Attribuire nuove funzioni alle architetture del passato può diventare la scelta più adatta a garantire il futuro del nostro pianeta, consentendo di riutilizzare risorse preziose, e sicuramente costituisce una sfida per i progettisti, chiamati a confrontarsi con forme e tradizioni costruttive di un altro tempo: il tema della sostenibilità si è imposto come premessa metodologica ai contributi dei relatori che hanno preso parte alla conferenza internazionale “Recupero e riuso in architettura” (giovedì 24 ottobre 2024), messa in programma come evento formativo dall’Ordine degli Architetti di Roma (OAR) presso la sua sede nel Complesso monumentale dell’Acquario romano / Casa dell’Architettura. All’evento, che si è svolto con il coordinamento scientifico di Arianna Callocchia, sono intervenuti Matti Lassila, Ambasciatore di Finlandia in Italia (intervento video registrato), Elisa Kempe, Vice Capo Ufficio Culturale, Ambasciata di Germania in Italia, Chiharu Umezawa, Primo Segretario, Ambasciata del Giappone in Italia, Juncia Avilés Cavasola, Consigliera di Cooperazione Internazionale, Ambasciata del Messico in Italia, introdotti dai saluti di Marco Maria Sambo, Segretario OAR e Direttore AR Magazine.
Avviando la sessione di talk, che, dopo la lecture di Joerg H.Gleiter, Professore di teoria dell’architettura, TU Berlin, ha dato spazio a Sou Fujimoto, Fondatore, Sou Fujimoto Architects, Giappone (intervento su ZOOM), Ilkka Salminen, Partner Fondatore, Verstas Architects, Finlandia, Tatiana Bilbao, Fondatrice, Tatiana Bilbao Estudio, Messico (intervento su ZOOM), Alexander Bonte, Member of the Management Team of Max Dudler, Germania, il moderatore Luca Ribichini, Professore di Disegno, Facoltà di Architettura, Sapienza Università di Roma, ha focalizzato lo spirito del convegno: “La nostra disciplina è composta da due elementi fondamentali: da una parte l’aspetto teorico, da una parte l’aspetto pratico. Questa è una peculiarità importante di noi architetti e credo che questa capacità di avere diversi punti di vista, provenendo da diverse realtà, anche a livello internazionale, rappresenti un modo valido di confrontarsi. Ho appuntato una cosa che diceva italo Calvino e la voglio condividere con voi: il fatto di avere una cultura – lui parlava in generale, io mi riferisco in particolare alla cultura architettonica – non significa sapere tante cose, ma dare senso a quello che si sa e dargli costrutto. È importante il confronto, il dibattito tra le varie visioni di cosa possano essere il recupero e il riuso, per dare felicità alle persone che abitano”.
La sostenibilità in sette tesi e l’elogio del postmodernismo
Approfondendo il concetto di architettura sostenibile, Joerg H.Gleiter ha proposto una visione articolata, che presuppone la riscoperta di una attitudine all’armonia con l’ambiente e al rispetto della dimensione umana, in qualche modo originaria, risalente agli albori della civilità: “La sostenibilità è uno dei concetti di base dell’architettura fin dall’inizio (…). Oggi, tuttavia, la questione della sostenibilità sta ritornando, ma su un livello più ‘elevato’: ritorna con nuove domande, in risposta alle esigenze della società industriale e anche postindustriale, con una nuova sensibilità per l’ambiente, con una nuova consapevolezza dell’unità di uomo, materia e terra”.
Per non svuotare di significato la parola sostenibilità, che “non è un valore aggiunto, è la sostanza stessa dell’architettura”, bisogna interpretarla in senso pratico, come strumento con cui orientarsi nella progettazione, e coglierne anche gli aspetti che trascendono la tecnica, in modo da liberarsi dei vincoli che hanno – secondo Gleiter – limitato le potenzialità espressive dell’architettura moderna. L’idea di sostenibilità, in relazione all’architettura si sviluppa in sette tesi, corrispondenti ad altrettante linee guida: sostenibilità integrale; adeguatezza / appropriatezza; eccesso di energia; eccesso di forma; permanenza; storia e memoria; progetto utopico.
Per realizzare architetture sostenibili, i progettisti devono tenere in considerazione le peculiarità dei luoghi in cui intervengono, la storia e le specifiche necessità dei gruppi sociali, assecondando la propria naturale propensione a creare forme eccessive. Mediante il recupero, gli architetti, che devono riappropriarsi della capacità di immaginare “nuove possibilità di vita migliore”, possono da un lato risolvere la questione pratica di rispondere a esigenze funzionali, derivanti dall’energia vitale dell’umanità, e dall’altro consentire la continua evoluzione degli edifici nel tempo.
“Un elemento centrale del modernismo” rileva Joerg H. Gleiter “(…) è che il nuovo debba essere costantemente sostituito da qualcosa di ancora più nuovo. (…) Se dovessimo sostituire le vecchie teorie del modernismo con teorie nuove della sostenibilità, ricadremmo in quello che vogliamo in realtà superare. Questo ci porta al punto centrale dei dibattiti sulla sostenibilità. Non c’è dubbio che l’architettura moderna abbia escluso e represso il concetto della sostenibilità dalla sua consapevolezza, in ossequio alla ideologia, alla logica della produzione meccanica e della società dei consumi. (…) Una teoria contemporanea della sostenibilità deve correggere il fine dell’architettura moderna, non sostituirla. C’è un precedente (…). Il postmoderno, in particolare il postmoderno come è stato sviluppato e praticato in Europa, e soprattutto qui in Italia, non proponeva una teoria architettonica tutta nuova; si è invece preoccupato di recuperare una parte del concetto di architettura che il modernismo aveva abbandonato consapevolmente e in parte, talvolta, anche inconsapevolmente: la storia, l’architettura come mezzo di comunicazione, la memoria, la tradizione, e così via. Quello che oggi manca davvero è una teoria culturale della sostenibilità”.
Lo sguardo globale sul recupero sostenibile: Sou Fujimoto, Ilkka Salminen, Tatiana Bilbao, Max Dudler
I temi proposti al pubblico della conferenza, che ha affollato la Sala centrale dell’Acquario romano, sono stati affrontati attraverso i progetti di quattro importanti studi internazionali, Sou Fujimoto Archtects, Verstas Architects, Tatiana Bilbao Estudio, Max Dudler Architects, commentati in prima persona dai fondatori – con l’eccezione di Max Dudler, rappresentato da Alexander Bonte del Management Team. Le opere di riuso e recupero realizzate in tutto il mondo, in contesti molto diversi, ma accomunate dalla finalità di attribuire una destinazione d’uso attuale a strutture di altre epoche, ovvero a zone con un delicato equilibrio tra natura e costruito, hanno offerto l’occasione di leggere in termini di sostenibilità l’integrazione dei materiali tradizionali nelle soluzioni tecniche contemporanee , come il giunto smontabile delle strutture in legno di Sou Fujimoto o l’insieme di accorgimenti applicati da Max Dudler in due edifici di Francoforte risalenti agli anni ’70 “per adeguarli agli standard degli edifici di oggi”.
L’approccio sostenibile al recupero è stato descritto anche dal punto di vista della preservazione dei valori di comunità e della protezione di particolari habitat, rispettivamente, nella Lauttasaari Church di Verstas e nel Culiacan Botanical Garden sviluppato da Tatiana Bilbao – a conferma della complessità di interventi che, secondo la definizione di Sou Fujimoto, “contribuiscono a conferire un nuovo valore al patrimonio esistente con un notevole impatto sul territorio a livello sociale, culturale, economico e ambientale”. Gli architetti dello studio Verstas, nel rimodellare l’edificio religioso che “ospita le attrezzature di due congregazioni (…)”, sono stati “molto attenti a migliorarne la funzionalità e a riuscire a realizzare sedi che soddisfacessero le esigenze degli utenti finali”. La nuova configurazione del Castello di Hambacher, che è valsa numerosi riconoscimenti a Max Dudler in Germania, “aspirava a mettere in risalto le strutture storiche esistenti senza alterarle con modifiche significative, con l’intento di rendere più chiaramente leggibili le connessioni tra spazi e periodi diversi”.
Collegata in videoconferenza dal Messico, Tatiana Bilbao ha inserito nel dibattito una ulteriore interpretazione della sostenibilità in architettura, introducendo l’argomento delle disuguaglianze tra aree diverse della Terra, che in fondo è speculare al tema della memoria storica. Noi esseri umani dobbiamo “vivere in posti che ispirino la nostra vita, diano nutrimento alla nostra esistenza. (…) [e] viviamo in comunità perché siamo interconnessi e interdipendenti”, ma ciascun gruppo, in base al luogo in cui risiede, al livello di benessere, alla quantità di risorse disponibili, intende l’abitare e il riuso degli edifici in modi molto diversi. Una delle qualità richieste agli architetti che si apprestano a progettare il recupero di singoli complessi o intere città è la capacità di comprendere che non esiste un modello standard di sostenibilità esportabile ovunque: se non tiene conto delle differenze, ”l’architettura può diventare un atto di colonizzazione, perché contribuisce a impiantare un modo di vivere”.
Immagine in evidenza: New Administration Emmen, visualisation: loomn Architekturvisualisierung, courtesy of Max Dudler
Foto della Gallery: Daniele Raffaelli