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Architettura
09 Maggio 2024

Giuseppe Perugini: quando la vita è un inno all’architettura

La composizione architettonica sopra ogni ragionamento formale, la sperimentazione oltre la conoscenza acquisita, l’innovazione come motore di una metamorfosi che permette al costruito di aderire alla realtà.

Un romantico sognatore della filosofia architettonica a cui non fa mancare concretezza e determinazione.

Questo è Giuseppe Perugini, classe 1914, nativo di Buenos Aires, architetto e docente alla Facoltà di Architettura di Roma, ma anche Presidente dell’Ordine di Roma e Lazio dal 1962 al 1966.

A 110 anni dalla nascita, l’Ordine degli Architetti PPC di Roma celebra il Maestro della scuola romana, convinto sostenitore del concorso di progettazione come strumento di qualità architettonica, la cui professionalità ha ambito alla commistione di innovazione tecnologica e poesia dell’architettura.

Arrivato in Italia molto giovane per divenire scultore, si dedica all’architettura grazie ad un infortunio al braccio mal risolto che gli ha limitato la mobilità dell’arto ma permettendogli comunque di disegnare e dipingere ad alti livelli.

Di quella passione iniziale resta un forte senso plastico trasferito nei suoi interventi architettonici anche a scala urbana.

“Nelle sue opere traspare, oltre l’aspetto di innovazione tecnologica e sperimentazione, anche quello di una architettura quasi scultorea dove gli spazi, anche grazie all’uso sapiente della luce, vengono modellati attraverso la scomposizione delle parti e ricomposti in una ordinata sequenza spaziale dell’organismo architettonico”, osserva Giuseppe Parisio | Coordinatore scientifico del convegno.

Vive gli anni Trenta immerso nelle Avanguardie, nel secondo futurismo e nelle tendenze razionaliste, tanto da frequentare artisti, professori ed intellettuali del calibro di Guttuso, Libera, Cagli, Sapegno (suo compagno di corso), Del Debbio (professore di cui fu assistente), Sacripanti, Zevi, Pellegrini, Sartogo, Passarelli.

Insieme ad Uga de Plaisant, una donna di antica nobiltà francese conosciuta all’università, forma un sodalizio privato e professionale, che molto ha donato alla storia dell’architettura: due anime architettoniche che hanno affidato al dialogo e al confronto continui la tensione progettuale.

“Recente la ricerca Tecniche Sapienti, finanziata con fondi de La Sapienza e coordinata da Claudia Mattogno, che si è proposta di indagare e riscoprire le figure di donne che ne hanno attraversato le aule e come studenti, assistenti o docenti e, nel trovare la loro strada, hanno contribuito ad animarne la vita scientifica – racconta Rosalia Vittorini | Professore associato, Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa, Università di Roma Tor Vergata – Tra queste Uga de Plaisant che con coraggio e risolutezza ha condiviso una democrazia dell’architettura in casa, grazie al continuo confronto con il marito Giuseppe prima e poi anche con il figlio Raynaldo. Fa parte di quelle pioniere a cui la comunità scientifica e la società tutta non hanno mai reso il giusto merito per questioni di genere”.

In maniera dirompente il sodalizio architettonico utilizza un nuovo metodo di composizione architettonica: divenuto desueto il lessico storicista, va ripensata l’architettura alla luce del mondo attuale, in cui i vecchi modelli sono inapplicabili. Un percorso che nulla ha di confortante, anzi diviene impresa spericolata che dà vita a costruzioni sperimentali sì, ma sempre concretamente realizzabili.

“Perugini era uno spericolato, che credeva nella necessità di continuo cambiamento e nella rivoluzione della tecnica – spiega Luigi Prestinenza Puglisi | Presidente dell’Associazione Italiana di Architettura e Critica – L’architettura ha preso invece un’altra linea che si avvicinava agli ideali classicisti più moderati, rallentando quella voglia di stare al passo con i tempi attraverso la sperimentazione”.

Rimane quindi un’ansia interiore che diviene tratto positivo quando è tentativo di entrare in relazione con nuovi modi di vivere.

“Le sperimentazioni a volte falliscono, ma aprono orizzonti che si stabilizzano e si consolidano, divenendo idee perpetue”, conclude Prestinenza Puglisi.

E’ l’architetto Masino Valle a dipingerne un ritratto più personale. Lui che porta ancora nel cuore la dedizione sopra ogni limite del suo Maestro nei confronti dell’architettura, il suo dedicarsi al progetto fino all’ultimo respiro, senza risparmiarsi mai.

“Il mio rapporto con Perugini non era solo quello di studente con il proprio professore, ma molto di più. Eravamo una famiglia – ricorda Masino Valle – Verso la fine del mio percorso universitario ebbi il coraggio di chiedergli di partecipare assieme ad un concorso. Avendo promesso di occuparmi di tutto ciò che di noioso prevedeva la procedura concorsuale (plastici, spedizioni, burocrazia), mi accontentò. Fu così che ricevemmo una menzione d’onore per l’Enrico Fermi Memorial a Chicago”.

“Un instancabile lavoratore. Mio padre era innamorato del suo lavoro e non faceva alcuno sforzo a dedicarsi all’architettura – racconta Raynaldo Perugini | Architetto e storico dell’architettura, figlio di Giuseppe – Lavorava 350 giorni l’anno ed i restanti 15 viaggiavamo per toccare con mano le architetture contemporanee. Da questa sua impostazione di dedizione nasce la scelta di costruire la nostra casa per le vacanze a Fregene, da cui Roma era facilmente raggiungibile. Mio padre era assistente di Del Debbio all’Università, che lo convinse ad andare in vacanza a Forte dei Marmi. All’epoca stava all’area di servizio API di Fabro sull’Autostrada del Sole, che inviò un aereo con volantini pur di ritrovare il Prof. Perugini per questioni urgenti. Da allora, non si allontanò più molto dallo studio”.

Profondo il suo rapporto con la storia, assorbita intrinsecamente per poi essere riproposta da progettista, previa profonda interiorizzazione e rielaborazione.

Nel progetto delle Fosse Ardeatine la lastra è leggermente inclinata per correggere l’aberrazione ottica ed è bombata e incavata dentro per evitare un senso di schiacciamento. Inoltre la costruzione è sospesa in sei punti per lasciare un taglio di luce che la fa galleggiare come Santa Sofia a Costantinopoli. “Involontariamente ha inclinazione analoga a quella del Partenone – osserva il figlio Raynaldo – Era un grande conoscitore della storia dell’architettura che indagava con disegni molto espressivi. La storia è grammatica, ovvero tutto quello che è classico, proporzioni, rapporto aureo, mentre i vocaboli sono gli stili. E lui maneggiava questo lessico con estrema abilità”.

Presente in ogni opera un messaggio concettuale come idea primordiale della progettazione, che poi prende forma acquistando funzione chiara, ma talvolta mutevole. Così nei palazzi di giustizia di Piazzale Clodio richiama la strada attraverso camminamenti in sampietrini a ricordare che nell’antica Roma la giustizia era nel Foro e che il suo carattere deve essere concreto.

Tra le sue opere più immaginifiche il ponte circolare sullo Stretto di Messina (1969) la cui forma ben si adatta alla resistenza ai venti ed ai sismi, le torri ad elica con sale girevoli del concorso per Plateau Beaubourg a Parigi (1971) e l’ospedale cibernetico di Pietralata (1967) a Roma con moduli in movimento attorno al paziente.

Forse l’opera più interessante, in collaborazione con Uga de Plaisant e il figlio Raynaldo, è la casa di Fregene, conosciuta come Casa Albero per il suo essere in continua evoluzione. Iniziata negli anni ’60 ed ancora volutamente incompiuta, nella sua estrema plasticità sottolineata dal cemento a facciavista in contrasto col rosso vivo degli infissi, mostra la possibilità di vivere in un modo diverso dal tradizionale, nonostante i limiti di un tentativo abitativo. Senza pareti né destinazioni specifiche, può crescere all’infinito.

“Perugini in questa architettura elabora una nuova scomposizione della forma per costruire un luogo per l’abitare – spiega Marco Maria Sambo | Segretario OAR, Direttore AR Magazine “È una lezione zeviana, in cui la libertà della progettazione vince e la dinamica trova poi le funzioni adatte all’abitazione. In questa casa Giuseppe Perugini può esprimere tutta questa libertà espressiva. I disegni progettuali e gli schizzi di progetto mostrano questa volontà di continua ricerca. Non è solo una ricerca formalista, ma è una sperimentazione sulle nuove e possibili caratteristiche dell’abitare, in mezzo alla natura. Quindi rappresenta una ricerca organica di habitat, alla piccola scala. Perugini, in alcune sue opere, riesce a prefigurare nuovi habitat, nuove prospettive, nuovi scenari”.

di Giulia Villani

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