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Architettura
03 Febbraio 2025

Tutela del patrimonio architettonico dissonante: la consapevolezza storica disinnesca la propaganda

Con l'intento di superare gli effetti distorsivi della cancel culture, vanno individuati nell'arte e nella comunicazione gli strumenti per modulare la salvaguardia dei contesti monumentali che includono le memorie urbane dei regimi totalitari e la loro simbologia.

In Italia il dibattito sulla strategia di tutela da applicare alle architetture  riconducibili a periodi controversi coincide essenzialmente con la valutazione dell’approccio metodologico  più adatto a intervenire sulle opere di epoca fascista, ovvero con la scelta di quali elementi conservare, tenendo conto che nei venti anni della dittatura – accanto ai feticci ideologici – ricadono anche capolavori del Razionalismo: il legame tra architettura e storia rende impossibile espellere gli elementi dissonanti come fossero corpi estranei al patrimonio e mette in crisi l’idea della cancellazione quale rimedio postumo ai guasti del passato.

Il webinar La memoria cancellata delle architetture del ‘900 (28 gennaio 2025), organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma (OAR) con il coordinamento scientifico di Emma Tagliacollo, CTF OAR – Storia e Critica, Osservatorio 900, ha affrontato il tema della damnatio memoriae nei termini del progetto di restauro urbano, con il contributo interdisciplinare di docenti e ricercatori specializzati nell’analisi dei percorsi di rielaborazione dell’eredità storica.

“Nel nostro paese, anche a Roma, abbiamo avuto casi di demolizioni di edifici – penso, per esempio, ai ‘ponti’ del Laurentino 38 – e di architetture che avevano contribuito alla realizzazione e alla morfologia stessa della città, che oggi sono andate perdute”, ha premesso Tagliacollo. “È indiscutibile che alcuni edifici progettati durante gli anni ’30 e ’40 siano considerati beni culturali (…). Dobbiamo considerare il patrimonio culturale e le architetture che compongono questo concetto di patrimonio nella loro forma e spazialità. Il portato storico viene poi letto in maniera differente“.

L’espressione artistica per contestualizzare i Razionalismi

Introducendo il discorso sul Dissonant Heritage, Sarah Linford, Docente di arte moderna e contemporanea alla John Cabot University di Roma, ha indicato, a partire dalle “diverse opzioni che sono state messe in atto per mantenere, abbandonare, valorizzare o riformulare monumenti, opere e architetture di periodi storici rinnegati, (…) sei tipi di strategia per gestire questo patrimonio complicato”, sintesi delle iniziative attuate in Italia, Europa e America del Nord: smantellamento di monumenti e strutture (cancel culture); abbandono; restauro; estetizzazione; interventi diversi; nuovi siti, inserzioni in siti esistenti, stratificazioni di siti create ad hoc.

Se la cancel culture, con le sue rimozioni, “può solo creare l’oblio, non può generare consapevolezza” e rappresenta quindi l’opzione più sbagliata per quanto riguarda l’architettura del Ventennio”, anche il restauro inquinato da nostalgie o l’esasperata estetizzazione in base a “(…) motivi artistici e culturali che sarebbero indipendenti da elementi storici e politici” non supportano la compiuta assimilazione del patrimonio dissonante. I più riusciti esempi di “spazio attivo di memoria”, innestati come strutture effimere o permanenti su edifici costruiti tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento, sono progetti come l’intervento di Arnold Holzknecht e Michele Bernardi sul bassorilievo di Hans Piffrader, realizzato per la sede degli Uffici Finanziari (ex Casa Littoria) di Bolzano, nei quali l’arte afferma i principi della sensibilità contemporanea, smontando la retorica del regime con una citazione da Hannah Arendt.

Per quando riguarda le architetture risalenti ai decenni che preludono alla Seconda Guerra Mondiale, gli interventi di conservazione e riutilizzo richiedono, oltre al riferimento alla storia, la coscienza della complessità di un movimento articolato a livello generale e nell’ambito delle singole realtà nazionali.  “Invece di parlare del Razionalismo come se fosse una cosa unica e monumentale, [dovremmo considerare che] ci sono tanti razionalismi diversi (…). Aiuterebbe molto pensare non al Razionalismo italiano ma ai Razionalismi italiani“.

Il ruolo degli storici nella riscoperta dell’eredità dissonante

La molteplicità di declinazioni del Razionalismo nell’ambito italiano riflette la tendenza del regime fascista a favorire “questa opportunistica presenza e convivenza dei linguaggi”, come testimonia il fatto che possano coesistere “Figini e Pollini, Terragni, accanto agli Accademici (…), alle grandi opere di Piacentini e dei suoi collaboratori”, come ha sottolineato Manuel Orazi, Storico dell’architettura e della città, Docente all’Accademia di architettura di Mendrisio, Redattore di Quodlibet, intervenendo all’incontro OAR su La memoria cancellata delle architetture del ‘900. “[Alla Sapienza] si cerca di far convivere tutte queste anime dell’architettura, invitando anche Pagano a fare l’edificio di Chimica, Ponti a fare l’edificio di matematica, Michelucci a fare due edifici, per creare una koinè, qualcosa di collettivo, ma è un momento che dura poco. Si teorizza anche la sintesi delle arti, ma in modo non particolarmente acuto”.

La prima reazione, subito dopo la fine della guerra, non porta alle estreme conseguenze la logica di quella che oggi definiamo cancel culture: “(…) certo, sono stati grattati i simboli, sono state asportate le statue e i busti più retorici, ma la percentuale di edifici distrutti è irrisoria, e quasi mai per l’essere legati al fascismo”. Negli anni del boom economico, fino alla fine degli anni ’50, si determina una “fisiologica rimozione” che va di pari passo con l’oblio dell’Olocausto – Se questo è un uomo e il Diario di Anna Frank escono per Einaudi nel 1958. La rilettura delle opere del Ventennio coinvolge gli architetti a partire dagli anni ’60.

La casa, curata da Paolo Portoghesi nel 1959, (…) è la prima pubblicazione che fa un bilancio sull’architettura del Ventennio. Quattro anni dopo a Milano, Gregotti, giovanissimo direttore di Edilizia moderna, cura il numero 81 con Guido Canella [“Edilizia Moderna” n.81, 1963, numero monografico, Il Novecento e l’Architettura, a cura di Vittorio Gregotti e Guido Canella], in cui riscopre il Novecento dell’architettura milanese – quindi Muzio, Aldo Andreani (…), invece, l’editore di Olivetti, Edizioni di Comunità, ripubblica gli scritti di Persico, che era morto  nel 1936, ma era stato forse l’unico architetto e critico antifascista durante il Ventennio”.

La fase di “latenza” della memoria di quanto prodotto in architettura durante il regime fascista si conclude definitivamente a partire dalla fine degli anni ’60: nei quattro decenni successivi, con iniziative editoriali e mostre – la Triennale di Aldo Rossi (1973) si intitola “Architettura razionale”, si compie la riqualificazione della figura di Terragni, recuperato anche dalla critica internazionale (nel 1976 la rivista Oppositions traduce gli scritti di Terragni e Moretti in inglese per la prima volta), si sviluppa il discorso sull’urbanistica delle città di nuova fondazione, si pubblicano monografie di approfondimento.

L’interesse e il rigore dell’analisi storica hanno consentito di distinguere la qualità architettonica dalla rappresentazione degli intenti propagandistici della dittatura, sia negli apparati decorativi sia nel disegno di edifici e complessi urbani, nei casi in cui gli studiosi sono riusciti “a separare appunto, ma [allo stesso tempo] a comparare, la rivalutazione fatta dagli architetti rispetto a quella degli storici puri”, come ha  evidenziato Orazi, citando Bruno Zevi: “La critica architettonica, e perciò la storia dell’architettura, non serve soltanto a far rivivere il passato o a consacrare con un premio l’opera di questo o quell’artista contemporaneo: essa decide le sorti stesse dell’architettura antica e moderna” (Architettura in nuce, 1960).

La comunicazione per non fraintendere il patrimonio: il progetto co. co. war

Le opere del Ventennio fascista rappresentano solo uno dei tanti esempi di Difficult heritage, ovvero, secondo la definizione di Sharon Macdonald ripresa nel suo intervento da Federico Scarpelli, Docente di Antropologia culturale, Università di Salerno, uno dei lasciti “positivi in quanto parte del patrimonio, negativi per le loro connotazioni ideologiche”. Come avvenuto per i beni culturali riferibili al regime nelle varie città italiane, il processo di patrimonializzazione, che, in termini antropologici, può essere interpretato come una “filiazione inversa” – con i figli che scelgono i propri padri, diventa problematico in tutte le situazioni di scontro ideologico, etnico, religioso, politico.

Il progetto di ricerca “Co. Co. War – Dissonant Heritage and War. Conservation and Communication of a difficult legacy”, finanziato per il periodo ottobre 2023 – settembre 2025 nell’ambito del PRIN 2022, sviluppa una metodologia per facilitare la comprensione dei patrimoni difficili o dissonanti attraverso la comunicazione digitale, con l’incrocio di banche dati e l’impiego di applicazioni georeferenziate di mappatura, in una piattaforma che mette in relazione i diversi livelli di indagine storico-critica.

Il gruppo composto da Chiara Mariotti, docente Università Politecnica delle Marche, Emanuele Morezzi, docente Politecnico di Torino, Leila Signorelli, docente Università di Bologna, Alessia Zampini, docente Università di Bologna, lavora su casi di studio europei ed extraeuropei, interessati da conflitti reali o di interpretazione, per ognuno dei quali definisce il contesto storico, la manifestazione di dissonanza e le conseguenze.

“Il patrimonio dissonante è caratterizzato da valori che, se male interpretati, possono portare la società a percepire il messaggio ‘negativo’ come prevalente su quello ‘positivo’, influenzando il desiderio di preservare il bene culturale. Obiettivo del progetto è quello di identificare quali strumenti innovativi possano individuare e controllare questa nuova forma di rischio per il patrimonio (…). Da un punto di vista scientifico, il progetto esplora un campo di ricerca che integra aspetti inediti del rapporto tra conservazione e comunicazione”.

Immagine in evidenza: intervento di Arnold Holzknecht e Michele Bernardi sul bassorilievo di Hans Piffrader, realizzato per la Casa Littoria di Bolzano, oggi sede degli Uffici Finanziari – Foto da Luoghi del Contemporaneo – MiC, Direzione Generale Creatività Contemporanea (luoghidelcontemporaneo.cultura.gov.it) – tutti i diritti riservati

di Francesca Bizzarro

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