I temi “caldi” della professione: il ruolo dell’architetto, la qualità del progetto, l’equo compenso, ma anche le vecchie battaglie, quelle vinte e quelle che ancora si combattono. Di questo si è parlato giovedì 14 giugno nella sala del complesso monumentale dell’Acquario Romano in un confronto tra i presidenti che si sono succeduti alla guida dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia. Lo sguardo al passato incrocia poi il lavoro dei grandi maestri che hanno disegnato la città di Roma: sono i decani dell’Ordine, le cui opere offrono uno spunto per aprire un dibattito sull’architettura del Novecento.
«L’istituzione degli Ordini nasce dall’esigenza di offrire una garanzia ai cittadini, affinché questi possano affidarsi a professionisti competenti e preparati. Ordini che – va ricordato – sono enti pubblici che svolgono attività di carattere istituzionale», ricorda Alessandro Panci, presidente dell’OAR presentando il penultimo appuntamento delle giornate attraverso le quali l’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia ha celebrato il centenario della legge 1395 del 24 giugno 1923 che ha istituito gli Ordini e ha introdotto tutele per il titolo e l’esercizio professionale degli architetti e degli ingegneri.
Al centro del confronto ogni giornata ha posto il tema della qualità del progetto. «Progetto che vede i suoi benefici nel contribuire al progresso e che ha bisogno degli strumenti giusti per raggiungere questo obiettivo. Per questo dobbiamo sollecitare sia le sensibilità politiche, come abbiamo fatto il 6 giugno in una giornata dedicata al tema dell’accessibilità e il 7 giugno in un dialogo attivato con i parlamentari e lo continuiamo a fare anche oggi. Lo abbiamo fatto questa mattina, confrontandoci con altre categorie professionali, e ora continuiamo raccontando la storia dell’OAR con i presidenti che hanno portato avanti le azioni dell’Ordine nel corso del tempo». A moderare la tavola rotonda, insieme ad Alessandro Panci, è Cristina Morselli, pilastro della segreteria di presidenza, che ha ricordato che l’Ordine non è fatto solo di «cariche elettive, consigli e presidenti: dietro la loro azione c’è una macchina amministrativa che lavora, funziona e si impegna a supporto degli iscritti, della collettività e della committenza».
I “past president” a confronto
Amedeo Schiattarella, presidente dell’OAR dal 1999 al 2013 ha ricordato la nascita della Casa dell’Architettura. «La Casa dell’Architettura non nasce nella mia testa, ma erano stati già fatti dei tentativi precedentemente per realizzarla alla Casina delle Rose e successivamente dentro Villa Torlonia. Quando io fui convolto da Renata Bizzotto, insistei molto su questo tema della Casa dell’Architettura perché ritenevo che l’Ordine professionale, per poter svolgere la sua funzione di organismo a garanzia della comunità, avesse bisogno di una cassa di risonanza importante. Questo perché gli Ordini professionali, purtroppo, contavano pochissimo». Un iter non semplice, portato avanti con caparbietà che trovò la sua felice conclusione in concomitanza con l’elezione di Walter Veltroni a sindaco della Capitale.
«Il mio mandato risale ormai a poco meno di mezzo secolo fa. Io e Capolei siamo i ragazzi del 1933, abbiamo solo 90 anni! La mia esperienza all’Ordine incrocia un momento difficile, di coordinamento, di rappresentanza, di partecipazione», è il ricordo condiviso da Giancarlo Busiri Vici, presidente dell’OAR dal 1977 al 1980. «Quello che mi ha sempre mosso, sia durante il mandato a presidente dell’Ordine di Roma sia nell’esperienza al Consiglio nazionale, è stato stimolare la qualità nell’architettura. Per questo mi sono battuto in tutti i modi possibili e immaginabili», prosegue Busiri Vici. Tra gli obiettivi perseguiti durante la sua presidenza – ricorda l’architetto – vi era anche quello di «far capire alle forze politiche quale fosse il ruolo dell’architetto. Non sempre ci sono riuscito – racconta con rammarico -: perché c’era il pregiudizio che la nostra azione fosse mossa da intenti corporativi». Busiri Vici rivendica diverse battaglie: per i concorsi di progettazione di qualità, per il rinnovamento della legge del 1923, nonché il contributo dato per le disposizioni sulla libera circolazione degli architetti in Europa. Ricorda anche gli anni del terrorismo, nonché Sergio Lenci, architetto e professore all’Università Sapienza, scomparso nel 2001, al quale nel 1980, nel pieno degli anni di piombo, venne inferto un colpo alla nuca da quattro terroristi che irruppero nel suo studio. Attentato a cui sopravvisse miracolosamente.
Il dibattito si sposta poi sui temi più sentiti, come l’equo compenso, la qualità dell’architettura e le competenze professionali. «Il lavoro all’Ordine è delicatissimo e faticosissimo, nessuno se ne rende conto: dovete partecipare tutti il più possibile perché la nostra professione sta finendo. Io compio tra poco 90 anni e ho 63 anni di attività professionale alle spalle. Ai miei tempi c’erano i minimi inderogabili e lo dico subito: era un altro mondo. Oggi sono i committenti a decidere le tariffe professionali ed è una situazione gravissima: come possiamo ottenere la qualità e il rispetto del cittadino se siamo trattati in questa maniera. È impossibile», afferma Giancarlo Capolei, presidente dell’OAR dal 1992 al 1994, cui il 24 giugno, giorno del suo compleanno, l’OAR dedica un convegno. «L’architetto – prosegue Capolei – deve avere un ruolo di responsabilità nella società, ma occorrono due fatti importanti: essere pagato con una tariffa giusta e avere un committente illuminato. Noi con l’eliminazione dei minimi tariffari abbiamo perso senz’altro la qualità». Sul tema dell’equo compenso torna anche Alessandro Ridolfi, presidente OAR dal 2016 al 2017. «Una questione sulla quale ho inciso più direttamente – ricorda – è il tema dell’equo compenso, oggi diventato legge. Abbiamo provato a far capire alle istituzioni che l’equo compenso serve a garantire la qualità del nostro lavoro. Lavoro che svolgiamo con un approccio etico e nell’interesse della collettività: è nostro, ad esempio, il compito di curare l’ambiente e le trasformazioni della città».
E la qualità dell’architettura si lega ad un’altra battaglia storica: quella per la promulgazione di una legge dell’architettura. Un traguardo a cui gli architetti italiani puntano da tempo immemore, conquistato dai francesi già nel 1977. «Quando parliamo di qualità ci dobbiamo rendere conto che ci sono come due layer separati. C’è un layer che è quello della misura della qualità sulla quale lavoriamo e normiamo, ed è ciò che ci assilla quando progettiamo. Poi c’è una parte della qualità architettonica, che non è misurabile, ed è legata – come qualcuno ha detto – al gioco, alla magia, al sogno. Non sono cose misurabili, per le quali può funzionare la legge per l’architettura. Questa può garantire molte cose: la resistenza ai terremoti e alle alluvioni, l’accessibilità ai disabili, una grande apertura dell’edificio alla comunità, la sostenibilità, l’efficienza energetica, ma non può garantire altre cose», afferma Livio Sacchi, presidente OAR dal 2013 al 2017. «Quindi come Ordini professionali – conclude – dovremmo essere consapevoli che certamente dobbiamo combattere per le leggi, per difendere la nostra categoria che è molto bistrattata, però dobbiamo anche ricordare che c’è una relatività in queste cose. E c’è dall’altra parte una profonda verità che è al di là delle norme e delle leggi. Non dobbiamo essere troppo ingenui pensando che tutto si risolva – conclude Sacchi – con una legge».
Altro tema affrontato durante la tavola rotonda è la riforma delle professioni attuata nel 2012, con l’affermazione di quel principio che, in nome della concorrenza, ha equiparato i professionisti alle imprese, trascurando gli impulsi primari che muovono le azioni progettuali: l’etica e lo slancio verso la realizzazione e la tutela degli interessi generali a cui punta chi svolge un lavoro di pubblica utilità. «Bisogna capire se il sistema seleziona i più capaci e meritevoli di esprimere architettura oppure seleziona altro. Io credo che il sistema attuale debba essere profondamente riformato. Il 2012 ha apportato una profonda trasformazione e noi professionisti ci siamo trovati, da una parte, a seguire il codice deontologico che, insieme alla Costituzione, ci induce a mirare al bene pubblico, dall’altra, però, dall’Europa ci è stato detto che dovevamo agire sul mercato alla stregua delle imprese e gareggiare non sulla nostra capacità di esprimere architettura, ma sulla nostra capacità di esprimere dei ribassi», afferma Christian Rocchi, presidente dell’OAR nel 2021. «L’ipertrofia normativa, il tema dei ribassi e quello della legalità sono tre nodi da risolvere per poter tornare a fare quello che facevano i nostri colleghi precedentemente e esprimere qualità delle città e dell’architettura», chiosa Rocchi.
L’architettura del Novecento e l’anteprima del nuovo volume “50 Anni di Professione”
Dopo la consegna dei timbri ai neoiscritti, con la partecipazione di Dina Berno, già direttrice dell’OAR, il dibattito si sposta sul tema dell’architettura del Novecento. Marco Maria Sambo, segretario dell’OAR e direttore della rivista AR Magazine, presenta il volume, di prossima pubblicazione, dedicato al lavoro degli architetti decani iscritti all’OAR. Si tratta del settimo volume della collana “50 Anni di Professione” che nacque nel 1983 al 50esimo compleanno degli Ordini degli architetti. Quel volume costituiva il catalogo di una mostra nata da un’idea di Renata Bizzotto.
In occasione dei 100 anni di professione, alcune opere di quei 24 architetti, decani nel 1983, sono state immortalate da Giuseppe Felici ed esposte nel complesso monumentale dell’Acquario Romano. Marco Maria Sambo ha voluto ricordare quei nomi illustri: Carbonara, Di Castro, Busiri Vici, Calza Bini, Cancellotti, Caniggia, Lombardi, Marchi, Montuori, Nicolosi, Pacanowski, Passarelli, Pediconi, Petrucci, Piccinato, Rapisardi, Ridolfi, Tullio Rossi, Samonà, Luzzatto Valentini, Valle, Vannoni, Vitellozzi.
«C’è una riflessione importantissima sul Novecento che emerge, ad esempio in questa prima pubblicazione del 1983 voluta da Renata Bizzotto, lì c’erano i grandi maestri dell’architettura: i decani dell’Ordine sono anche grandi maestri. Delineano, da molti punti di vista, la storia dell’architettura del Novecento a Roma», sottolinea Sambo. «Questi grandi maestri – prosegue – hanno costruito la nostra città, perché noi non possiamo farlo oggi? Perché non possiamo ricostruire la nostra città attraverso l’architettura? In tal senso è importantissima anche la riflessione sugli archivi privati degli architetti romani che passa senza dubbio per i “50 anni di professione”. Questa riflessione, a partire dai decani dell’Ordine, evidenzia un ragionamento sulla nostra città, e non solo, evidenzia la capacità dei decani di progettare, di sognare l’architettura».
«L’Ordine degli Architetti di Roma e provincia vuole continuare queste numerose iniziative, per aprire, attraverso i progetti dei decani, e attraverso il loro sguardo, un dibattito sul Novecento. Per noi è fondamentale – prosegue Sambo -, perché come sottolineiamo spesso: solo studiando e valorizzando le nostre radici potremo guardare al nostro futuro e in tal senso ci siamo lasciati il 9 giugno con il convegno sul manifesto per il Novecento con l’obiettivo di iniziare attivamente a costruire, un movimento attraverso il quale architetti, professori, giornalisti e scrittori e cittadini sono chiamati a partecipare a una grande rete per la valorizzazione e salvaguardia dell’architettura del XX secolo e possiamo farlo a partire dal lavoro dei professionisti romani. È un grande lavoro culturale, di ricognizione puntuale, e noi cerchiamo, anche attraverso le pubblicazioni, di fissare tutta una serie di ragionamenti, perché quello che abbiamo capito nel corso degli anni è che solamente fissando la storia con i ragionamenti e le riflessioni potremo guardare al nostro futuro. E lo abbiamo capito imparando da Renata Bizzotto, da chi ha aperto questa strada di ricostruzione del Novecento, insegnandoci che la storia è anche il nostro presente».
A ricordare l’esperienza del catalogo “50 anni di professione” edito da Kappa nel 1983 nelle sue edizioni in lingua italiana ed inglese a cura di Renata Bizzotto, Luisa Chiumenti e Alessandra Muntoni, è Maria Letizia Mancuso, della commissione Archivi OAR che ha anche ripercorso il lavoro, svolto da un gruppo da lei coordinato, sugli archivi che l’Ordine custodiva, in parte nei suoi uffici e in parte nel magazzino di Viale Maresciallo Pilsudski. Sono stati analizzati ed esaminati i verbali dei Consigli, delle Assemblee, del Sindacato Fascista degli Architetti e tutti quei documenti che non erano mai stati oggetto di alcuna ricerca, nel periodo che va dal 1926 al 1956. Maria Letizia Mancuso ricorda anche un doloroso fatto emerso: l’espulsione dall’Ordine, in seguito alla promulgazione delle leggi raziali, di quattro architetti di religione ebraica: Angelo Di Castro, Romeo Di Castro, Umberto Di Segni, Davide Pacanowski
«Sono sei volumi, tra poco sette. Il primo volume aveva pochi protagonisti, che diventano sempre di più stavolta ne avremo 74», rivela Maria Miano, commissione Archivi dell’OAR in riferimento al libro di prossima pubblicazione. «100 anni di professioni non sono facili da riassumere – prosegue -, ma non possiamo esimerci: bisogna ripercorrerli, e bisogna farlo attraverso gli archivi, attraverso la memoria, attraverso ciò che già si sa e quello che possiamo ancora scoprire negli archivi degli architetti, compresi quelli che i nostri decani hanno nei loro studi e che sono potenzialmente una fonte inesauribile di conoscenza».
A concludere la giornata, sono tre dei protagonisti del prossimo volume “50 anni di professione”: Gianni Ascarelli, Edoardo Monaco e Alessandra Muntoni che hanno raccontato il lavoro portato avanti con i loro studi in un’appassionata e incessante attività di ricerca volta all’innovazione.
In apertura il Palazzetto dello sport a Roma, progetto di Annibale Vitellozzi e Pier Luigi Nervi nella fotografia di Giuseppe Felici. Nella galleria in basso, fotografie di Francesco Nariello