Il disegno come momento iconico nel quale il processo progettuale raggiunge l’apice.
Libertà ed idealità imperano nel gesto della mano sulla carta, lasciando che il pensiero più profondo dell’architetto emerga senza filtri.
Da qui l’importanza di conservare e valorizzare i disegni di architettura, spesso non adeguatamente considerati.
Questo l’obiettivo della mostra L’Architettura ed il suo doppio, curata da Luca Ribichini, architetto e docente di Disegno della Facoltà di architettura de La Sapienza, incentrata su Franz Prati, esponente di rilievo annoverato tra gli architetti che pongono al centro della progettazione il disegno.
“A Franz Prati il merito di aver materializzato su foglio opere vive, nei cui segni è possibile intravedere il processo creativo” commenta Luca Ribichini.
Laureatosi all’Università IUAV di Venezia nel 1969, è a partire dagli anni Settanta, a Roma, che ha dedicato disegni di visioni immaginifiche, fonti di innovazione e cultura.
Particolarmente interessato al rapporto tra città ed architettura, nei suoi schizzi appaiono le stratificazioni della città consolidata e le nuove architetture da lui stesso ideate, in un vortice di sovrapposizioni e dicotomie (effimero e permanente, leggero e pesante, spazio e relazioni) alla ricerca del dialogo perfetto tra antico e contemporaneo. Molte sue opere sono raccolte negli archivi del Deutsches Architekturmuseum di Francoforte, del Centre Pompidou di Parigi e del Maxxi di Roma.
Le sue utopie realistiche mostrano che il disegno è incipit di un’idea priva di legacci materiali, quando ancora tecnica, tecnologia ed economia sono componenti premature per il progetto.
“Nella società di oggi, imbrigliata in normative e fattori economici, la capacità di immaginare acquista ancora più importanza – spiega Luca Ribichini – lo schizzo architettonico costituisce il momento iniziale, in cui testa e mano dialogano alla ricerca della massima espressione del pensiero dell’architetto. L’architetto non può prescindere dal segno grafico, perché quell’atto creativo è indispensabile per far vivere meglio le persone, vera missione della professione”.
La scintilla progettuale su carta diventa quindi un tutt’uno con la realizzazione dell’architettura. E proprio per questo molti schizzi sono portatori di valori, idee, suggestioni, capaci di influenzare generazioni, al di là delle epoche e degli spazi.
È Lucia Re, autrice del libro Ritratto in Movimento, Conversazione con Franz Prati, a raccontare l’evoluzione delle sue opere nel tempo: “Da persona con competenze non specifiche, mi sono approcciata a lui con la mia visione letteraria. Dai primi lavori degli anni ’80, di natura strettamente architettonica, si è passata ad una dimensione più immaginifica in tempi recenti. I suoi disegni rappresentano un’esperienza sensitiva, in cui ammassi di materia spesso primitiva (pietre e cemento per lo più) ribadiscono la loro forza, pur fluttuando in qualcosa di più effimero che può essere acqua o un’onda sonora. Ho trovato molto del mio modo letterario nelle sue opere, tanto da averlo definito un jazzista delle immagini”.
Accanto a Prati si collocano Maestri come Franco Purini, che ha espresso con il segno grafico profonde concettualità, o Daniel Libeskind che alla Biennale di Venezia ha definito il disegno essenza del mistero per la sua capacità di contenere esperienze, emozioni, immagini introiettate. Senza dimenticare Sant’Elia e Le Corbusier che hanno teorizzato la fine della città orizzontale per lanciarsi nel verticalismo gigantesco della città contemporanea, propedeutico alla nascita di agglomerati urbani affollati, che hanno ispirato il film Metropolis (1927) di Fritz Lang.
Può un architetto prescindere dal bel disegno, dote spesso naturale? Se si pensa che Aldo Rossi, primo architetto italiano a ricevere il prestigioso Pritzker Architecture Prize, fu invitato da un suo professore a lasciare la facoltà di architettura per via del suo “disegnar veramente male”, è palese come il sapersi esprimere attraverso il disegno sia un frutto di un processo di apprendimento per cui la conservazione e tutela dei disegni in appositi archivi diviene imprescindibile.
«Ho sempre visto l’architettura tra queste due grandi componenti o questi due confini: da una parte il suo modo di realizzarsi (nella rappresentazione e nella costruzione), che corrisponde grosso modo a quello che chiamiamo tecnica, e dall’altra il suo riferirsi alla città, come riferimento e fondamento dell’architettura. Per questo considero i disegni d’architettura in modo molto serio, anche e specialmente quando cercano di avvicinarsi o di spiegare meglio il significato di un’opera. […] Il fatto di trasformare, deformare, collocare il progetto in luoghi e situazioni diverse, appartiene piuttosto a una volontà sperimentale, una specie di verifica dell’opera da differenti esempi e immaginabili punti di vista, che a una astrazione» (Aldo Rossi)
Franz Prati: il disegno come matrice di un’idea in divenire
Abile disegnatore, stimolante docente di progettazione architettonica, ma anche pittore, scenografo e designer, Franz Prati si laurea in Architettura allo I.U.A.V. nel 1969. Dopo aver insegnato a Venezia, si trasferisce a Roma negli anni Settanta.
Numerosi i concorsi di architettura nazionali ed internazionali vinti (Lungolago di Lovere, la Nuova Piazza Dante a Genova, la sistemazione dal monte Sant’Elia a Palmi, la “Casa più bella del mondo”).
Più volte impegnato in progetti relativi alla Triennale di Milano ed alla Biennale d’Architettura di Venezia, parte delle sue opere sono state acquisite dal Deutsches Architekturmuseum di Francoforte, dal Centre Pompidou di Parigi e dal Maxxi.
Maestro Prati ci racconti del disegno e di cosa ha rappresentato per Lei.
“Il disegno è fondamentale per ogni architetto: è il primo segno da cui si innesca il processo fino alla realizzazione. È idea sorgiva che diventa genere letterario, analogamente a quello pittorico o letterario. Il disegno racconta ciò che l’architetto pensa e la sua visione della società in relazione al tempo che egli stesso vive. È la sua poetica ed il suo rapporto con la concretezza dei luoghi dove viene ad operare. Nel mio caso è elemento chiarificatore tra architettura ed arte, che ha la stessa autorevolezza del progetto realizzato. Contiene suggestione ed interpretazioni della visione per il futuro, è un messaggio lanciato perché illustra un concetto o un racconto da trasmettere”.
Ed ancora, dopo un sospiro che sa di un rapporto profondo con il gesto della mano:
“Il disegno è una cosa bella, è la mia vita e ciò per cui ho una certa riconoscibilità. È uno strumento intermedio, un non finito da tradurre ed interpretare perché in mutamento continuo. Contiene un messaggio di sviluppo, al contrario del disegno digitale che è fredda ripetizione dell’uguale. Il disegno a mano e i rendering possono essere paragonati a qualcosa di artigianale o, meglio, arcaico ed il seriale.
Basta una sanguigna o cartoncino per raccontare una città, come nel disegno Scrittura di una Città, esposto nella mostra L’Architettura ed il suo doppio, alla Casa dell’Architettura, che contiene una cinquantina di opere”.
Il disegno si può insegnare?
“Il disegno non è pulito né restitutivo… In un quadro dimenticato di Piranesi, una sorta di autoritratto, c’è una scritta in dialetto veneziano, che per me vale molto: «Sporcando trovi». Questa è l’essenza del disegno. Quelli di Le Corbusier sono catturanti e meravigliosi, ma non di per sé bei disegni. Quelli di Louis Kahn sono diversamente affascinanti, accattivanti e seduttivi, fatti con il gesso (come quelli a Piazza del Campo a Siena), ma certamente non accademici e non alla ricerca del bello restitutivo. Poi c’è chi non ce la fa a disegnà…. Possono inventarsi altro: un plastico, un collage, un modello. Tra i bozzetti di terracotta di Canova, di circa 40 cm, l’idea è subito detta e poi segue un’action painting alla Pollock. La struttura primaria è il messaggio che vive al di là dell’estetica. I disegni di Ignazio Gardella non sono raffinati, ma interessantissimi rispetto alla struttura che segue”.
Oggi il disegno che ruolo ha nell’architettura?
“Oggi nessuno disegna più. La mostra delle mie opere è un guardar storicamente. Tuttavia, anche nei grandi studi, dove il progetto è parcellizzato, credo si parta da uno schizzo. Insistiamo a credere nel disegno architettonico, che non è belle arti, per aiutarci a capire i rapporti del costruito. L’iperrealtà non fa sognare, il gesto della mano su carta sì. A Genova, ho fatto delle lezioni disegnate spiegando Borromini con disegni su carta da spolvero da 1,50×5-6 metri per analizzare, per esempio, il rapporto tra la Chiesa Nuova e le preesistenze”.
Da Professore di progettazione architettonica, esiste un metodo per insegnare ad uno studente ad essere un bravo architetto?
“Al di là della manualistica francese del ‘500 e del periodo Illuminista, una buona architettura nasce da un processo preciso. Capire innanzitutto che la progettazione nasce sempre da una dimensione contestuale e poi, una volta estrapolati i vincoli che il contesto dà, capire che questi sono una risorsa. La seconda fase invece consiste nel tornare al disegno iniziale ed alla sua dimensione insediativa che è quell’ossatura su cui non si è disposti a trattare e su cui si possono sovrapporre i vari linguaggi, che sono tutti validi, al di là di quanto imposto dai manuali”.
Qual è il ruolo dell’architetto oggi?
“Negli ultimi 15-20 anni gli amministratori si sono legati alle grandi firme degli archistar, perdendo di vista delle urgenze incredibili legate all’architettura, come il cambiamento climatico, l’etica professionale, le economie diverse da quelle che portano alle guerre. La mancanza di visione di chi gestisce la Res Pubblica non ha considerato la storica capacità degli architetti di precorrere i tempi”.