Ambiente, città, paesaggio, bene comune. Rigenerazione urbana e diritto alla città. Le sfide poste nel prossimo futuro dalla questione ambientale, in connessione ai temi sociali ed economici. Il ruolo delle comunità e della condivisione di valori «umani» per cambiare l’approccio alle trasformazioni urbane in funzione del miglioramento della qualità della vita. Sono alcuni degli spunti di riflessione che hanno animato «Abitare la Terra», convegno organizzato dall’Ordine degli Architetti PPC di Roma e provincia svoltosi il 22 aprile, in occasione della Giornata Mondiale della Terra.
L’evento formativo – con il coordinamento scientifico di Daniela Gualdi, consulente OAR, e Flavio Trinca, Ctf OAR – Paesaggio – è giunto quest’anno alla terza edizione, continuando a riflettere, con il contributo di esperti e ospiti dal profilo internazionale, sugli scenari della città metropolitana, focalizzandosi, tra l’altro, sul significato di comunità e affrontando temi come «le crisi climatiche, politiche e sociali del III millennio, riproponendo la centralità dell’essere umano e della conoscenza quali antidoti alle alterazioni di millenari equilibri che stanno generando sempre più evidenti conflittualità tra l’essere umano e l’ambiente che lo ospita».
A introdurre il convegno è stata Roberta Bocca, vicepresidente OAR, ricordando come si sia giunti alla terza edizione dell’appuntamento organizzato dall’Ordine di Roma in occasione dell’Earth Day, celebrata ogni anno dalle Nazioni Unite, in cui si afferma il principio che «tutti, a prescindere dall’etnia, dal sesso e dalla condizione economica, hanno il diritto etico a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile». Le precedenti edizioni dell’evento, ha segnalato Bocca, «si sono svolte in due momenti critici a livello internazionale come, rispettivamente, l’emergenza Covid e lo scoppio della guerra in Ucraina. Il contesto attuale è ugualmente delicato e preoccupante ma la questione ambientale resta un tema che riguarda tutti: stimolare la riflessione dal punto di vista dei professionisti, e degli architetti in particolare, è il contributo che l’Ordine può offrire in occasioni come questa, stimolando la partecipazione attiva»
L’idea di fondo, «alla base della nostra riflessione – ha spiegato Daniela Gualdi, consulente OAR – è riproporre la centralità dell’essere umano contrastando, con la conoscenza, il dominio politico-economico che ha portato alle alterazioni, dell’ambiente e degli equilibri sociali, che inevitabilmente hanno influito sui rapporti umani e sul pensiero culturale. Ragionare sul senso umano dell’Abitare la Terra nel terzo millennio e nei difficili contrasti che il mondo vive. Siamo convinti – infatti – che le tematiche ambientali abbiano una forte relazione con tutti i modi di vivere la terra, non soltanto per questioni prettamente ecologiche ma per la loro stretta interconnessione con tutti cambiamenti che il mondo sta vivendo». Su questa linea si sono svolte le tre edizioni del convegno OAR: la prima – ha ricordato Gualdi – basata sulla considerazione dell’impatto che l’homo sapiens ha sull’equilibrio del pianeta, «talmente alto da portarci a chiamare ‘Antropocene’ l’epoca geologica attuale», con una riflessione sulla trasformazione dei modi di abitare la terra da parte dell’umanità; la scorsa edizione ha proposto un’indagine a tutto campo sulle le azioni intraprese e da intraprendere, che inevitabilmente richiedono di ‘riprogettare il mondo’, «nella convinzione che solo attraverso il connubio tra arte e scienza si possa incidere sui sistemi politici ed economici»; nella terza edizione si vuole proporre una riflessione «che muove dall’idea del bene comune e del diritto alla città, attraverso le esperienze di ‘commoning’ e di rigenerazione – urbana, ma non solo – per indagare tanto il significato di comunità quanto gli scenari della città contemporanea».
Le tematiche che hanno dato forma alle tre sessioni di lavoro della giornata – «Ambiente, città e paesaggio Bene Comune», «Rigenerazione Urbana vs diritto alla città» e la tavola rotonda «Abitare la Terra nel III millennio» le ha ulteriormente illustrate Flavio Trinca, Ctf OAR – Paesaggio, ricordando il valore formativo dell’evento, «capace anche di proporre una visione differente non incentrata puramente su aspetti tecnici». Fondamentale l’approccio multidisciplinare: «Abitare – ha detto – è un termine molto utilizzato dagli architetti, che costruiscono spazi per vivere. Quando parliamo di ambiente, dell’insieme di ecosistemi che costituiscono la Terra, è inevitabile coinvolgere contributi di diversa natura: si parla di sostenibilità, ecologia, ecosistema sociale e umano. Quindi della città, metafora di concentrazione sociale, che si porta dietro l’apparente contrasto esistente tra ambiente antropizzato e ambiente naturale. Per affrontare a tutto campo le criticità e le disuguaglianze di cui trattiamo serve una visione a tutto campo: di architetti, urbanisti e pianificatori, da una parte, ma anche, dall’altra, di artisti, scienziati politici, filosofi e sociologi. Ed è proprio l’aspetto sociologico una delle chiavi di lettura della riflessione portata avanti nel corso della giornata: dal diritto alla città al senso del bene comune, anche ragionando di esperienze pratiche e progettuali per indagare il ruolo delle comunità».
Ad aprire la prima sessione l’accorato intervento di Marcelo Enrique Conti, professore ordinario di Management Ambientale e Sostenibilità alla Sapienza, che ha condensato nella sua relazione approccio «umano» e visione multidisciplinare, iniziando da alcune domande fondamentali che riflettono al complessità della questione ambientale, come: «Quanto inquinamento siamo disposti ad accettare per il ‘progresso’ umano? Quando l’inquinamento diventa ‘troppo’? E possibile azzerarlo? Occorre un compromesso tra i costi necessari per la diminuzione dell’inquinamento e i benefici che tale riduzione apporterebbe?». L’esplosione demografica degli ultimi anni è avvenuta parallelamente all’urbanizzazione esponenziale del pianeta: «Le città – ha detto – sono i fulcri dell’innovazione, i motori della creazione di ricchezza e i centri del potere, e lo stimolo delle idee, della crescita e dell’innovazione. Ma l’urbanizzazione pone enormi sfide alla sostenibilità globale: dall’impatto ambientale all’accesso alle risorse – alimentari, idriche ed energetiche – fino a carenza e inadeguatezza di servizi pubblici essenziali quali l’assistenza sanitaria, il trasporto pubblico, l’edilizia residenziale, la gestione del ciclo dei rifiuti. Nello stesso tempo, nelle periferie urbane emergono diseguaglianze, disagio sociale e deprivazione culturale». Tra gli approcci da adottare per cambiare il quadro, Conti ha citato «il modello imprenditoriale di Adriano Olivetti», basato su «valori quali la comunità concreta, il territorio e l’urbanistica». Un modello virtuoso, ha aggiunto, «fondato su etica e comunità», con – in particolare – una concezione «profondamente umana quanto illuminata dello spazio lavorativo quale spazio innanzitutto di rapporto interumano» che è valsa ad Ivrea – Industrial City of the 20th Century – il riconoscimento di sito Unesco.
Anche per Giuseppe Scarascia Mugnozza, Università della Tuscia e presidente della European Forest Institute, responsabile «Bio Cyties Facilities», il tema centrale a livello globale è quello delle città, «le quali occupano il 3% del territorio ma concentrano il 55% popolazione, il 66% energia, il 70% emissioni gas serra». Nel suo intervento su «Forestazione e paesaggio» ha osservato come l’urbanizzazione «abbia una velocità insostenibile per il nostro pianeta», rimarcando come «sia necessario un cambio radicale di approccio». A livello globale, infatti, «le città sono in gran parte la causa dell’attuale crisi ambientale, ma – allo stesso tempo – possono contribuire alla soluzione in modo determinante». Il cambio di paradigma proposto è quello delle «Biocittà», che promuovono soluzioni ‘nature based’ e che si pongono come ecosistemi naturali (meglio, forestali) basati su flussi di materia ed energia rinnovabili, accumulo di carbonio, biodiversità. Si tratta di un approccio integrato verso la bio-economia circolare». In quest’ottica, si parla di forestazione urbana, con «alberi, foreste e altre infrastrutture che diventano strumenti fondamentali per combattere i cambiamenti climatici nelle aree urbane e peri-urbane». Ha aperto da circa un anno a Roma – ha infine sottolineato Scarascia Mugnozza -, «una struttura, con il supporto del Ministero degli Affari Esteri, che ha proprio l’obiettivo di lavorare sulle biocittà».
A chiusura l’intervento di Khalid Atlassi, ministro plenipotenziario dell’Ambasciata del Regno del Marocco, che ha illustrato alcuni aspetti della strategia portata avanti dallo stato africano e incentrata, tra l’altro, su un nuovo approccio verso il settore idrico e forestale, con l’impiego — tra l’altro – di tecnologie fotovoltaiche e agrivoltaiche nel deserto.
Nella seconda sessione, dedicata a «Rigenerazione Urbana vs Diritto alla Città», il focus si è incentrato sulle «trasformazioni urbane in atto, in particolare nelle città storiche, che hanno determinato molte criticità poiché all’incremento dell’attrattività turistica non è corrisposta una equanime distribuzione della qualità di vita». Dalle riflessioni di Daniela Ciaffi, docente di Sociologia Urbana presso il Politecnico di Torino e vicepresidente di Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà), che si è soffermata su temi cruciali come coprogettazione, coprogrammmazione, patti di collaborazione, illustrando tra l’altro le «10 cose da fare» (individuate dal Laboratorio) per aiutare i romani a prendersi cura di Roma; all’intervento di Juan Alayo, architetto e urbanista, IE School of Architecture and Design di Madrid, protagonista del «miracolo Bilbao», che ha ragionato sulle attività di pianificazione strategica e le azioni di rigenerazione urbana, a partire dall’esperienza vissuta nella trasformazione della città spagnola; fino a Camilla Ariani, architetto, Ph.D in Pianificazione urbana e territoriale alla Sapienza, che ha chiuso il cerchio portando esempi di percorsi di partecipazione, sottolineando l’importanza dei corpi intermedi, «in grado di mettere in condizione anche i soggetti più fragili di partecipare alle scelte per la città, in un’ottica di collaborazione, cogestione, co-desing», anche in riferimento a casi concreti realizzati nella realtà romana, da Tor Bella Monaca a Corviale, da Pietralata a San Lorenzo.
La giornata si è chiusa con la tavola rotonda, terza sessione, dedicata al tema «Abitare la Terra nel III millennio», spaziando anche tra i linguaggi: con la clip tratta da Storie di donne uomini e comunità, che ha introdotto il racconto del docufilm di Paola Traverso e Vincenzo Franceschini, lavoro artistico che si concentra sul racconto di alcune «cooperative di comunità», da Genova a Brindisi, riconnettendosi a temi come bene comune, ambiente, paesaggio, rigenerazione delle città; ma anche con la presentazione del lavoro del fotografo Roberto Privitera sulla «rappresentazione fotografica del paesaggio abbandonato», che ritrae «borghi fantasma, comunità scomparse, centri in cui la natura si è riappropriata degli spazi». A completare il programma l’intervento di Jordi Bellmount, architetto e urbanista, animatore della Biennale Internazionale del Paesaggio di Barcellona, con la sua riflessione sui processi di trasformazione urbana, con particolare riferimento a opportunità e criticità incontrate nei piani di cambiamento della città catalana (con un focus sugli «assi verdi»), e Francesca Zappacosta, master in Diritto dell’ambiente e Ph.D alla Sapienza in Diritto pubblico comparato internazionale che ha offerto, tra l’altro, un inquadramento giuridico sul tema dell’ambiente come bene comune. (FN)