Riassumere in pochi passaggi salienti più di cinquant’anni di attività poliedrica, svolta spaziando tra architettura e comunicazione, progetto urbano e incursioni nel situazionismo: la lectio magistralis tenuta da Giovanni Rebecchini al convegno che si è svolto presso la sede dell’Ordine dell’Architetti di Roma (Casa dell’Architettura / Complesso monumentale dell’Acquario romano, 29 novembre 2024) ha inseguito l’obiettivo di offrire una carrellata sulle principali realizzazioni del maestro, classe 1938, facendo emergere l’originalità del suo approccio all’invenzione.
L’intervento di Rebecchini ha rappresentato il passaggio saliente dell’incontro coordinato da Emma Tagliacollo, CTF OAR “Storia e Critica”, Osservatorio 900, inserito nella serie dedicata agli Architetti romani. La presentazione delle sue opere passate e future – come il progetto di un Parco a tema culturale ad Anagni – è stata introdotta dai contributi di amici e colleghi, che hanno delineato il repertorio concettuale e il contesto culturale di riferimento dell’ideatore di molteplici complessi abitativi, uffici, alberghi ed edifici per lo spettacolo – tra cui l’Auditorium di Potenza, citato tra i più belli del mondo nel volume Auditoriums (1990) di Marie-Laure Boulet, Christine Moissinac, Françoise Soulignac Boulet.
Il convegno, dopo i saluti iniziali di Alessandro Panci, Presidente Ordine Architetti di Roma, e le dichiarazioni di Maria Cristina Milanese, Presidente Ordine Architetti di Torino, Raffaele Fusco, Presidente Ordine Architetti di Asti, e Cristiano Guernieri, Presidente Ordine Architetti di Mantova, è stato inaugurato dall’intervento di Marco Maria Sambo, Segretario OAR, Direttore Editoriale di AR Magazine, Coordinatore Osservatorio 900.
Tra idea e concretezza, il rapporto con la Scuola romana
Franco Purini, Professore Emerito di Composizione architettonica e urbana alla Facoltà di Architettura di Roma “La Sapienza”, ha affidato a un breve scritto indirizzato “A Giovanni” le sue riflessioni su uno dei principali esponenti della sua stessa generazione di progettisti: “Giovanni Rebecchini è una ‘persona multipla’. Ama l’ironia, la felicità del vivere, il gioco concettuale, la disposizione all’amicizia, la fedeltà nei rapporti, l’interesse per la presenza, sempre felice, nello spettacolo televisivo, l’amore per i paesaggi come un dono straordinario. A queste inclinazioni, che io ammiro, egli aggiunge una forte disposizione all’architettura (…) È infatti paragonabile a coloro i quali, negli ultimi decenni, sono riusciti a dare un volto significativo e coerente a Roma come Mario Ridolfi, Paolo Portoghesi, Luigi Moretti, Ugo Luccichenti, Monaco e Luccichenti, Venturino Ventura, i fratelli Passarelli, Paniconi e Pediconi, Cesare Pascoletti e molti altri. (…) Il tutto con opere che dialogano perfettamente con la città, di cui ha compreso l’anima complessa, sempre aperta verso il futuro ma anche capace di rendere il passato più che attuale (…)”.
Claudio Strinati, Segretario Generale dell’Accademia nazionale di San Luca, ricordando l’amicizia con Giovanni Rebecchini, ha ripercorso gli inizi della professione, che per entrambi si collocano alla fine degli anni ’60, in un momento sociale di grande forza e impegno politico, durante il quale hanno avuto la possibilità di fare esperienza su grandi temi: fin da allora Rebecchini, pur assecondando il pensiero artistico, anche il più stravagante, ha mantenuto la pragmaticità dell’architetto che vive il cantiere come la propria “casa”. Massimo Locci, Coordinatore del Comitato Scientifico IN/Arch, ha voluto mettere in risalto questa particolarità della figura di Rebecchini: “La scuola romana, che ha iniziato a operare a metà degli anni ’60, ha messo in discussione la pratica professionale, sostenendo la ricerca teorica e i nuovi linguaggi, legati al rapporto luogo-progetto, al ruolo politico dell’architetto, alle istanze sociali e culturali, ai nuovi settori disciplinari come l’archeologia industriale, da cui derivano altrettante opportunità espressive. (…) A differenza di molti esponenti della sua generazione, Giovanni Rebecchini, senza ridurre le nuove istanze, accetta da subito la ‘sfida’ del cantiere, peraltro resa più complessa perché [egli] opera a tutto campo su varie tipologie d’intervento e lavora per la committenza e le imprese private”.
Mario Panizza, Professore ordinario di Composizione Architettonica e Urbana, già Rettore dell’Università degli Studi “Roma Tre”, ha sottolineato l’attitudine di Giovanni Rebecchini a mantenere concreta la progettazione senza mai abbandonare la dimensione dell’idea, del sogno; a preservare la tensione creativa che consente di passare da uno schizzo a un vero e proprio progetto esecutivo.
“Attraverso il disegno si opera una riflessione teorica che può alla fine prendere la forma di un’architettura, ma può anche continuare ad essere solo un disegno” ha puntualizzato Emma Tagliacollo. “Giovanni Rebecchini, proprio per il suo rapporto con il disegno, con la matita, con l’estensione della mente attraverso la grafite, per arrivare al segno sul foglio, ha avuto una grande responsabilità quando, tramite il progetto, ha iniziato non solo a modificare la città, ma a modernizzarla”.
Tradizione dei luoghi e perseveranza del progetto
Rispetto alle tendenze contemporanee, il tratto più anticonvenzionale nella visione di Rebecchini progettista sta proprio nella difesa della dimensione umana dell’architettura. “Quando io ho cominciato c’erano studi piccolissimi, come quelli di certi architetti inglesi. Erano qualcosa di simile a un laboratorio”, ha ricordato Giovanni Rebecchini, a margine dell’incontro all’OAR. “La tragedia adesso è che più nessuno lavora a mano libera. Una tragedia assoluta che fa malissimo all’architettura, perché tutto ciò che è tecnologico non è umano. È vero che il disegno con il computer è perfetto nei dettagli, ma è molto interessante vedere come nasce un progetto. Non posso iniziare un progetto se non faccio un disegno a mano libera, che mi consente rapidi tentativi immediati per fare uscire fuori l’idea”.
La coerenza degli architetti passa anche per il rispetto delle differenze e del genius loci. “Ho sempre pensato che bisogna progettare seguendo il contesto, ancorare l’idea al luogo in cui si progetta. La occidentalizzazione di tutta la Terra ha portato alla costruzione di città supertecnologiche tutte uguali, popolate di grattacieli che, per me, sono una cosa folle. I riferimenti al luogo devono esserci perché altrimenti, quando appare tutto uguale, il mondo è di una tristezza desolante. Rimanere ancorati alle proprie tradizioni, alle proprie consuetudini è un sistema per andare controcorrente verso il miglioramento”.
La lectio è stata una occasione per fare luce anche sulle difficoltà – tecniche, burocratiche, economiche – che gli architetti possono incontrare, ma devono imparare a contrastare, quando vogliono portare a termine le proprie opere. “Nella via vita, ho avuto come esempio il tennis: certe volte perdevo 7-5 e poi 5-3, ma poi mi dicevo ‘devo vincere’, rimontavo e mi aggiudicavo il torneo. Secondo me bisogna sempre lottare come quando si gioca a tennis”, suggerisce Giovanni Rebecchini. “Se uno crede in un progetto, deve fare tutto quello che può per realizzarlo: a quel punto, anche se non riesce, potrà dirsi comunque soddisfatto”.
Immagine in evidenza e foto delle gallerie: Ludovico Sargolini