La percezione degli insediamenti urbani e delle singole architetture si arricchisce di una componente che, innestandosi sul sottofondo dell’ambiente naturale, include le manifestazioni sonore prodotte dalle attività umane: le ruote degli autoveicoli, il passaggio di una scolaresca, un cantiere edilizio, le campane di una chiesa, lasciano una traccia che contribuisce a generare una immagine non solo “visiva”. Alcuni suoni sono caratteristici di un determinato luogo perché riconducono a fenomeni che si ripetono costantemente, fino a diventare parte di un unico leitmotiv.
In occasione del webinar “La città sonora” (4 luglio 2023), coordinato da Emma Tagliacollo, Commissione Tecnica Formazione Ordine degli Architetti di Roma (OAR) – Referente percorso formativo Storia e Critica, architetti, ricercatori e studiosi dei linguaggi musicali si sono confrontati sulla capacità dei progettisti di padroneggiare questa geometria che può condizionare il modo in cui lo spazio viene fruito, sollecitando la sfera psicoacustica di chi si muove al suo interno. Le riflessioni sul “Paesaggio sonoro” o soundscape – “sonaggio”, secondo la definizione di Leonardo Zaccone, pedagogista musicale e performer, mediata dal termine latino sonaticus – trovano un punto di riferimento negli studi del canadese R. Murray Schafer che, sulla scia delle intuizioni di Kevin Lynch rispetto agli stimoli multisensoriali dai quali emerge l’immagine della città (1954) e a pochi anni dall’analisi di Michael Southworth (1969) sui centri urbani affollati da nuove “sensazioni non-visive”, pubblica il suo “The tuning of the world” (1977).
Schafer, secondo il quale “paesaggio sonoro è qualsiasi campo di studio acustico”, percepisce il rischio di non controllare la produzione dei suoni nel progetto delle città: “L’universo acustico in cui vive l’uomo moderno è radicalmente diverso da ogni altro che l’ha preceduto, con suoni e rumori nuovi (…). E fino a quando gli architetti non si stureranno le orecchie (…) l’architettura moderna andrà avanti con la sua imbecillità”. Il rumore, inteso come suono non desiderato, elemento di disturbo, “fattore di disordine”, inquina l’ambiente, e altera il rapporto tra umanità e natura.
D’altra parte i suoni possono diventare strumenti per rafforzare il significato dello spazio architettonico, come prospetta Martino Mocchi, autore del libro “Città di suono”, quando evidenzia il concetto di effetto sonoro, ovvero del modo in cui la suggestione indotta dal suono nell’ascoltatore assume una coloritura differente a seconda della morfologia dello spazio e della “disposizione psicologica dell’ascoltatore”. L’apertura alla soggettività nella lettura acustica dei luoghi stempera l’accezione negativa del termine rumore che, considerato in relazione all’esperienza dell’individuo, Zaccone definisce “un suono che non abbiamo ancora imparato a conoscere”.
Nell’ambito di “Creature Festival”, che ha lanciato un’iniziativa di mappa sonora partecipativa di Roma, il progetto Archisound ha sviluppato una lettura sonora stratigrafica della Capitale, a partire da tre ambienti sotterranei (2020), passando per tre architetture con affaccio panoramico (2021), per poi tornare alla quota urbana del cosiddetto Tempio di Minerva Medica, sperimentando l’esecuzione di musica dal vivo ai diversi livelli. Laura Calderoni, architetto e membro del team che ha curato l’edizione 2022 del festival, intitolata “Il suono si fa spazio”, considera le “chiavi di lettura di questi luoghi abbastanza inaspettate. L’approccio era divulgativo, ma comunque le persone si sono confrontate con ascolti non banali, in contesti in grado di restituire una complessità di percezione, ed emozioni legate alla bellezza della città”.
Se “la musica è l’architettura liquida” (J. W. Goethe), per tracciare una mappa sonora che rifletta la complessità urbana contemporanea, il repertorio deve includere i suoni della realtà con cui si riescono a disegnare dettagli anche attraverso le dissonanze e la ripetizione di sollecitazioni acustiche provenienti dalla produzione artigianale e industriale. L’opera di Luigi Nono – in particolare le composizioni “La fabbrica illuminata” (1964) e “Contrappunto dialettico alla mente” (1968), citate da Roberto Calabretto, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Ugo e Olga Levi – sono significative di una lettura priva di qualsiasi “naturalismo populista o popular”.
Il legame di Nono con Venezia e il suo modo di rappresentarla in musica costituiscono un riferimento per la Mappa sonora nata da una idea del professor Giovanni Morelli con l’intento di restituire le molteplici sfaccettature di una città contraddistinta da tratti peculiari (per esempio, l’assenza di traffico veicolare). Il curatore di Venezia Soundmap, Paolo Zavagna: “Le argomentazioni più convincenti rispetto alle mappe sonore sono sempre legate a fattori psico-emozionali. E soprattutto presentano un grandissimo paradosso: mentre una mappa fotografa una situazione statica, il suono deve essere rappresentato nel tempo”.