emergenza. Mercoledì 9 ottobre alla Casa dell’architettura, siederanno attorno ad un tavolo gli Ordini degli architetti, degli ingegneri, dei geologi e il Collegio dei geometri di Roma per costituire una sezione operativa territoriale che getta le basi per una grande collaborazione interdisciplinare». L’architetto dà appuntamento poi all’11 ottobre per l’evacuazione del paese di Zagarolo. Nel pomeriggio ci sarà un convegno per tirare le somme sulle criticità riscontrate durante le prove di evacuazione.