di Redazione OAR
Non è facile immaginare come cambieranno gli spazi della vita quotidiana, dalla casa alla città, dopo il Coronavirus: di certo, però, saranno caratterizzati dalla massima trasformabilità e flessibilità. È il concetto chiave della riflessione di Alessandro Casadei, socio e cofondatore di Aka Project (insieme a Federica Caccavale e Paolo Pineschi), studio di architettura con base a Roma, nato nel 2000 come un network di architetti attivi in diversi paesi europei.
«Non so come sarà la città dopo il Coronavirus – afferma l’architetto -, ma forse ce ne sono già da adesso degli indizi. Stiamo infatti attraversando una trasformazione epocale che coinvolge tutta la nostra società, che sta cambiando i nostri stili di vita e gli ambienti in cui viviamo, primo fra tutti le nostre abitazioni, diventate altra cosa rispetto a quelle che avevamo progettato».
In questa fase di emergenza, con la conseguente reclusione forzata di tante persone tra le mura domestiche, «le case concentrano nuove funzioni al proprio interno: sono diventate spazi di lavoro, un’estensione delle aule scolastiche e universitarie, addirittura delle piccole palestre o degli spazi per concerti». Parallelamente, aggiunge Casadei, «la città si è svuotata ed è diventata più rarefatta: presto saremo chiamati proprio a ripensare gli spazi collettivi, a trasformarli».
La flessibilità degli spazi sarà al centro del lavoro degli architetti per il post Covid19: «La capacità di pensare al mondo che ci circonda come a uno spazio in perenne trasformazione è quello che porteremo con noi anche dopo questo periodo – spiega il socio di Aka Project -. Dovremo infatti pensare alla città, ai nostri ambienti di lavoro, alle abitazioni come spazi pronti ad essere trasformati. L’essenza dell’architettura dopo il Coronavirus sarà nella ricerca di spazi trasformabili, flessibili, pronti ad accettare ogni mutazione che avverrà nella nostra società».
(FN)