Incidere sulle trasformazioni del territorio e delle nostre città per garantire la qualità degli spazi e della vita che in essi si svolge. Etica, responsabilità e qualità del progetto vanno messi a sistema affinché possano generare benefici riverberi e contribuire al progresso e al bene comune. Ma occorrono gli strumenti giusti, soprattutto se si è nel mezzo di importanti transizioni: ecologica, digitale, con sfide da affrontare come il green new deal che ingloba l’importante componente culturale che prende il nome di nuovo Bauhaus europeo. E, ovviamente, immancabile, il Pnrr. Ed allora, è necessario sollecitare le sensibilità politiche, ma anche incoraggiare il confronto tra i professionisti, che sempre più devono agire come una comunità, coesi, manifestando l’orgoglio di farne parte. Il tutto senza essere autoreferenziali, in modo da aprire un dialogo culturale che riesca a ridurre quello strappo, tutto da ricucire, tra architetti e cittadini.
Sono alcuni dei temi affrontati il 7 giugno al complesso monumentale dell’Acquario Romano, sede dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia nella giornata, dedicata al ruolo sociale dei professionisti, parte integrante del programma di eventi (6-15 giugno) attraverso cui l’OAR celebra il centenario della legge 1395 del 24 giugno 1923 che ha istituito gli Ordini e ha introdotto tutele per il titolo e l’esercizio professionale degli architetti e degli ingegneri. Una giornata che ha visto partecipare rappresentanti di tutti gli Ordini degli Architetti italiani, in un confronto serrato e a tutto tondo, in dialogo con esponenti della politica: amministratori locali, parlamentari e con il governo.
Il doppio ruolo sociale, di architetti e Ordini professionali
Ad aprire la sessione mattutina della giornata, curata e organizzata dall’OAR con la Federazione degli Ordini degli Architetti del Lazio, è il presidente, Alessandro Panci, rivolgendosi a oltre 1.200 architetti tra quelli in sede e quelli collegati da remoto. «La ricorrenza dei 100 anni dalla legge del 1923 ci deve far riflettere sul motivo per cui sono stati istituiti gli Ordini. Sia gli architetti che gli ingegneri hanno sempre avuto un ruolo importante nel nostro Paese, sono sempre stati parte del dibattito pubblico per le trasformazioni del territorio e delle nostre città. È importante oggi comprendere il senso istituzionale degli Ordini che, come enti pubblici, collaborano e condividono una serie di necessità per il miglioramento del nostro Paese», esordisce così il presidente degli Architetti di Roma e provincia. «La necessità di istituire gli Ordini – prosegue Panci – nacque perché bisognava avere dei garanti che fossero un punto di riferimento per i cittadini, affinché gli iscritti a quell’Ordine avessero le competenze necessarie che attengono all’architettura». Dunque il ruolo degli Ordini è quello di essere dei «garanti a tutela dei cittadini e rispetto all’operato dei propri iscritti».
«La professione di architetto, nel plasmare i luoghi del vivere, non solo traduce in spazio le esigenze e le aspirazioni di ogni individuo e di gruppi sociali, ma punta alla realizzazione e alla tutela degli interessi generali. Una professione, la nostra, che guarda al presente e al futuro, la cui azione impone doveri nei confronti della società che storicamente ne ha riconosciuto il ruolo primario nelle trasformazioni fisiche del territorio, nella pianificazione e nella conservazione dei paesaggi, naturali e urbani, nonché del patrimonio storico e artistico», prosegue Panci soffermandosi sul ruolo sociale dell’architetto.
«Viene spontaneo fare una sorta di rapidissimo bilancio di questi 100 anni. La legge nasce nel 1923 e la scuola che laurea gli architetti è nata un paio di anni prima. Quasi contestualmente si mette a punto questa legge che riconosce agli architetti la dimensione di professionisti, cioè di prestatori di opera intellettuale. Questa nuova figura di architetto deve molto alla teorizzazione di Giovannoni circa l’architetto integrale, un’idea nuova che si misurava con quello che succedeva in Europa. Quegli anni sono straordinari, noi cominciamo benissimo», a parlare è Massimo Rosolini, presidente della Federazione degli Ordini degli Architetti del Lazio, che ricorda gli anni delle grandi trasformazioni urbane e territoriali, i congressi Ciam, fondati nel 1928 con l’obiettivo di diffondere una visione rivoluzionaria dello spazio e della città. All’architetto viene riconosciuto un ruolo primario e tale ruolo continua con la ricostruzione postbellica. «Il punto è – prosegue Rosolini – domandarsi cosa è successo dopo: siamo andati progressivamente perdendo il nostro ruolo. Abbiamo assistito alla distruzione del paesaggio nazionale, di cui oggi lamentiamo le drammatiche conseguenze. Si è costruito tanto ma con minor coinvolgimento degli architetti. Abbiamo perso la strada. E, l’omologazione della nostra figura a quella delle imprese è centrale in una giornata come questa. Oggi dibattiamo per riaffermare questa natura squisitamente professionale della nostra figura per sottrarla all’interpretazione, che è scritta nelle leggi, che la considera alla stregua dell’impresa. L’impresa investe capitali; gli architetti e i professionisti investono, invece, nelle loro competenze e nei loro studi».
Dialogo aperto per la revisione dei più importanti testi normativi: edilizia, beni culturali e paesaggio
Un primo proficuo dialogo con la politica si è concretizzato con la partecipazione, in collegamento dal suo ufficio, del ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, che ha invitato l’Ordine degli Architetti di Roma al ministero per ricevere «proposte, suggestioni e riflessioni» in merito alla rielaborazione in corso del Testo unico dell’Edilizia (Dpr 380 del 2001). «Vi invito tra la fine di giugno e la prima metà di luglio come Ordine degli Architetti qui al ministero, perché stiamo lavorando al testo unico dell’edilizia e so che vi riguarda personalmente, direttamente e professionalmente», ha affermato il ministro.
E, a seguire, Gerardo Villanacci, presidente del Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici, ha annunciato, sempre con spirito di collaborazione, la volontà di mettere mano al Dlgs 42 del 2004. «La funzione della cultura – sottolinea – non può essere solo, come è successo in tempi passati, quella di tutelare meramente il nostro patrimonio, sarebbe regressiva come posizione. Bisogna, invece, promuovere il nostro patrimonio senza avere paura che questo implichi una maggiore e più attuale rivisitazione delle disposizioni». «Ormai, e questo è il mio pensiero, è anacronistico distinguere il pubblico dal privato, una distinzione che non ha più nessun senso di esistere e che invece deve essere recuperata. Queste due funzioni, quella svolta dal privato e quella svolta dal pubblico, non sono dicotomiche ma complementari. In questo credo che il punto di coesione siate in larga parte voi», conclude Villanacci.
L’apertura al dialogo e a nuove collaborazioni è manifestata anche da Tobia Zevi, assessore al Patrimonio e alle politiche abitative di Roma Capitale, che ha ricordato la collaborazione con l’Ordine di Roma per la promozione di concorsi di progettazione, tra cui quello per Città della Scienza, riferendo anche della volontà di «estendere tale procedura anche alla realizzazione, da parte dei privati, delle opere di urbanizzazione a scomputo». L’assessore ha anche espresso l’interesse a avviare nuove sinergie per provare a rafforzare la formazione del personale dell’amministrazione e migliorare la gestione di alcune procedure.
Il ruolo sociale dell’architetto, Pasquale Ciacciarelli, assessore Urbanistica, Politiche abitative, Case popolari, Politiche del Mare della Regione Lazio, lo mette in relazione con tutte le necessità e urgenze che arrivano dal territorio regionale. Dalla mitigazione del rischio idrogeologico, cui si lega la «necessità di snellire le procedure» alla riqualificazione dell’edilizia popolare, dal recupero delle dimore storiche fino alla pianificazione dei territori. L’assessore ricorda che «ci sono tanti comuni nel Lazio che hanno ancora il programma di fabbricazione». E anche a livello regionale viene espressa la necessità di mettere ordine alla normativa, primo fra tutti il testo unico dell’urbanistica del Lazio. E anche in questo caso arriva la richiesta agli architetti, invitati a dare un contributo affinché si arrivi a «un testo unico che sia snello, comprensibile e che dia la possibilità di poter sviluppare e iniziare una collaborazione seria, istituzionale, tra enti locali, regione e governo nazionale».
Come riaffermare il ruolo sociale dell’architetto
Il primo tavolo di confronto della giornata è coordinato da Roberta Bocca, vicepresidente dell’Oar e da Fabrizio Miluzzo, presidente dell’Ordine degli architetti della provincia di Rieti, con la partecipazione di Alessandro Amaro della Federazione degli Architetti siciliani, di Pasquale Caprio, presidente degli architetti della provincia di Salerno, di Alessandro Izzi e Daniele Schiazza della federazione regionale degli Ordini degli architetti di Abruzzo e Molise, di Gerardo Leon, presidente degli architetti di Potenza, e di Marco Petrini Elce, presidente dell’Ordine degli architetti della provincia di Perugia.
«Quello che noi facciamo è strettamente connesso all’ambiente in cui viviamo. Questo condiziona il nostro agire ed è veramente importante dare contezza di ciò che sono il nostro ruolo e le nostre potenzialità, dobbiamo ricordarlo a noi stessi e alla collettività», ribadisce Roberta Bocca. «L’intervento su un singolo edificio, e ancor più in un aggregato urbano o in un quartiere, riveste una notevole importanza rispetto alla qualità del contesto urbano e paesaggistico nel quale è inserito», afferma Fabrizio Miluzzo, secondo cui: «La bellezza di tali contesti dipende dalla qualità del progetto, dalla capacità che lo stesso ha di valutare che tipo di relazione deve avere con il contorno urbano e naturale e da come il fabbricato definisce lo spazio libero intorno e le visuali di osservazione. La città, il borgo o il complesso naturale possono essere più o meno gradevoli, armonici, attraenti a seconda se gli edifici che all’interno di essi inseriamo siano capaci o meno di creare spazi vivibili, generare relazioni tra di essi di complicità, sinergia e di armonia, piuttosto che di rottura e conflittualità».
Quale strumento deve avere il progettista per arrivare a questo obiettivo? Tra gli ostacoli che separano l’architetto dalla buona progettazione i relatori intervenuti al tavolo tecnico ne individuano diversi, tra questi il nuovo Codice degli appalti che trascura la centralità del progetto. Ma c’è anche una confluenza di pensiero nel ritenere che i giovani vadano coinvolti di più per affrontare le sfide a venire. Tutti sono concordi anche nel dire che il primo passo fondamentale per l’affermazione del ruolo sociale dell’architetto è la promulgazione di una legge sull’architettura. Un traguardo a cui gli architetti italiani puntano da tempo immemore, conquistato dai francesi già nel 1977.
Dialogo aperto con i parlamentari: la rigenerazione urbana deve essere la priorità
Un secondo tavolo di confronto coinvolge i parlamentari, in un dibattito moderato da Marcello Marinaro, giornalista Radiocor, Gruppo Sole 24 Ore. Per Daniele Manca, membro della Commissione Bilancio del Senato, ciò che urge è una legge nazionale sull’uso del suolo. «Quello che manca ad una comunità locale per poter agire dentro le più importanti trasformazioni in atto nella società, nell’economia, attuando azioni di rigenerazione, è una legge nazionale sull’uso del suolo. Questo Paese – afferma – non ha una norma di riferimento, per cui anche tutte le operazioni utili alla rigenerazione, importanti per attivare una nuova crescita economica, non trovano un impianto nazionale coerente. Manca la norma di riferimento per poter innestare i processi di rigenerazione dentro una collaborazione, e non un conflitto, tra Stato, regioni ed enti locali».
«Se come ci dice l’Ocse – ragiona, Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera – le città sono responsabili del 70% delle emissioni inquinanti, producono il 70% dei rifiuti solidi e se nelle città si concentra il nodo della produttività e allora è nelle città che dobbiamo individuare un nuovo modello di sviluppo urbano. E se le città sono la soluzione, nel contesto che prevede in Europa un consumo di suolo zero, l’unica strada a disposizione per cambiare è la trasformazione delle nostre città attraverso interventi di rigenerazione urbana. Credo che intervenire nelle aree socialmente degradate per avviare interventi di carattere sociale sia assolutamente una priorità, stimolando la partecipazione e la coesione. Ad oggi manca una riflessione complessiva e normativa su cosa sia la rigenerazione urbana».
Secondo Marcello Coppo, componente della Commissione Lavoro della Camera, quello della «rigenerazione urbana è un tema generico: ci sono state rigenerazioni urbane nel passato che oggi creano seri problemi, progetti che sembravano avveniristici e che oggi evidenziano problemi sociali molto importanti, perché la progettazione non prendeva in considerazione la cosa più importante, il fattore umano. L’uomo ha bisogno di spazi in cui socializzare, di servizi. Credo che con un provvedimento normativo sia impossibile normare questo concetto, si possono indicare delle linee generali, un modello, una visione, ma poi il lavoro è vostro».
Fattivo anche il dibattito politico proseguito nel pomeriggio con la partecipazione di Gabriella Di Girolamo, Commissione Ambiente del Senato, Antonino Iaria, Commissione Trasporti della Camera, Massimo Milani, segretario della Commissione Ambiente della Camera e Alessandro Palombi, vicepresidente della Giunta per le Autorizzazioni della Camera, moderati da Stefano Pozzovivo, conduttore radiofonico di Radio Subasio.
Dalla rigenerazione al Pnrr
Affronta il tema del Pnrr il tavolo tecnico che apre la sessione pomeridiana, moderato da Francesco Aymonino, vicepresidente Oar e da Pasquale Costabile, presidente Ordine architetti di Cosenza, cui hanno partecipato: Roberto Beraldo, della federazione degli Ordini regionali degli architetti del Veneto, Giuseppe Falsea, della consulta regionale degli Ordini degli architetti di Sicilia, Raffele Fusco, della federazione interregionale degli Ordini degli architetti del Piemonte e Valle d’Aosta, Lulghennet Teklè, della federazione regionale degli Ordini degli architetti della Toscana, e Riccardo Miselli, presidente dell’Ordine degli architetti di Genova.
Ad aprire il dibattito in cui il ruolo sociale dei professionisti incrocia il tema del Pnrr, è Francesco Aymonino. «Il Pnrr – ricorda – è stato definito come un nuovo piano Marshall per l’Italia perché mette in campo risorse ingenti e potrebbe permettere a questo Paese di fare quel grande salto di qualità che merita. Il Piano è molto interessante, propone tantissime riflessioni sul possibile futuro di questo Paese. Sappiamo però anche quali sono le criticità. Il Pnrr mette molto in evidenza, ed esempio, il fatto che si debba ricorrere alla co-programmazione e co-progettazione con gli enti del terzo settore e quindi con la cittadinanza attiva, e questo è straordinario, ma sembra che questa strada non si stia percorrendo nei primi progetti presentati». «I nostri enti riusciranno a spendere questi soldi? È vero che il Pnrr riuscirà a stravolgere e a migliorare i nostri centri urbani?», è la domanda aperta da Pasquale Costabile.
Ciò che emerge dal dibattito è che probabilmente i tempi stretti non hanno permesso di costruire una strategia efficace basata sulla costruzione di una scala di priorità, in modo da agire su punti chiave per lo sviluppo e la valorizzazione delle nostre città e dei nostri territori. Inoltre, non c’è stato il tempo di costruire una nuova progettualità, ma è stata data priorità a progetti che erano già nei cassetti. E forse, il Pnrr poteva diventare un’occasione per mettere in piedi quel parco progetti, di qualità, di cui la pubblica amministrazione ha grande bisogno e che non si riesce a costruire a causa della carente capacità tecnico-amministrativa che si riscontra soprattutto nei piccoli e medi Comuni. Ma per ben procedere servono anche gli strumenti giusti e, di certo, il nuovo Codice non convince gli architetti perché non bada alla centralità del progetto, pone la procedura concorso in secondo piano e dà grande risalto all’appalto integrato. Dall’altro – viene evidenziato nel dibattito – sono richieste ai professionisti nuove competenze e una nuova sensibilità, come, ad esempio, il principio del Dnsh impone, ma non sempre si trova dall’altra parte personale in grado di affrontare con competenza tali tematiche.
Interviste di Francesco Nariello, visual e postproduzione Giuseppe Felici
Punto di approdo: la qualità e centralità del progetto
«È un momento importante per noi architetti, per portare avanti una serie di principi, ma soprattutto per farci ascoltare dal mondo della politica e farci capire anche dai cittadini. Come professionisti e come Ordini abbiamo una responsabilità di tipo formativo nei confronti della pubblica opinione, dobbiamo far capire alcuni valori importanti che si sono persi nel corso di questi 100 anni. Questa legge nasce da un dibattito parlamentare che ha origine alla fine dell’Ottocento e poi è arrivato nel 1923 con la promulgazione della legge istitutiva degli Ordini», tiene a ribadire Antonio Marco Alcaro, tesoriere dell’OAR nel moderare il secondo tavolo tecnico del pomeriggio con Paolo Vecchio, presidente dell’Ordine degli architetti della provincia di Frosinone. «Va ricordato – continua Alcaro -che gli Ordini professionali sono spesso equivocati: non sono dei sindacati, sono a tutela del cittadino non dell’iscritto, operano a tutela della committenza, pubblica o privata che sia, per garantire la qualità della prestazione. Il ruolo sociale è stato dimenticato nel tempo, siamo stati paragonati a dei sindacati, ad associazioni che devono proteggere i propri iscritti, invece non si è capito che è esattamente il contrario».
Ad animare il dibattito sono: Viviana Caravaggi, della federazione regionale degli Ordini degli architetti delle Marche, Teresa De Montis, federazione regionale Ordini degli architetti della Sardegna, Marina Giorgi, della federazione regionale degli Ordini degli architetti del Friuli-Venezia Giulia, Maurizio Marinazzo, della federazione regionale degli Ordini degli architetti della Puglia e Daniele Pezzali, della federazione degli Ordini degli architetti dell’Emilia-Romagna. Paolo Vecchio stimola la riflessione sulla «complessità delle norme che ci attanaglia, rendendo poco operativa la nostra professione». «Fondamentale è fare leggi rispettabili affinché siano rispettate. Il Codice appalti del 2016 ha richiesto 180 modifiche formali per poter essere utilizzato e 70 sostanziali per essere efficace», ricorda De Montis. Insomma, le leggi dovrebbero affrontare una materia in modo organico e arrivare all’obiettivo in modo lineare. Non vanno in questa direzione le deroghe di questi anni al Codice appalti e nemmeno i ripensamenti infiniti che hanno tenuto in ostaggio il Superbonus. Pezzali nomina la legge sul consumo di suolo dell’Emilia-Romagna: «È talmente avanti – dice – che non riusciamo ad applicarla a causa di un balzello di norme che ci attanaglia».
Interviste di Francesco Nariello, visual e postproduzione Giuseppe Felici
Importante anche guardare ai maestri dell’architettura
«È difficile fare una sintesi, possiamo fare un primo bilancio che parte dal coinvolgimento di colleghe e colleghi. Coinvolgere migliaia di persone è un’operazione di sostanza politica e culturale. È un bel risultato», afferma Marco Maria Sambo, segretario OAR e direttore editoriale. «Veniamo alla sintesi, nella quale, per forza di cose, ci sono anche delle note critiche. Se posso fare una riflessione sulla giornata di oggi e di ieri (dedicata all’inclusività delle nostre città, nda), direi che ci sono tre livelli strutturali che emergono in maniera evidente. Da un lato c’è un livello legato alla narrazione: noi dobbiamo certamente cercare di cambiare la narrazione che da negativa deve diventare positiva per cominciare a costruire positività e ricominciare a costruire architettura».
«Dall’altro – prosegue Sambo – c’è il secondo livello strutturale che ha a che fare con la necessità operativa: noi viviamo da anni una situazione molto critica a livello professionale, di Paese e anche a livello internazionale, quindi abbiamo bisogno di risposte concrete. Quindi, da un lato, dobbiamo cercare di stimolare la politica con idee, suggerimenti, e un dialogo aperto con tutte le rappresentanze politiche; dall’altro, però, dobbiamo avere delle risposte concrete. Le colleghe e i colleghi hanno bisogno di risposte concrete, oggi, subito, altrimenti non riusciamo ad andare avanti. Noi su questo dobbiamo fare leva, dobbiamo, sempre in modo istituzionale, comunicare alla politica che abbiamo bisogno di risposte concrete».
«Poi – conclude – c’è il terzo livello strutturale che emerge da queste giornate. È un livello sicuramente culturale, la sostanza politica si costruisce attraverso i contenuti e anche questo noi dobbiamo trasmettere alla politica, altrimenti facciamo mille discorsi, ma se non diamo sostanza culturale a tutto – e in questi giorni lo abbiamo fatto in maniera significativa – non riusciremo a costruire quel futuro di cui abbiamo bisogno. E questa sostanza culturale – conclude – la vedete alla vostre spalle, è il ruolo di professionisti e di maestri dell’architettura che ci hanno insegnato tantissimo e questo vuol dire anche cambiare la narrazione, comunicare alla politica e, mentre la politica parla, lì c’è una mostra con i grandi maestri che hanno fatto l’architettura di Roma e hanno reso Roma grande. L’hanno resa una Capitale internazionale».
Il riferimento è alla mostra sui grandi architetti che hanno lavorato a Roma, aperta nel complesso monumentale dell’Acquario Romano, sede dell’OAR, in occasione delle celebrazioni dei 100 anni di professione.