“Tutto nasce da un’operazione de Il Foglio Quotidiano, che, per sei settimane, all’inizio della guerra nell’est europeo, ha utilizzato dei grandi titoli rossi in prima pagina, molto schierati in un mondo dove non dice più nulla nessuno”. Così Paolo Conrad Bercah racconta l’origine della sua collaborazione con il quotidiano per esporre al mondo la fragilità delle opere d’arte di fronte alla guerra in corso ad Oriente. Sono 28 i disegni pubblicati, suddivisi in 7 categorie “Tolstoiane”, che vanno dalla Guerra alla Pace, passando per temi molto attuali come Europa ed energia.
Un’enorme forza comunicativa che affida alle linee su carta la diffusione di un messaggio artistico, politico e culturale, con la spontaneità e l’immediatezza tipica della forma grafica. Un esperimento unico, perché di solito il disegno è concesso solo alla satira quando si parla di attualità.
“I disegni di Paolo Conrad Bercah, abitano quello spazio che va dal male al bene, riuscendo ad orientare il viaggiatore in transito nel mondo. E li trovo preziosi, proprio oggi, in un momento in cui, quelle che sembrano le autostrade della storia, non sono altro che sentieri interrotti”. Così Sandro Bonvissuto ha commentato la collezione.
Dal 24 novembre le opere di Paolo Conrad Bercah saranno esposte nella mostra MM XX II – Un tempo dentro al tempo, alla Casa dell’Architettura, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul rischio di scomparsa di edifici di qualità, minacciati dalla guerra in corso nell’est europeo.
Curatore della mostra Francesco Saverio Aymonino | Vice Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Roma, che accoglie così l’evento: “La Casa dell’Architettura è lieta di tornare ad ospitare una mostra di disegni dell’architetto Conrad-Bercah, che propongono una sua rinnovata riflessione sugli eventi di cronaca che spingono ad interrogarsi sul nostro presente. L’autore, sovrapponendo al linguaggio scritto ed alla notizia giornalistica il linguaggio del disegno di architettura, innesca un cortocircuito che ci invita a riflettere sul nostro passato, sul presente e sul futuro, su ciò che rimane e su ciò che è destinato ad essere dimenticato”.
Laureato con lode al Politecnico di Torino e all’Harvard GSD dove è stato docente, ricercatore e critico ospite, Conrad Bercah ha condotto un’attività professionale scandita dalle attività complementari di scrittura e disegno, profondi mezzi di espressione utilizzati anche nell’esperienza de Il Foglio.
“Molte architetture testimoniano uno scambio continuo tra Oriente ed Occidente. Venezia, Istanbul o l’Unione Sovietica ne sono un esempio – spiega Paolo Conrad Bercah – il mio intento è ammonire l’opinione pubblica e sottolineare che, essendo le culture molto intrecciate, la guerra rischia di eliminare opere che in fondo fanno parte della nostra tradizione. Al contrario dell’uomo, l’architettura non può migrare ed in caso di attacco bellico gli edifici vengono uccisi”.
Da sempre i conflitti sono stati oggetto di rappresentazioni grafiche: dall’arte primitiva che riproduceva scene di guerra o caccia, fino alle guerre mondiali in cui venivano commissionati disegni della quotidianità al fronte con finalità di propaganda e promozione.
“La guerra fa parte degli affari umani e probabilmente neanche l’intelligenza artificiale potrà debellarla – riflette l’autore – al di là dell’orrore della distruzione, può comunque sprigionare nuove energie. Non sarà di certo l’arte a salvare il mondo. Piuttosto può renderlo più piacevole e vivibile”.
L’uso del disegno come potentissimo strumento di comunicazione per trattare di cronaca è un ritorno alle origini delle parole, del senso che hanno e del loro valore.
“Passo le mie giornate davanti ad uno schermo nero per via di una digitalizzazione dilagante, che non sempre semplifica per via dell’estrema velocità- racconta Paolo Conrad Bercah – ho bisogno del disegno come attività non programmata. Quando inizio a muovere la mano sul foglio non so dove arriverò. La logica ed il significato emergono riguardandoli a distanza di tempo”.
Dalla prefazione al Catalogo della Mostra:
“Sento la necessità di sfuggire a queste schiavitù imposte a priori dal digitale senza contradditorio. Sento la necessità di non diventate ostaggio di quella ossessione del ‘tempo reale’ imposta dal digitale che lavora senza sosta per cancellare il passato o ripulirlo per renderlo ‘accettabile’ al fondamentalismo imperante oggi ovunque”.