Affermare un linguaggio innovativo rispetto alle categorie fissate dai maestri del passato, individuare e valorizzare gli innesti metabolizzati dal tessuto degli abitati storici, portare al centro del dibattito il tema della precarietà, che connota il ritmo vitale delle persone e altera la percezione del tempo: nella sessione intitolata “ORA” (28 settembre), la sesta edizione del Festival dell’Architettura di Roma (FAR), organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma e provincia (OAR), ha fissato le tendenze che emergono dalle esperienze creative di progettisti contemporanei, e dalla lettura delle opere di architetti e urbanisti condotta da figure provenienti da altri contesti professionali.
Alla Casa dell’Architettura / Complesso monumentale dell’Acquario romano, sede dell’OAR, il tema della decodificazione del presente è stato affrontato in una serie di incontri, idealmente collegati dalla impronta multidisciplinare, che ha messo in risalto la complementarietà del ruolo degli architetti – chiamati a sviluppare l’evoluzione futura della città a partire dalla esistente – con la funzione degli interlocutori degli enti pubblici, dei rappresentanti del mondo produttivo, degli intellettuali. Inoltre, nell’ambito del percorso di coinvolgimento e partecipazione alla base di FAR 2024, il programma ha posto i termini del confronto tra architetti e realtà urbana in relazione alle esigenze che la cittadinanza avverte ora.
“Questo Festival ormai è diventato un processo, un dispositivo culturale (…)”, costruito “attraverso non solo parole, ma anche azioni concrete, per creare nuove alleanze tra istituzioni e cittadini, abitanti e architetti” ha premesso Alice Buzzone, Direttrice FAR e Consigliera OAR, introducendo i lavori. “L’intento è procedere in una direzione che non va solo verso noi stessi, verso le nostre case, verso i nostri progetti, ma verso Roma e il suo territorio, sperando che gli stimoli che lanciamo da qui vengano colti da altre città, nel segno di una politica culturale nuova”.
Si veste di “grazie” il design di arredo nei centri storici
L’appuntamento targato Match, Design! con la serie di talk moderati da Alessandro Gorla e Paolo Casicci ha dato il via agli eventi della terza giornata di FAR 2024, coinvolgendo relatori e pubblico nella discussione sulla fisionomia del disegno creativo contemporaneo, con un approfondimento sulla sfida rappresentata dalla ideazione di elementi di arredo per gli spazi pubblici nelle città d’arte. Il dialogo con Alessandro Stabile, industrial designer, e Filippo Pernisco, Accademia Italiana – Arte Moda Design, ha evidenziato l’urgenza dei giovani creativi di formulare una propria interpretazione del confronto tra passato e presente, senza timore di stravolgere i dogmi fissati dalle precedenti generazioni.
Rispetto alla tendenza a riprodurre in copia prototipi vintage o, sul versante opposto, a ricorrere a schemi stilizzati e privi di qualsiasi divagazione formale, esiste tra le nuove leve del design di arredo uno slancio estetico che punta a rielaborare la storia e ad assorbirne l’essenza nel proprio repertorio di segni. “In città come Roma, ma anche in qualsiasi centro storico italiano o europeo”, i proprietari di strutture ricettive spesso non hanno “la propensione a scegliere un arredo contemporaneo che si inserisca in quei contesti creando una sorta di contrasto e dialogo con la contemporaneità” ha osservato Stabile, che ha poi utilizzato la metafora del graziato contemporaneo: “esattamente come nei caratteri tipografici esistono il ‘bastone’ [o font senza grazie] e il ‘graziato’, possiamo dire che il design negli ultimi anni, subendo anche molto l’influsso scandinavo, è diventato un design tutto ‘bastoni’, tutto lineare, pulitissimo, dove si cerca sempre di sottrarre; eppure, l’altra faccia della medaglia è quel graziato che è possibile rendere contemporaneo”.
Abitare effimero: la suggestione dell’accampamento
Nel corso dell’incontro con Gian Paolo Venier, designer e art director, e Alessia Anfuso, scenografa, la riflessione sul concetto attuale di abitazione si è soffermata sul “terzo spazio”, che si configura come passaggio intermedio tra interno ed esterno, generato dalla intersezione tra i due. In seguito all’esperienza della pandemia, il desiderio di avere a disposizione uno spazio fuori dall’involucro delle pareti, ma ancora compreso nel tracciato privato della casa (terrazze, balconi, giardini), ha accumunato molti, attualizzando in una esigenza contemporanea, dettata da un determinato evento storico, il concetto antico di hortus conclusus.
Sulla scia dell’analisi delle nuove forme dell’abitare, sono emerse anche le contaminazioni tra architettura e allestimento temporaneo di spazi, che si moltiplicano quanto più si afferma la tendenza degli individui a cambiare frequentemente lavoro, città, stile di vita. Se, inseguendo la stabilità precaria del contemporaneo, il progetto dell’abitazione diventa effimero, entra in gioco l’idea di accampamento / avamposto (Casicci): lo spazio abitativo non è definito una volta per tutte dagli architetti, il cui schema dovrà essere – come in un set teatrale – continuamente reinventato per adattarsi a nuovi occupanti e nuove necessità.
Ha evidenziato Venier, estendendo il ragionamento: “L’effimero oggi ha un valore decisamente più alto. Nel design di prodotto un tempo si diceva ‘Il prodotto deve durare tanto’; oggi deve essere funzionale al suo uso”.
Fotografia e architettura: il racconto della metamorfosi urbana
Alla Tavola rotonda Present, moderata da Marco Maria Sambo, Segretario OAR, Direttore AR Magazine, hanno preso parte tre fotografi con linguaggi e percorsi professionali molto diversi, ma accomunati dall’interesse a indagare le trasformazioni della città e coglierne i punti di partenza attraverso la storia. L’architettura contemporanea è il soggetto delle immagini realizzate da Flavia Rossi per l’Atlante del Ministero della Cultura e per lo Studio (“Nuovo patrimonio”) sulle strutture colpite dal terremoto del 2016 nell’Italia centrale, rappresentate nella mutazione impressa dagli interventi di consolidamento: “L’inquadratura è importante per quello che include, ma anche per quello che decide di escludere”.
Carlo Oriente, illustrando il suo progetto “Ab Use” e le sperimentazioni basate sugli scatti tramite Google Maps, ha introdotto il tema della città che si trasforma nel tempo. “La macchina fotografica è uno strumento che registra il passato: qualsiasi immagine venga scattata, un secondo dopo diventa passato. Il ruolo del fotografo, in quanto artefice delle immagini che scatta, è quello di costruttore, di inventore del passato (…). La relazione con il presente si mantiene spostando il discorso dall’aspetto formale della fotografia al tema che porta avanti”.
Autore del reportage “Roma. Silenziosa Bellezza”, sui panorami della Capitale svuotata dal lockdown, Moreno Maggi ha sottolineato quanto il drone riesca a estendere la capacità di comprensione dello spazio urbano, configurandosi come un vero e proprio “terzo occhio”, una nuova prospettiva che offre margini di regolazione della ripresa impensabili con la fotografia aerea. Sollevare il punto di vista consente di cogliere relazioni tra architetture che si delineano solo ampliando i margini dell’inquadratura, al punto da collocare nella stessa foto componenti della città contemporanea “disperse” se osservate alla quota della strada.
“Stabilendo determinati parametri, che sono le dimensioni, le altezze, gli sviluppi, etc., le architetture moderne non sono un elemento di disturbo; anzi, in una Roma come quella che conosciamo, la Roma storica che accetta stili e tendenze diverse, hanno possibilità di sopravvivere creando anche lì l’armonia”, ha affermato Maggi, attribuendo al fotografo il dovere etico di rappresentare l’architettura nella sua realtà, con le imperfezioni e le caratteristiche distintive del momento in cui è inserita.
La città del tempo precario e della “comparanoia”
La giornata FAR 2024 / ORA si è conclusa con l’intervento della filosofa Maura Gancitano, che si è soffermata a ragionare sugli effetti determinati dalla velocità e precarietà del lavoro sulla vita all’interno degli agglomerati urbani. Stabilendo la premessa che rendere più veloci i processi lavorativi non fa che moltiplicarli – senza rendere automaticamente più efficienti i lavoratori, si arriva alla conclusione che i ritmi stressanti, portati all’esasperazione dalla necessità di accumulare più impegni, possono tradursi in frustrazione, scarsa autostima, difficoltà di immaginare il futuro. Nell’ansia di aderire ad aspettative spesso autoimposte, c’è il rischio di sviluppare una paranoia da comparazione, o comparanoia, sentendosi minacciati dal paragone con gli altri.
Il malessere, che nei casi estremi conduce al burn out, si inasprisce scontrandosi con la difficoltà di fruire gli spazi in cui abitare e svolgere le proprie mansioni, con la mancanza di attrezzature di supporto, con gli ostacoli alla organizzazione di tempi e mobilità. “Questo ha a che fare molto anche con la forma delle città, perché, per esempio, a Roma si dedicano agli spostamenti 21 giorni lavorativi. E la città è ancora il centro del mondo del lavoro: nel mondo, il 60% del PIL viene prodotto dalle grandi città, però le città – e questo si collega al lavoro degli architetti – sembra stiano respingendo sempre più persone. [Tale fenomeno] ha a che fare con la questione abitativa, dei mutui, degli affitti, riguarda la vivibilità delle città”.
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