ARCHIVIO STORICO DELL'ORDINE
La nascita della Scuola Superiore di Architettura
La Scuola Superiore di Architettura di Roma è fondata con R. D. n. 2593 del 31 ottobre 1919, dopo un lungo dibattito politico e culturale, iniziato all’alba dell’unità nazionale. Si tratta del primo istituto superiore in Italia per la formazione specifica della figura professionale dell’architetto, a cui seguiranno – con tempi piuttosto diluiti – le scuole di Venezia (1926), Torino (1929), Firenze e Napoli (1930). Nel 1932 con legge n. 812 del 16 giugno tutte le Scuole Superiori saranno elevate a rango di istituti universitari e nel 1933 sarà fondata la Facoltà di Architettura presso il Politecnico di Milano1. Il dibattito politico sulla formazione della figura professionale dell’architetto si concluderà qualche anno dopo la fondazione della Scuola di Roma, con l’emanazione della legge sulla Tutela del titolo e dell’esercizio professionale degli ingegneri e degli architetti e del suo regolamento. Nel disordine dell’esercizio professionale, per anni ad appannaggio di ingegneri con ogni tipo di specializzazione, diplomati nelle Accademie di Belle Arti e dei tanti privi di titolo, la legge cercherà di definire le peculiarità della professione di architetto, ma non riuscirà a conferirle forza e autonomia, lasciando irrisolto il conflitto di competenze con gli ingegneri.
La sezione architetti nelle Scuole Superiori per ingegneri e il corso speciale di disegno architettonico negli Istituti di Belle Arti
Prima della riforma Gentile del 1923, la scuola in Italia è regolata dalla legge Casati del 1859, che può essere considerata la prima carta dell’istruzione italiana, emanata dal Regno sabaudo a ridosso della proclamazione dell’unità nazionale. Questa legge non prevede istituti specifici per architetti, ma contempla due scuole di ingegneria: l’Istituto Tecnico Superiore a Milano e la Scuola di applicazione a Torino. Nel 1865 a Milano e l’anno successivo a Torino è creata una sezione di architettura e conferito il diploma di architetto civile accanto a quello di ingegnere civile; tali sezioni, però, lamenteranno sempre una cronica mancanza di studenti a causa dell’esclusivo ambito professionale a cui danno sbocco. Dopo il 20 settembre 1870 le norme generali della legge Casati sono estese anche a Roma e nel 1873 è istituita la Scuola di applicazione per ingegneri, che si fonda sull’istituto voluto da Pio VII con motu proprio del 23 ottobre 1817 2. Nel 1877 sono definiti i programmi delle scuole di architettura presso gli Istituti di Belle Arti: sono previsti corsi della durata di sette anni per il rilascio del diploma di professore di disegno architettonico. Tale diploma abilita solo all’insegnamento e non alla professione di architetto, ma spesso accade che molti professori di disegno siano architetti professionisti, oltre che docenti nelle Accademie e negli Istituti d’arte. L’istruzione impartita nelle sezioni di architettura delle scuole di ingegneria è un insegnamento di livello universitario, a cui si accede con il diploma, nei programmi vi è una preponderanza di materie tecnico-scientifiche rispetto agli insegnamenti artistici; il diploma di professore di disegno è rilasciato dopo un corso, a cui si accede con la licenza elementare e le materie sono esclusivamente di tipo artistico. Questa confusa situazione dell’insegnamento ha importanti ripercussioni; da una parte investe l’ambito professionale, spartito fra ingegneri, professori di disegno e tanti “abusivi”; dall’altra si riverbera sulla produzione architettonica. All’assenza di una formazione specifica per gli architetti sarà a lungo imputata la decadenza dell’architettura prodotta nei primi decenni dello Stato unitario e l’incapacità di elaborare uno “stile nazionale”, un nuovo linguaggio architettonico, per “… dare all’«Italia legale», politicamente unita, una corrispondente mitica unità culturale, che l’Italia reale stentava a raggiungere. …” 3.
I primi disegni di legge per le Scuole di Architettura (1869-1893)
Il dibattito politico per la creazione di istituti specifici per la formazione degli architetti comincia nel 1869, quando il Ministro della Pubblica Istruzione, Bargoni, istituisce una Commissione per esaminare il problema. Nella relazione finale si conclude che la decadenza dell’arte dell’architettura è legata all’inadeguatezza del sistema didattico e si propone che siano le Accademie a rilasciare il diploma di architetto civile, con l’ausilio delle Scuole di applicazione per ingegneri per la parte scientifica.
L’anno successivo si tiene a Parma il Primo Congresso Artistico Italiano, dove si propone di svincolare l’insegnamento architettonico sia dalle Accademie, che dai Politecnici e di lasciare allo Stato il ruolo di controllo, al fine di concedere l’esercizio all’arte dell’architettura. Alla luce di quanto dibattuto a Parma, la relazione della Commissione ministeriale subisce alcune modifiche4; si prevede un corso di studi di cinque anni, al quale si accede con la licenza delle scuole tecniche o degli istituti professionali oppure, se non si possiede un diploma, tramite un esame di ammissione. Tutti i cinque anni sono suddivisi in una parte scientifica e una artistica, perché l’architetto deve essere contemporaneamente tecnico e artista, deve conoscere le moderne tecniche costruttive, i materiali, le loro caratteristiche, deve essere un abile disegnatore, sapere di storia dell’architettura e padroneggiare i diversi ordini architettonici. La proposta della Commissione non avrà seguito, ma getta le basi per i futuri progetti sulle Scuole Superiori di Architettura. Ritroveremo spesso programmi in cui sono equamente presenti materie scientifiche e artistiche, ma più come esigenza di mediazione tra l’ambiente accademico e quello dei Politecnici che come reale esigenza per una formazione completa e moderna dei futuri architetti.
Da più parti, per alcuni anni, le Accademie saranno considerate le sedi migliori per accogliere l’insegnamento dell’architettura e su questo assunto si basa il Regio Decreto emanato il 25 settembre 1885 dal Ministro della Pubblica Istruzione on. Coppino, che istituisce due Scuole Superiori di Architettura presso gli Istituti di Belle Arti di Roma e Firenze 5; con R. D. del 9 novembre 1885 è poi creata una terza scuola a Napoli. Le nuove scuole conferiscono, dopo sette anni, un “diploma di approvazione”, sufficiente per l’esercizio professionale. Con il R. D. Coppino sono soppresse le sezioni per architetti civili presso le Scuole di applicazione per ingegneri. L’iniziativa è oggetto di numerose critiche, soprattutto dall’ambiente dei Politecnici, poiché si intende equiparare il titolo di architetto civile (conferito dalle nuove Scuole) a quello di ingegnere civile e industriale (conferito dalle Scuole di applicazione per ingegneri) e si vuole eliminare la se- zione per architetti, la quale, a onor del vero, non ha dato grandi risultati6. L’anno seguente il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione destituisce di ogni valore legale il diploma rilasciato dalle nuove Scuole, continuando a considerare le Scuole di applicazione per ingegneri come gli unici istituti abilitati a rilasciare la laurea di architetto civile.
Se per alcuni anni gli Istituti di Belle Arti sono considerati la sede migliore per formare i futuri architetti, con l’abolizione del R. D. Coppino assistiamo a una brusca inversione di tendenza e, malgrado le numerose critiche alla sezione per architetti nella Scuole di applicazione, queste sono reputate la soluzione al problema, probabilmente anche grazie all’abilità politica del senatore Luigi Cremona, direttore della Scuola di applicazione per ingegneri di Roma e autorevole rappresentante dei Politecnici del Regno; “… per le Accademie stanno i retrogradi, contro le Accademie i liberali: destra e sinistra. …”. 7 Nel 1887 è incaricata una nuova Commissione per studiare “l’ordinamento dello studio dell’architettura”, ne fanno parte autorevoli professori, tra cui Camillo Boito. Si stabilisce che i futuri architetti debbano formarsi in un isti- tuto superiore di grado universitario (quindi non nelle Accademie, ma nelle Scuole di applicazione), al quale si accede con la licenza liceale o con quella della sezione fisico-matematica dell’istituto tecnico, con l’obbligo di un esame di ammissione per le materie artistiche8.
Nel 1889 il ministro Boselli presenta al Senato un nuovo disegno di legge. Come Coppino, propone di fondare tre Scuole
Superiori presso gli Istituti di Belle Arti di Roma, Firenze e Napoli, che però devono avvalersi del contributo delle locali Scuole di applicazione per quanto riguarda le materie scientifiche; inoltre, onde evitare la ribellione dei Politecnici, che aveva portato all’insuccesso del R. D. 25 settembre 1885, non sono cassate le sezioni di architettura civile presso le Scuole di Ingegneria. Il disegno di legge avrà una lunga gestazione, approvato al Senato il 19 marzo 1890, non sarà mai discusso alla Camera9.
Nel 1893 il Ministro della Pubblica Istruzione on. Martini presenta un altro progetto molto simile alla proposta Boselli nel quale è incluso anche l’Istituto Tecnico Superiore di Milano. Il disegno è studiato e modificato da una Commissione, nominata dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione10. Anche questa proposta non è attuata come le altre, bloccate dalle divisioni tra sostenitori della formazione tecnico-scientifica e “accademici”, nell’incapacità generale di dare vita a un progetto completamente nuovo e autonomo. Il dibattito, almeno sul versante politico, si arresterà per un lungo periodo, lasciando formalmente la situazione ferma alla legge Casati del 1859.
Il contributo delle istituzioni: l’Accademia di San Luca e l’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura
Sul piano politico la questione è accantonata, ma tra le tante associazioni artistiche il dibattito non si arresta. A Roma, dove i sodalizi tra artisti sono numerosi, è importante ricordare il ruolo di due istituzioni che rappresentano bene la situazione culturale della città; da un lato l’Accademia di San Luca, antichissima istituzione, declassata dal nuovo potere sabaudo, dall’altra una giovane realtà, l’Associazione Artistica tra i Cultori di Architettura, che darà un notevole impulso al dibattito artistico e al problema della formazione degli architetti.
“… Roma perderà tutta la sua aria repubblicana, la sua ampiezza cosmopolita, la sua tragica quiete …” 11, il potere sabaudo non riuscirà a trasformare la capitale del neonato Regno d’Italia in una città internazionale e cosmopolita e nel tentativo di modernizzarla le toglierà quell’aspetto fuori dal tempo, che aveva incantato e ispirato generazioni di artisti. Sono avviati una serie di interventi sulla città volti a conferirle, da un lato un’immagine nuova di efficienza e modernità, e dall’altro, più profondamente, a rappresentare quell’unità nazionale così faticosamente conquistata. Gli interventi di trasformazione non riguardano solo le architetture e le infrastrutture necessarie al nuovo ruolo di capitale che la città eterna è chiamata a rivestire, occorre rinnovare le istituzioni esautorando le antiche strutture legate al passato papalino. Nella statalizzazione dell’istruzione l’Accademia di S. Luca, trasformata da Pontificia in Reale, subisce una sostanziale battuta d’arresto; con R. D. 9 ottobre 1873 il Ministro della Pubblica Istruzione, Scialoja, toglie all’antica istituzione romana la prerogativa dell’insegnamento, lasciandole un ruolo meramente rappresentativo12. A Roma la didattica delle Belle Arti è affidata all’istituto ubicato in via di Ripetta, nell’edificio progettato da Pietro Camporese.
Nonostante la battuta d’arresto, l’antico istituto cercherà, però, di mantenere in vita l’attività didattica. Sono eloquenti le parole della Protesta13 degli accademici: “… che (v’ha pure chi la minaccia di tanto) se le dette scuole venissero tolte all’Accademia di S. Luca, ciò non potrebbe ad essa dispiacere. Ma non per questo cesserebbe d’essere Accademia …”. E così sarà, seppure indirettamente la didattica delle tre arti continuerà ad essere esercitata attraverso l’antico istituto dei concorsi, che conferiscono ai giovani artisti – pittori, scultori, architetti – borse di studio per perfezionarsi nell’arte, sotto l’egida di un tutor dell’Accademia14. I concorsi, che affondano le loro radici nel XVII secolo, saranno banditi fino alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, poi sospesi a causa della guerra e mai più ripresi.
L’Accademia partecipa al dibattito sulle Scuole di Architettura, che sarà spesso oggetto di discussione nelle adunanze del Consiglio. Nel 1888, su richiesta del Ministro della Pubblica Istruzione, Boselli, la classe di architettura elabora un ciclo completo di studi15. La proposta non avrà seguito, probabilmente il Ministro, aveva bisogno di raccogliere pareri e informazioni per il disegno che poco tempo dopo avrebbe presentato al Senato. Alcuni anni dopo, nel 1918, il Presidente, Giulio Aristide Sartorio, formulerà una proposta per riportare l’insegnamento dell’architettura nell’antico istituito, ma ormai i tempi sono maturi per la fondazione di una scuola autonoma e nessun accademico darà seguito al dibattito 16. Se da un lato un’antica istituzione stenta a mantenere il prestigio passato, dall’altro con il placet del potere centrale17 si forma un nuovo sodalizio: l’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura, fondata nel 1890 da Giovan Battista Giovenale rifacendosi a società che “… in Francia e in Inghilterra assumono il nome di Amici dei monumenti. …”. L’Associazione è una “… sorta di club-centro studi-sindacato di categoria …” 18, che si pone come principale scopo “… di promuovere lo studio e rialzare il prestigio dell’architettura, prima fra le arti belle …” 19. Aderiscono al sodalizio la maggior parte dei letterati, degli architetti e degli ingegneri, romani per nascita o d’adozione20.
La Società assolve numerosi compiti, primo fra tutti lo studio dei monumenti, finalizzato alla conservazione e alla tutela degli stessi; in secondo luogo si prefigge di essere un centro per la cultura artistica, promuovendo esposizioni, organizzando conferenze e istituendo una biblioteca d’architettura. A partire dal 1891 i Cultori pubblicano il loro «Annuario», un bollettino che, oltre alle notizie riguardanti la Società, accoglie anche scritti d’arte e d’architettura, la cui stampa continuerà ininterrottamente fino al 1929. Molto importanti, non solo per l’apporto conoscitivo ma anche per la pratica dell’architettura, saranno i due volumi di Architettura minore in Italia pubblicati dai Cultori21, che contribuiranno a rivalutare linguaggi architettonici banditi, come il barocco, cancellato dalle scuole e dalle storie dell’architettura a partire dal Milizia. La rivalutazione del barocco, soprattutto nell’architettura residenziale, che porterà alla nascita di un linguaggio nuovo, il cosiddetto “barocchetto”, si deve senza dubbio all’Associazione22.
È l’arte lo scopo esclusivo dell’Associazione, contro la supremazia della cultura positivista, che ha obnubilato gli artisti e portato alla ribalta scienziati e matematici, e soprattutto ha causato l’abbandono dell’architettura, “la primogenita delle arti”, nelle mani degli ingegneri, che per risolvere problemi di estetica hanno fatto ricorso “ai manuali e ai formulari”. Occorre restituire l’architettura agli architetti e l’Associazione sarà presto in prima linea sulla questione della formazione autonoma di questi ultimi. Sebbene la critica agli ingegneri e alla loro cultura tecnica non sia poi tanto velata, i Cultori accoglieranno in seno numerosi ingegneri, a testimonianza comunque di un atteggiamento libero, lontano da chiusure aprioristiche. E proprio un giovane ingegnere, Gustavo Giovannoni, che nel 1903 aderirà all’Associazione23, in breve tempo ne diventerà il leader indiscusso.
Anche l’Associazione dal 1907 bandisce i “concorsi fra i soci studenti”, ovvero fra quei giovani, allievi dell’Istituto di Belle Arti o della Scuola di applicazione per ingegneri, che hanno aderito al sodalizio. L’iter concorsuale è mutuato dai con- corsi dell’Accademia di San Luca, ma il premio al primo classificato consiste semplicemente in una somma in denaro e non in una borsa di studio. L’istituto dei concorsi proseguirà fino agli anni Quaranta – quando l’Associazione è ormai un organo del Sindacato Fascista Architetti – con temi sempre più legati alla realtà concreata, architettonica e urbanistica, e con il frequente contributo di società di costruzioni.
Le prime forme di associazionismo professionale, la nascita dell’“Ordine degli Ingegneri e Architetti di Roma” e la creazione dell’Albo Municipale
I Cultori non difendono gli interessi di una categoria, vogliono riportare l’architettura al centro del dibattito culturale del Paese e restituirle “… il prestigio, la benevolenza e il culto che [le] è legittimamente dovuto …”. In Italia, però, le Associazioni professionali, rigidamente corporative, in mancanza di una legge di tutela della professione cominciano a proliferare dalla seconda metà dell’Ottocento.
Gli antichi Collegi, nati nel XVIII secolo e poi aboliti da Giuseppe II, non si erano più ricostituiti durante la dominazione napoleonica, ma alle soglie dell’unità nazionale si assiste a un fiorire di queste Associazioni soprattutto nei principali centri universitari, dove sono presenti Scuole di applicazione per ingegneri24. Si tratta di realtà locali, delle quali posso- no far parte esclusivamente i laureati, con la qualifica di ingegnere e di architetto civile. Raggiunta l’unità nazionale e proclamata Roma capitale, l’associazionismo si diffonde e l’esigenza di uscire dalla realtà locale per guardare a temi nazionali diviene sempre più urgente, così come la necessità di un organo di potere centrale. L’assenza di una legge che tuteli la professione, e di un Ordine che definisca ruoli e competenze in una realtà professionale divenuta più complessa e difficile con lo Stato unitario, diventa motivo di dibattito e discussione. In questi anni cominciano a essere emanate le prime leggi che tutelano giuridicamente alcune specifiche categorie: nel 1874 ottengono il riconoscimento avvocati e procuratori e l’anno successivo i notai, nel 1910 sarà la volta dei medici, veterinari e farmacisti25, ma ingegneri e architetti dovranno attendere ancora per la legge sulla tutela del titolo e della professione.
Espressione di questa ricerca di unitarietà di intenti e di una rappresentanza nazionale, che dia maggiore peso nella società alla categoria, sono i Congressi nazionali degli ingegneri e degli architetti, che vengono inaugurati a Milano nel 1872 e si terranno con scadenze diverse nelle principali città italiane.
La questione di un organo centrale sembrerebbe risolversi quando a Roma, nel 1885, il Collegio degli Ingegneri e degli Architetti è trasformato in Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani. La nuova Società guarda alle esperienze d’oltralpe, prima fra tutte alla Societé des Ingénieurs civils, che può contare sull’adesione di ben quattromila soci. Con R. D. del 3 luglio 1887 la Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani è riconosciuta come ente morale. A Venezia nel VI Congresso degli ingegneri e degli architetti si discute sulla necessità di creare “… una rappresentanza unica, sotto il nome di Consiglio centrale dei Collegi degli Ingegneri ed Architetti italiani con sede a Roma…” 26 e si propone come organo centrale la Società; ma da più parti sono mosse delle critiche a tale scelta: i diversi Collegi italiani temono di perdere autonomia e potere con la creazione di una rappresentanza centrale. Solo alcuni anni dopo, nel 1908, sarà fondata a Roma la Federazione fra sodalizi degli ingegneri e architetti italiani, e sarà il primo vero organo rappresentativo delle diverse Associazioni professionali sparse sul territorio nazionale, che vi aderiranno come sodalizi confederati; la stessa Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani si assocerà nel 1908.
Il problema più scottante per le associazioni degli ingegneri e degli architetti rimane l’assenza di una legge sulla tutela dell’esercizio professionale. Nel maggio del 1890 è indetta una riunione di tutti i collegi d’Italia per discutere intorno all’annoso problema e formulare una proposta di legge da presentare agli organi statali competenti.
I delegati delle associazioni italiane di ingegneri e di architetti27 definiscono i criteri fondamentali per una legge intesa a regolare l’esercizio delle professioni di ingegnere ed architetto28. Si stabilisce in primo luogo la creazione presso ogni Corte d’Appello del Regno di un Albo professionale congiunto per ingegneri e architetti, al quale possono iscriversi esclusivamente i licenziati dalle Scuole di applicazione per ingegneri; vi sono ammessi anche coloro che si erano laureati anteriormente al regolamento approvato l’8 ottobre 1876 e coloro che, “… in forza di leggi o decreti aventi valore di leggi degli antichi Stati componenti il regno d’Italia, erano abilitati alle professioni di ingegnere o di architetto …”. Per quanto riguarda “... tutti gli incarichi di esclusiva spettanza di ingegneri ed architetti …”, si precisa che l’autorità giudiziaria, le amministrazioni governative, provinciali e comunali, così come gli enti morali avrebbero dovuto valersi esclusiva- mente di professionisti iscritti all’Albo. Il testo redatto è molto breve e volutamente non entra negli aspetti più minuti della questione; è chiara la volontà di tracciare le linee guida per lasciare poi il campo ai politici. Approvati dalle associazioni partecipanti i verbali delle riunioni, il Presidente della Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani rivolge un’istanza al Ministro della Pubblica Istruzione, nella quale si invoca la presentazione di un disegno di legge corrispondente ai criteri fondamentali definiti. Ma niente è fatto malgrado le ripetute richieste. Bisognerà attendere alcuni anni prima che sia presentato in Parlamento un disegno di legge e altri ancora per l’approvazione della legge.
Frattanto, alla luce del continuo tergiversare del potere centrale, la Società degli Ingegneri e degli Architetti italiani nell’assemblea del 18 giugno 1895 decide di nominare una Commissione permanente per le questioni che si riferiscono all’esercizio professionale. Inoltre sull’esempio di altre associazioni, prima il Collegio degli Ingegneri e Architetti di Napoli (1892) poi la Società degli Ingegneri e Architetti di Torino (1894), si decide di istituire il Consiglio dell’Ordine, “… che pur si vorrebbe generalmente statuito dall’invocata legge …” 29. Questi organi, nati per volontà delle associazioni, non hanno alcuna base legale, ma diventano ulteriori strumenti con cui si cerca di dare un assetto alla complessa realtà professionale e “… di mettere in evidenza le giuste aspirazioni della classe degli ingegneri e degli architetti …”.
Verrà anche formato un Ordine degli ingegneri e degli architetti residenti nella provincia di Roma, con statuto e regola- mento proprio. Sebbene privo di base legale, l’Ordine sarà attivo e presente nella questioni riguardanti la professione, sempre comunque legato a filo doppio alla Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani30.
L’Ordine agirà parallelamente all’Albo che invece è organo del Comune. Creato nel 1886 con il nuovo regolamento edilizio, l’Albo municipale diviene uno strumento per regolamentare l’esercizio professionale, almeno nel Municipio Capitolino. Nella seduta della Giunta municipale del 3 aprile 1886 si stabilisce che “… per la buona esecuzione delle fabbriche e la incolumità delle persone …” occorre formare un Registro o Albo professionale, cosicché soltanto coloro i quali risulteranno ivi iscritti, potranno assumere la direzione dei lavori delle fabbriche. Affinché l’iscrizione degli architetti nel suddetto Albo sia effettuata con giusti criteri, il Sindaco con l’accordo della Giunta decide di designare una Commissione, che avrà il compito di esaminare le domande degli architetti e stabilirne o meno l’idoneità; alla Commissione giungono 166 domande e 125 sono accolte favorevolmente31. Seguendo quelli che erano i criteri di associazione ai Collegi degli ingegneri e architetti, si decide di iscrivere nell’Albo esclusivamente i licenziati dalle Scuole di applicazione per ingegneri. Fino all’approvazione della legge sulla tutela dell’esercizio e della professione degli ingegneri e degli architetti a Roma l’Albo municipale resterà l’unico sistema per regolare il complesso mondo dei cantieri edilizi, non riuscendo comunque a impedire abusi e irregolarità.
Le prime forme di associazionismo professionale, la nascita dell’“Ordine degli Ingegneri e Architetti di Roma” e la creazione dell’Albo Municipale
Il 9 giugno 1904 Luigi De Seta, onorevole e membro del Collegio degli Ingegneri di Napoli, presenta alla Camera un disegno di legge sull’esercizio della professione di ingegnere ed architetto32. La proposta prevede la creazione di un Ordine professionale unico per ingegneri e architetti, al quale possono iscriversi solo coloro i quali hanno ottenuto la laurea di ingegnere o di architetto civile presso una Scuola di applicazione del Regno; sono perciò esclusi i professori di disegno e tutti coloro che, pur non avendo un titolo di studio, hanno acquisito la professione sul campo. Con la nuova legislatura, il 14 dicembre 1904, De Seta presenta un’altra stesura del disegno di legge, nella quale sono previsti due Ordini professionali, uno per gli ingegneri e gli architetti e uno per i periti agrimensori, “… i quali hanno stretta affinità professionale con gli ingegneri ed architetti …” 33. Il testo è sottoposto all’esame di una Commissione parlamentare, della quale l’On. De Seta è relatore. La relazione della Commissione con le modifiche al disegno di legge del 14 dicembre 1904 è presentata alla Camera nella seduta dell’11 febbraio 190534. Rispetto alle stesure precedenti vi è una lieve apertura nei confronti di chi esercita la professione pur non avendo una laurea: l’art. 9 stabilisce che gli incarichi delle Pubbliche Amministrazioni devono essere affidati esclusivamente a ingegneri, architetti e periti agrimensori iscritti in uno degli Albi del Regno, ma per quanto riguarda la scelta dei tecnici da parte dei privati non viene fatta alcuna restrizione; inoltre l’art. 10 recita che l’autorità giudiziaria deve scegliere come periti ingegneri, architetti e geometri iscritti negli Albi professionali, ma “… quando ne venga riconosciuta la necessità potrà scegliere, in via eccezionale e con sentenza o decreto motivati, persone che, pur non essendo inscritte in alcun albo, abbiano notoria ed indiscussa competenza speciale nella questione da risolvere …”. Nonostante queste correzioni, il disegno di legge De Seta non riesce a ottenere i favori degli “accademici” e il suo iter parlamentare, a causa dei contrastanti interessi sollevati, accusa una battuta d’arresto e nel 1905 la Commissione degli Uffici della Camera si esprime per la proroga della discussione a tempo indeterminato. Nel frattempo, nel 1905 è fondata a Firenze dall’On. Giovanni Rosadi la Federazione Architetti Italiani, un sodalizio corporativo che riunisce i cosiddetti professori di disegno architettonico. La Federazione è creata per ribadire la forza e l’importanza di una categoria, che rischia di non poter più esercitare liberamente il mestiere di architetto, e per affermare la necessità di istituire le scuole autonome di architettura, prima di approvare qualsiasi legge sull’esercizio e la tutela della professione. Intorno alla metà degli anni dieci la Federazione amplierà sensibilmente il suo raggio d’azione attraverso la fondazione di sezioni locali35; nel 1915 si costituirà l’Associazione romana Architetti, sezione capitolina del sodalizio di Rosadi, legata a doppio filo con l’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura.
Il 31 gennaio 1907 è presentata alla Camera una nuova stesura della proposta di legge dell’On. De Seta36; il testo dell’11 febbraio 1905 è stato rivisto e corretto dalla stessa Commissione parlamentare con l’ausilio del Ministero di Grazia e Giustizia37 e manifesta una certa apertura nei confronti di interessi creatisi de facto, se non de jure. All’art. 14 è data la possibilità di iscriversi “… all’albo degli ingegneri e architetti, con la precisa indicazione di architetto ed all’effetto della sola abilitazione professionale per le costruzioni edilizie a coloro che, oltre ad … essere muniti di diploma di professore di disegno architettonico, rilasciato da un’accademia o istituto di belle arti del Regno, dimostrino di avere per non meno di dieci anni esercitata la professione di architetto …” 38. Anche per i licenziati dagli Istituti tecnici e dalle Scuole superiori d’agraria, che hanno esercitato lodevolmente per non meno di quindici anni la professione di ingegnere o di architetto o di perito agrimensore, sono definite all’art. 15 le disposizioni transitorie per l’iscrizione all’Albo: essi potranno assumere il titolo di ingegnere o d’architetto o di perito agrimensore dimostrando “… mediante opportuni titoli di avere la coltura tecnica ed artistica sufficiente per tali esercizi …” 39.
Il primo febbraio 1907 sul problema della tutela della professione degli ingegneri e architetti interviene il deputato Filippo Turati; egli recepisce le istanze dei professori di disegno, ma si rende conto che la sola educazione data nelle Accademie non può bastare per formare dei professionisti capaci di rispondere alle moderne esigenze del costruire40. Per Turati il problema principale è quello della formazione degli architetti, ma vede nella legge sulla tutela e l’esercizio professionale un mezzo per provvedere a un bisogno immediato, in attesa di una riforma sull’insegnamento dell’architettura. Egli riprende il testo dell’ultimo disegno di legge di De Seta e vi aggiunge un emendamento, che prevede la possibilità di iscrizione all’Albo per i professori di disegno, che non si trovano nelle condizioni prescritte all’art. 14, “… purché superino un esame pratico davanti una commissione di professori di scuole di applicazione per ingegneri e di accademie o istituti di belle arti …” 41. L’emendamento proposto da Turati è accolto con favore dal Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri e degli Architetti della provincia di Roma e da De Seta, che forse vede in queste modifiche l’unica possibilità di sopravvivenza del suo disegno di legge. La sorte del progetto di legge sulla tutela della professione di ingegnere, architetto e perito agrimensore alla sua ennesima stesura è segnata il giorno stesso della sua discussione: il Ministro della Pubblica Istruzione, Carlo Enrico Rava, ne chiede il rinvio alla Commissione degli Uffici della Camera per ulteriori modificazioni e l’ottiene nonostante l’opposizione di De Seta, congelando per altri anni la spinosa questione.
Ulteriori proposte per le Scuole di Architettura e per la tutela delle professioni di ingegnere, architetto e perito agrimensore (1907-1914)
Il dibattito sulle Scuole di Architettura si riapre nel gennaio del 1907, quando ancora in Parlamento si discute il disegno di legge De Seta. Il Ministro della Pubblica Istruzione, Rava, incarica la Giunta Superiore di Belle Arti con il contributo dei direttori degli Istituti artistici di elaborare una proposta per la risoluzione della questione42. Il progetto prevede che le nuove scuole abbiano sede negli Istituti e Accademie di Belle Arti, il corso completo ha una durata di cinque anni. Esaminata la proposta, nel marzo dello stesso anno il Ministro decide di affidare la redazione di un disegno di legge sulle Scuole di Architettura a una Commissione formata da “… scienziati ed artisti che abbiano cognizione ed esperienza particolari intorno a siffatta questione …” 43. Il progetto della Commissione è simile, ma non identico, a quanto definito dalla Giunta Superiore di Belle Arti; la differenza sostanziale sta nella scelta delle sedi deputate ad accogliere i nuovi istituti: non più le Accademie di Belle Arti, ma le Scuole di applicazione.
Il disegno prevede la creazione di sette scuole: a Roma, Napoli, Palermo, Milano, Torino, Venezia e Firenze. Nei primi cinque capoluoghi, avranno sede nelle Scuole di applicazione per Ingegneri – a Milano nell’Istituto Tecnico Superiore e a Torino nel Politecnico – con il concorso delle locali Accademie e Istituti di Belle Arti per le materie artistiche; a Firenze e Venezia invece, dove non sono presenti Scuole per ingegneri, sorgeranno nei locali Istituti di Belle Arti con il contributo, per la parte scientifica, rispettivamente delle Università di Pisa e di Padova. Il Ministro sembra intenzionato ad attuare concretamente il disegno di legge, ma anche in questo frangente nulla si realizza.
Lo stesso anno anche l’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura si esprime sulla formazione degli architetti, e pubblica la Relazione della Commissione per le Scuole di architettura. Il testo si apre con alcune considerazioni sullo stato presente dell’architettura e si attribuisce la decadenza della produzione architettonica alla mancanza di scuole specifiche per la formazione degli architetti. Tali scuole devono essere autonome, ma sorgeranno presso gli Istituti e le Accademie di Belle Arti, perché “… l’architetto deve essere anzitutto un artista, ed il suo intelletto d’arte deve sapersi volgere tanto alle linee grandiose di un monumento quanto all’arredamento spicciolo di un interno; … deve essere colui che al corrente delle più moderne tendenze della vita sociale, sa integrare il programma degli edifici più svariati … , e sa dare soluzioni alle molteplici esigenze che essi presentano; deve essere infine colui che dei periodi artistici del passato ha una conoscenza così completa da poter condurre un restauro di un monumento col più coscienzioso rispetto alla sua storia ed alla sua arte, ed altresì da saper applicare armonicamente gli elementi dei vari stili architettonici, ora che uno stile generale veramente rispondente al nostro tempo purtroppo manca …” 44. Giovannoni è il relatore ed è chiaro il suo contributo al corso di studi proposto, sia per la volontà di creare una figura professionale “a tutto tondo”, sia per quanto riguarda il ruolo di spicco dato alla storia dell’architettura45.
La questione della tutela professionale torna alla ribalta nel 1910 quando è presentato un nuovo testo dal Ministro di Grazia e Giustizia, Fani, di concerto con i Ministri della Pubblica Istruzione, Credaro, e dei Lavori Pubblici, Sacchi46. Il progetto riprende sostanzialmente i contenuti dell’ultima stesura del disegno De Seta, in cui era presente un’apertura nei confronti dei professori di disegno e, inoltre, amplia le cosiddette disposizioni transitorie anche ai practici, ossia a coloro i quali hanno esercitato per anni la professione, senza avere alcun titolo di studio47.
Il disegno di legge è sottoposto all’esame di una Commissione parlamentare, che approva delle disposizioni transitorie meno restrittive rispetto alla stesura originaria: l’ammissione agli Albi professionali per i licenziati dalle Accademie di Belle Arti è subordinata alla dimostrazione di aver esercitato la professione per almeno cinque anni (non più dieci!), oppure al superamento di un esame48. Come già era accaduto al progetto De Seta, anche quello proposto dall’On. Fani, modificato dalla Commissione parlamentare, non sarà mai discusso in Parlamento.
Nel febbraio 1914 è presentato alla Camera un nuovo disegno di legge dal Ministro di Grazia e Giustizia, Finocchiaro Aprile, di concerto coi Ministri del Tesoro (Tedesco), dell’Istruzione Pubblica (Credaro) e dei Lavori Pubblici (Sacchi)49. Il testo è molto simile al progetto Fani, ma si prevede la creazione di tre Albi professionali, uno per gli ingegneri, uno per gli architetti e un terzo per i geometri (malgrado le proteste sono ancora una volta esclusi i laureati in agraria). E per quanto riguarda le tanto discusse disposizioni transitorie si dimostra più permissivo: i professori di disegno archi- tettonico potranno iscriversi all’Albo se dimostreranno di aver lodevolmente esercitato la professione di architetto per almeno cinque anni; mentre i cosiddetti pratici potranno iscriversi negli Albi confacenti alla loro professione (acquisita sul campo), purché dimostrino di averla esercitata per almeno dieci anni. Anche in questo testo si accenna al problema dell’insegnamento dell’architettura, ma sempre indirettamente, chiarendo che le disposizioni transitorie avranno validità “ … fino a che non siano istituite nel Regno e regolarmente funzionanti scuole superiori di architettura …”.
Le proteste dei professori di disegno architettonico e degli studenti delle Accademie e Istituti di Belle Arti non tardano a farsi sentire, in tutta la penisola sono organizzati scioperi e agitazioni. Con la nuova legislatura, nonostante il parere contrario del neo Ministro di Grazia e Giustizia, Luigi Dari, che vuole accelerare il processo della riforma, il Ministro della Pubblica Istruzione, Edoardo Danco50, decide di sottoporre il disegno di legge per l’ordinamento dell’Albo degli ingegneri, architetti e periti agrimensori all’esame della Commissione degli Uffici della Camera. Fra i membri di detta Commissione vi è l’On. Cesare Nava, che accogliendo le istanze di quanti reputano assurdo regolare le questioni riguardanti la professione prima di provvedere alla creazione di istituti specifici per la formazione degli architetti, presenta un disegno di legge per l’istituzione di Scuole Superiori di Architettura51. Nella relazione introduttiva dichiara che il concetto fondamentale sul quale si base la sua proposta “ … è che le scuole di architettura debbono trovare la loro naturale sede negli Istituti e nelle Accademie di Belle Arti …” 52. Il disegno di legge prevede la creazione di otto scuole superiori di architettura presso gli Istituti e Accademie di Belle Arti di Roma, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli e Palermo e la soppressione delle sezioni per architetti civili presso le Scuole di applicazione di ingegneria. Tali scuole comprendono insegnamenti sia artistici che tecnici, per i quali si avvarranno del contributo delle locali Scuole di applicazione; a Firenze tale contributo sarà dato dall’Istituto di Studi Superiori e dall’Università di Pisa, mentre a Venezia dall’Università di Padova.
Il decreto Rosadi (dicembre 1914)
Il disegno dell’On. Nava ottiene il consenso generale53; ma, mentre è ancora in attesa di concretizzarsi, l’On. Giovanni Rosadi, avvocato lucchese, già fondatore della Federazione Architetti Italiani e Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, fa approvare il 13 dicembre 1914 un decreto che istituisce tre Scuole di Architettura a Roma, a Firenze e a Venezia. Si tratta di un brevissimo testo di soli due articoli, firmato dal re, ma che non compare sulla Gazzetta Ufficiale e non sarà registrato alla Corte dei Conti. L’azione dell’onorevole toscano è un vero e proprio atto di forza, che però da più parti è accolta positivamente per aver finalmente sbloccato una questione, ormai da troppo tempo in stallo54.
Come prevedeva il progetto Nava anche il decreto Rosadi stabilisce che i nuovi istituti sorgano presso le Accademie di Belle Arti, ma il loro numero è inferiore: tre scuole contro le otto del precedente disegno di legge. Si afferma la tendenza, già espressa in altre proposte, di accentrare l’insegnamento dell’architettura nei tre principali e universalmente riconosciuti centri artistici italiani, escludendo le altre città d’arte (e tutto il meridione) e non riconoscendo le molteplici diversità culturali e artistiche presenti nella penisola, che invece erano emerse in tutta la loro complessità negli ultimi anni ed erano state celebrate nell’Esposizione di Roma del 191155. Il ciclo completo di studi ha una durata di sei anni, suddivisi in un biennio preparatorio e un quadriennio superiore; al biennio sono ammessi gli studenti in possesso della licenza tecnica o del diploma del corso comune (triennale) dell’Istituto di Belle Arti, al quale si accede con la licenza elementare56.
La nuova Scuola di Architettura di Roma è inaugurata il 22 dicembre 191457, è presente anche il Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, che due giorni dopo presiederà alla cerimonia di apertura dell’istituto fiorentino.
A Venezia, nonostante l’entusiasmo dell’Accademia di Belle Arti per il decreto Rosadi e la buona disposizione delle autorità locali a contribuire economicamente58, la Scuola Superiore di Architettura non è istituita.
I due nuovi istituti sono inaugurati con grande solennità e un terzo sembra essere in cantiere, ma dietro l’apparente successo dell’iniziativa “forte” del Sottosegretario vi sono delle difficoltà neanche tanto nascoste. Rosadi ha certamente il merito di aver sbloccato l’annosa questione, ma se in tanti anni di dibattito non si era riusciti nell’intento, non era stato solo a causa del disinteresse e delle lungaggini della burocrazia del neonato Regno d’Italia; la mancanza di fondi necessari era ed è un problema col quale la creazione dei nuovi istituti deve fare i conti. Il decreto Rosadi è approvato pur mancando la necessaria copertura economica, e se questo formalmente rende il suo corso irregolare, praticamente rende molto difficile l’esistenza delle nuove scuole.
Alcuni mesi dopo l’inaugurazione delle due scuole il decreto, che deve definirne la copertura economica, ancora non è stato approvato e di fatto, sebbene gli istituti abbiano avviato regolarmente l’attività didattica secondo i programmi definiti e con un numero discreto di studenti (98 a Roma e 31 a Firenze), non possono essere considerate legali59.
Questa situazione contribuisce a smorzare l’iniziale ottimismo nei confronti delle nuove scuole, e la loro illegalità ormai palese diventa motivo di imbarazzo per il Ministro della Pubblica Istruzione, che sebbene abbia aderito ufficialmente alla loro creazione, poco dopo le declassa a mero esperimento60.
La mancata attuazione del disegno di legge sulle Scuole Superiori di Architettura di Roma, Firenze e Venezia e dunque l’assenza di una legittimazione degli istituti creati, scatena nella primavera del 1915 la protesta studentesca, che inizia nell’Istituto di Belle Arti di Roma, ma che ben presto si estende agli altri Istituti e Accademie del Regno61. Alle proteste delle Accademie si uniscono quelle opposte delle Scuole di applicazione per ingegneri e dei Politecnici del Regno, che si organizzano in un Comitato d’agitazione tra gli allievi ingegneri di Italia. Essi promuovono scioperi, assemblee e diffondono tutto il loro malcontento per “il colpo di mano di Rosadi” attraverso la stampa, scrivendo lettere che inviano ai diversi quotidiani italiani62.
La priorità data alla capitale è inoltre motivo di accese polemiche da più parti: la Scuola Superiore di Architettura è fondata nell’Istituto di Belle Arti, alla cui direzione è Ettore Ferrari, Vicepresidente del Consiglio Superiore delle Belle Arti, scultore e anche gran maestro del Grande Oriente d’Italia, cioè del più antico corpo della massoneria italiana. L’invadenza massonica nella nuova istituzione è denunciata apertamente63, e si accusa Ferrari di aver nominato il nuovo corpo docente arbitrariamente. Alcuni autori hanno visto nel “colpo di mano di Rosadi” un disegno ben preciso, per porre Roma al centro dell’insegnamento dell’architettura in Italia, e creare la prima Scuola Superiore di Architettura in seno al potere della massoneria, concretizzando così il tradizionale legame di quest’ultima con le Associazioni muratorie. È indubbio il legame di Ettore Ferrari con il Grande Oriente d’Italia, così come lo è per Guido Chialvo e Lucio Silla, entrambi insegnanti della nuova Scuola di Architettura. Ma dietro la scelta di Rosadi vi sono soprattutto ragioni di utilità; da un lato sono preferiti i tre principali centri artistici italiani, universalmente riconosciuti, e Roma anche in quanto capitale del giovane Regno d’Italia, in cerca di un’identità e un’unità non ancora concrete, deve avere la priorità; dall’altro i gravi problemi di natura finanziaria, che come si è visto Rosadi aveva tentato di aggirare, non consentivano di allargare ulteriormente il numero delle nuove scuole. Al Sottosegretario va riconosciuto il merito di aver tentato di sbloccare – sebbene con metodi non del tutto ortodossi – una situazione in stallo da fin troppo tempo e di aver riportato l’attenzione generale sul problema delle Scuole di Architettura, obnubilato dalle discussioni sulla legge per la tutela della professione. Gli istituti, nati dal “colpo di mano” terminano il loro agitato corso alla fine dell’anno scolastico. Il Presidente della Scuola di Roma richiede al Ministero della Pubblica Istruzione di poter sottoporre gli studenti a prove d’esame che “… non avranno effetti legali ma potranno essere tenute in considerazione in rapporto alle disposizioni transitorie legislative per l’ammissione alle Scuole Superiori di Architettura che saranno istituite …” 64.
La scuola nata dal decreto Rosadi costituirà un breve esperimento, ed è solo dopo la guerra che, riprendendo i contenuti del disegno Nava, il ministro Alfredo Baccelli firmerà il decreto istitutivo della Scuola Superiore di Architettura di Roma. Il vero promotore del nuovo istituto non sarà Ferrari, ben presto relegato a un ruolo meramente rappresentativo, ma Giovannoni, a tutti gli effetti il teorico dell’impianto didattico. E se nei primi anni sarà Manfredo Manfredi a dirigere l’istituto, nel 1927, dopo la morte di quest’ultimo, Giovannoni sarà eletto pro direttore e resterà in carica fino al 1935, quando gli succederà Marcello Piacentini.
Nel 1916 Giovannoni pubblica l’articolo, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia65. Il lungo scritto può essere considerato come il perfezionamento della Relazione della commissione per le Scuole di architettura del 1907; in esso Giovannoni ripercorre l’annosa questione del dibattito sull’insegnamento dell’architettura e alla luce del disegno di legge Nava propone ulteriori suggerimenti e aggiustamenti a un testo che ha ottenuto il consenso generale e che è destinato a concretizzarsi in Regio Decreto. Giovannoni traccia il profilo di una nuova figura professionale, “l’architetto integrale”, professionista in grado di poter intervenire dalla piccola alla grande scala, dotato di un solido bagaglio culturale, capace di rispondere ai “quesiti del restauro” e di trovare un nuovo linguaggio, uno “stile nazionale”, per l’architettura contemporanea.
La nascita della Scuola Superiore di Architettura di Roma (R. D. 31 ottobre 1919)
Con R. D. del 31 ottobre 1919 è istituita la Scuola Superiore di Architettura di Roma66; il decreto è firmato dal Ministro della Pubblica Istruzione, Alfredo Baccelli, ed è modellato sul progetto di legge dell’On. Nava del 1915. La nuova scuola è aggiunta all’elenco degli Istituti di istruzione superiore e delle Regie Università, e rilascia dopo cinque anni il diploma di architetto civile. Sono ammessi ai corsi gli studenti in possesso della licenza liceale o dell’istituto tecnico, sezione fisico-matematica, previo il superamento di “… un esame sul disegno geometrico, su quello a mano libera e sulle elementari forme ornamentali e architettoniche …” 67; dalle prove di ammissione sono invece dispensati coloro i quali sono in possesso della licenza del corso comune dell’Istituto di Belle Arti. Le materie obbligatorie, suddivise fra i cinque anni di corso (l’ultimo è però destinato prevalentemente alle materie artistiche), sono: matematica, meccanica razionale, topografia, chimica generale, fisica sperimentale, idraulica applicata alle costruzioni, scienza delle costruzioni, igiene delle costruzioni, prospettiva, storia dell’architettura, stili architettonici e loro applicazioni, rilievo e restauro dei monumenti, composizione architettonica, edilizia cittadina. Il decreto stabilisce che a partire dall’anno accademico 1920-1921, saranno aboliti i corsi per architetto civile presso la Scuola di applicazione per ingegneri di Roma, e “… in parità di tempo sarà soppresso il corso superiore di architettura nell’Istituto di Belle Arti di Roma …” 68. I contenuti del Regio Decreto n. 2593 però non mettono tutti d’accordo: la scuola che si sta istituendo ricalca il progetto “giovannoniano”, in cui sapere tecnico, scientifico e artistico si sposano per creare “l’architetto integrale”. In primo luogo è l’ambiente artistico romano, cioè Ettore Ferrari e gran parte dei docenti dell’Istituto di Belle Arti, a criticare l’impostazione della nuova scuola, dove non sono tutelati “… i supremi interessi dell’arte …” 69. Anche la Federazione degli Architetti Italiani, espressione del potere corporativo dei professori di disegno architettonico, pur plaudendo all’iniziativa di Baccelli, critica l’impostazione della nuova scuola, “… che non corrisponde ai desiderata ripetutamente espressi dagli Architetti Italiani nei riguardi dell’arte e della professione …” 70. Il Sottosegretario di Stato per le Antichità e Belle Arti, on. Rosadi, in una missiva al Ministro delle Pubblica Istruzione71, disapprova il fatto che la nuova scuola sia stata posta sotto il controllo dell’Istruzione Superiore e non dell’Antichità e Belle Arti, come tutti gli istituti di istruzione artistica, e deplora che l’ordine degli studi privilegi le materie tecnico-scientifiche a danno della parte artistica.
Il regolamento della Scuola Superiore di Architettura di Roma è approvato con R. D. del 2 giugno 192172. Rispetto al testo del decreto del 1919 non vi sono differenze sostanziali; oltre alle materie obbligatorie, già stabilite, è definito anche un elenco delle discipline facoltative, in cui predominano le materie artistiche: ornato e figura, storia dell’arte, decorazione applicata, plastica ornamentale, materie giuridiche, amministrative ed economiche, arredamento e decorazione interna, mineralogia e geologia. Sono inoltre stabilite le modalità per l’esame di laurea, che consiste nella realizzazione di un progetto “… sviluppato in forma completa dal punto di vista artistico, tecnico e finanziario …“, in due prove estemporanee, una artistica e l’altra tecnica, e in una prova orale sui progetti precedentemente svolti e in generale su tutte le materie d’insegnamento.
Alla Commissione ministeriale, incaricata di studiare il regolamento della scuola, è anche richiesto di fare delle proposte riguardo la sede del nuovo istituto. Tre sono i possibili luoghi: alcuni locali nel palazzo del “Ferro di Cavallo” a Ripetta; l’ex convento di S. Caterina da Siena, adiacente alla chiesa omonima e alla torre delle Milizie; il monastero dell’Annunziata nel palazzo quattrocentesco dei Cavalieri di Rodi, situato sui ruderi del foro di Augusto73.
La Scuola Superiore di Architettura troverà sede nei locali del “Ferro di Cavallo”, dove avrebbe dovuto rimanere pochi anni in attesa che venisse espropriato l’edificio dei Cavalieri di Rodi; ma in via Ripetta resterà fino al 1932, quando sarà inaugurato il nuovo edificio a Valle Giulia, progettato da Enrico Del Debbio.
La nuova scuola è inaugurata il 18 dicembre 1920 e la notizia è riportata su «Architettura e Arti Decorative»74 dove sono indicati anche tutti gli insegnamenti del nuovo istituto, compreso il “Corso speciale dei monumenti” aggregato alla Scuola Superiore di Architettura. Si tratta di un corso post lauream, fortemente voluto da Giovannoni,”… avente per scopo generale la conoscenza artistica e la coltura storica e tecnica con criteri scientifici sull’architettura monumentale, e per scopo specifico la preparazione del personale di architetti per gli Uffici della R. Soprintendenza ai monumenti …” 75. Alla cerimonia di inaugurazione sono presenti il Direttore e il Sottosegretario alle Antichità e Belle Arti, rispettivamente Cola- santi e Rosadi, il Presidente dell’Istituto di Belle Arti, Ferrari, il Direttore della Scuola di applicazione, Ceradini, il Sindaco di Roma, Rava, e una folla di artisti. Il discorso inaugurale è pronunciato dal Direttore, Manfredi, ma si tratta di un atto formale, poiché Giovannoni pronuncerà un ulteriore discorso, che può essere considerato a tutti gli effetti la prolusione ai corsi che inizieranno nel gennaio 192176.
La legge n. 1395 del 24 giugno 1923 e la nascita del Sindacato Fascista Architetti
Pochi anni dopo la fondazione della Scuola di Roma, anche l’annosa questione della tutela dell’esercizio professionale, rimasta congelata a causa della guerra, troverà una soluzione.
Fra i promotori più accesi della causa vi è un nuovo sodalizio, fondato a Milano nel gennaio 1919, l’Associazione Nazionale Ingegneri Italiani (ANII)77. Nel 1922 nell’ANII entra a far parte anche la categoria degli architetti e il sodalizio assume la nuova denominazione di ANIAI, Associazione degli Ingegneri e degli Architetti Italiani. Nello stesso anno è fondata la nuova rivista tecnica mensile, «Ingegneria», che va ad ampliare il ristretto panorama della pubblicistica specializzata nel settore.
Nel febbraio del 1923 la legge sulla tutela della professione e del titolo degli ingegneri e degli architetti è approvata dalla Camera e quindi passa all’esame del Senato. La Commissione Centrale per quanto riguarda le disposizioni transitorie stabilisce che ai diplomati presso gli Istituti e Accademie di Belle Arti debba essere attribuito il titolo di “architetto abilitato” e non di “architetto civile”, come ai licenziati dalle Scuole Superiori di Architettura e dalle Scuole di applicazione. La diversità di denominazione è vista dai sostenitori dei professori di disegno e dalle Associazioni di categoria come una “lettera scarlatta”, inaccettabile. Marcello Piacentini, Presidente dell’Associazione romana fra gli Architetti, sezione della Federazione Architetti Italiani, scrive a Gentile per protestare contro la decisione della Commissione Centrale, che pregiudica gravemente la dignità professionale dei diplomati negli Istituti di Belle Arti78.
Nel giugno dello stesso anno è approvata la legge79 che definisce un Albo professionale unico per entrambe le categorie. Malgrado le polemiche degli ingegneri, degli studenti di ingegneria, delle associazioni di categoria e l’opposizione di Croce, nel testo definitivo sono presenti entrambi gli articoli delle disposizioni transitorie e di fatto la legge si rivela molto aperta sia nei confronti dei professori di disegno sia dei “pratici”; l’art. 9 consente di iscriversi all’Albo e di fregiarsi del titolo a coloro che, sebbene sprovvisti di titoli, abbiano esercitato la professione per almeno dieci anni; mentre l’art. 10 stabilisce che anche i professori di disegno con un esperienza almeno quinquennale nel settore possano avere accesso al titolo e all’Albo professionale.
Chiaramente la legge, così come approvata, non riscuote il plauso degli ingegneri, i quali sperano che nel regolamento, che dovrà attuarla, siano messe in evidenza le opportune differenze tra laureati e licenziati dalle Accademie o semplici professionisti abilitati in virtù della loro esperienza nel settore80. Il regolamento diviene decreto nell’ottobre 192581. Si definisce l’esistenza di un unico Albo professionale per ingegneri e architetti82; per quanto riguarda la richiesta da parte dei professionisti laureati di una precisa distinzione con i licenziati dalle Accademie e dai pratici, l’art. 3 stabilisce che l’Albo conterrà per ogni iscritto, oltre alle generalità, “… la natura del titolo che abilita all’esercizio della professione con eventuale indicazione dell’autorità da cui il titolo stesso fu rilasciato …”. Sulle competenze professionali, gli architetti ottengono come ambito specifico il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla legge 20 giugno 1909 n. 364 per le Antichità e Belle Arti (ma la parte tecnica può essere di competenza anche dagli ingegneri); le opere di edilizia civile sono oggetto di entrambe le categorie professionali, eccetto quelle di “rilevante carattere artistico” che il regolamento stabilisce di esclusiva competenza degli architetti. Di fatto l’ambito professionale dell’architetto non è definito precisamente e non si discosta molto da quello dell’ingegnere (che oltre all’edilizia civile può dedicarsi anche ai settori specifici a cui dà adito la specializzazione) e questo genererà conflitti e ambiguità, presenti ancora oggi.
La legge stabiliva che le domande di ammissione dei professionisti, contemplati agli artt. 9 e 10 delle tanto discusse disposizioni transitorie, dovessero essere valutate da due specifiche Commissioni, una per gli ingegneri e l’altra per gli architetti. Nel marzo del 1927 è nominata la Commissione per giudicare gli aspiranti al titolo di architetto83, che, come stabilito dalla legge, è formata da professori della Scuola Superiore di Architettura e da liberi professionisti84. La Commissione, che secondo il programma avrebbe dovuto concludere i propri lavori nel settembre 1927, terminerà solo nel settembre del 1929, dopo aver esaminato 1310 domande e aver abilitato 694 architetti.
Nella lista di coloro i quali beneficiarono della “sanatoria” vi sono anche nomi illustri, tra cui ricordiamo: Enrico Del Debbio, Arnaldo Foschini, Alberto Calza Bini, Giovanni Michelucci, Armando Brasini, Adolfo Coppedé, Giuseppe De Finetti, Innocenzo Sabatini ed Ettore Sottsass.
Nell’aprile del 1923 è fondato il Sindacato Fascista Architetti, del cui Direttorio fanno parte gli architetti Alberto Calza Bini e Ghino Venturi e l’ingegner Vincenzo Fasolo; a giugno è creato il Sindacato Provinciale Architetti di Roma con segretario Ghino Venturi. Sull’esempio di Roma saranno fondati i Sindacati Architetti di Torino, Milano e poi anche di Parma, Perugia e Napoli85. L’ANIAI con decreto del 7 ottobre 1923 n. 2378 è elevata a ente morale. Inizialmente le due istituzioni riescono a coesistere senza problemi, al Sindacato spettano compiti politico-sindacali, mentre al sodalizio professionale sono lasciate competenze tecnico-culturali. Ben presto l’ANIAI si dimostra contraria a rivestire un ruolo meramente rappresentativo e questo sarà argomento di dibattito in diversi convegni del sodalizio. Nel sesto congresso del 1926 la Presidenza Generale propone lo scioglimento dell’Associazione, passando le funzioni sindacali al Sindacato e nella seduta del Consiglio direttivo del Collegio di Milano del 19 maggio 1926 il Presidente, ing. Gilardi, “… avverte che l’ANIAI è di fatto sciolta …” 86; il Sindacato nazionale, con i vari rami provinciali, ha ormai acquisito anche competenze culturali e intellettuali e il sodalizio non ha più ragione di esistere87.
La progressiva presa di potere del Sindacato Fascista avrà delle importanti ripercussioni su altri due sodalizi: la Federa- zione Architetti Italiani e l’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura. Il sodalizio, fondato dall’On. Rosadi nel 1905 per tutelare i diritti dei professori di disegno architettonico, fino al 1925 aveva potuto contare su di un numero cospicuo di sezioni locali e di soci; con l’ascesa del regime e conseguentemente del Sindacato, le sezioni della Federazione cominciano a sciogliersi e al loro posto sono fondate le sezioni sindacali, fino ad arrivare all’azzeramento totale della Federazione. L’Associazione Artistica aveva ampliato il suo raggio d’azione con la creazione delle consorelle Associazioni di “Architetti e Cultori” e di “Amatori e Cultori di Architettura”, fondate rispettivamente a Napoli e a Bologna88; nel 1925 Calza Bini succede a Giovannoni alla presidenza e lentamente anche il sodalizio nato per “… promuovere lo studio e rialzare il prestigio dell’architettura …” confluisce nell’alveo del Sindacato. Sono create altre Associazioni a Firenze, a Venezia e a Torino89 e nel 1927, con grande sdegno di Giovannoni, l’Associazione Artistica è trasformata nel circolo di cultura del Sindacato Fascista, seguita a breve dalle altre consorelle.
I primi esiti dell’insegnamento autonomo dell’architettura
A quattro anni dall’inaugurazione della Scuola Superiore di Architettura di Roma su «Architettura e Arti Decorative» è pubblicato un articolo, in cui è fatto un resoconto del primo periodo di vita del nuovo istituto, descritta l’organizzazione della didattica ed esposti i programmi per il futuro; sono inoltre pubblicati i lavori delle tesi di laurea di alcuni studenti, a dimostrazione dell’impostazione scelta nell’insegnamento della composizione architettonica e dei risultati raggiunti90. L’autore è Ghino Venturi, segretario del Sindacato Provinciale Architetti di Roma e membro del Direttorio del Sindacato Nazionale con Alberto Calza Bini e Vincenzo Fasolo. È curioso che a tirare le somme dell’esperienza della scuola sia un professionista esterno piuttosto che un docente. È chiaro l’intento di voler dimostrare la diretta connessione tra formazione e professione, ma è altrettanto palese il ruolo forte giocato dal Sindacato su più fronti.
Quando nel 1920 è fondata la Scuola Superiore di Roma sono iscritti 55 studenti e solo uno, al quinto anno per equipollenza di titoli, si laurea; nell’anno accademico 1924- 25 gli studenti sono 116, di cui dieci conseguiranno il titolo di architetto91.
Le tesi di laurea pubblicate sono tre: il “Progetto per un albergo alpino” di Pietro Maria Favia (1922), una “Banca di Stato in una grande città” di Amerigo Mattioli (1923), un “Grande palazzo moderno al lungotevere Marzio” di Luigi Piccinato (1923). Dall’esame dei disegni emerge subito un aspetto interessante: lo stile è assolutamente variegato e non vi è una tendenza comune. Piccinato progetta guardando all’edilizia residenziale che si produce contemporaneamente a Roma, in cui è forte l’influenza del cosiddetto barocchetto; Mattioli realizza un imponente palazzo rappresentativo, in cui chiari sono i riferimenti all’architettura classica e rinascimentale; Favia coerentemente col tema fa riferimento all’architettura nordeuropea, senza però dimenticare la tradizione classica.
A conferma della varietas che caratterizza i progetti delle tesi di laurea degli studenti licenziati dalla Scuola di Architettura di Roma, vi sono anche gli elaborati di altri due giovani destinati a un brillante futuro: Angelo Di Castro ed Emanuele Caniggia92. Entrambi si laureano nel 1924, ma hanno percorsi formativi completamente differenti, il primo ha studiato per alcuni anni presso il Politecnico di Torino nella sezione per architetti civili e poi si è trasferito a Roma nella neonata Scuola Superiore di Architettura per completare gli studi; il secondo ha conseguito nel 1912 il titolo di professore di disegno presso l’Istituto di Belle Arti di Roma e nel 1920 si iscrive nella nuova Scuola per diventare un architetto a tutti gli effetti. Il tema della tesi di laurea di Angelo Di Castro è una “Chiesa a Monteverde”, con annessa l’abitazione del parroco e gli uffici. Nel nuovo quartiere destinato dal piano regolatore93 a “villini” e per una ridotta porzione a “fabbricati”, egli progetta una chiesa a pianta centrale, sormontata da una cupola, in cui è chiaro il riferimento all’architettura barocca94. In un quartiere residenziale dove l’edilizia parla soprattutto il linguaggio barocchetto, Di Castro realizza un edificio rispettando le condizioni d’ambiente, allineandosi anche a una tendenza piuttosto diffusa a Roma in quel periodo e che continuerà negli anni a venire, basti pensare alla chiesa degli Angeli Custodi nella città giardino Aniene e a quella della Madre di Dio a ponte Milvio95. Il progetto di Di Castro, come definito dal regolamento della Scuola, oltre agli elaborati “artistici” comprende anche lo studio degli impianti e la verifica di stabilità delle strutture.
Decisamente più eclettica è la tesi di laurea di Emanuele Caniggia, che realizza una “Stazione climatica sul Monte Artemisio”, una località nei pressi di Roma. Egli progetta un grande castello neo-medioevale con torri, merlature e grifi, con rimandi all’architettura del Palazzo della Signoria di Firenze; le rotaie che penetrano nell’edificio per l’accesso diretto del treno al complesso sono riprese dagli esempi delle grandi stazioni climatiche del Baden e ci ricordano che si tratta di un progetto contemporaneo.
Fra i primi laureati vi è anche Roberto Pane, che trasferitosi dalla sezione di architettura della Scuola Politecnica di Napoli, consegue il diploma di architetto civile nel 1922, con una tesi sull’architettura rurale dei Campi Flegrei96. Nel 1924 si laurea Gino Cancellotti con il progetto di una “Chiesa votiva nei dintorni di Roma”97, e l’anno successivo Elena Luzzatto Valentini, prima donna licenziata architetto civile dalla Scuola, con il progetto di un “Sanatorio nei pressi del lago di Como”98.
Sono questi i primi laureati illustri della Scuola Superiore di Architettura di Roma, a cui ne seguiranno molti altri negli anni successivi; basti pensare che nell’anno accademico 1930-31, a dieci anni dalla fondazione, il numero degli studenti è di 231, praticamente più che quadruplicato, a sancire il successo di un’istituzione ben congegnata, che però dà accesso a un titolo giuridicamente non altrettanto definito e tutelato.
Nonostante la mancata tutela legale dell’“architetto integrale”, la figura professionale definita da Giovannoni nel 1916 dimostrerà grandi doti di tenuta nel tempo. Nel secondo dopoguerra, in pieno dibattito sulla ricostruzione, Ernesto Rogers indica negli architetti e nella loro formazione integrale il fulcro di questa complessa fase. Esemplare in questo contesto, è la realizzazione del Manuale dell’architetto, che Mario Ridolfi pubblica per il CNR, uno strumento di lavoro per l’“architetto integrale”, per progettare “dal cucchiaio alla città”.
Osservando le tavole dei primi laureati sembra esserci un abisso con i progetti presentati da tre laureandi della stessa scuola pochi anni dopo, nel 1928, alla Prima Esposizione di Architettura Razionale. Adalberto Libera, Mario Ridolfi, Luigi Vietti espongono lavori in cui è chiaro il rifiuto di applicare pedissequamente gli stili. Ma la lezione appresa dalla Scuola ha lasciato il suo segno: i capisaldi e i principi della storia dell’architettura, il rilievo dell’Antichità classica e del Rinascimento, costituiscono i modelli della moderna architettura, che parla un nuovo linguaggio, autonomo da ogni riferimento stilistico. Potrebbe trovarsi proprio qui la radice dell’aggettivazione in chiave nazionale dell’architettura italiana, e non solo sotto il fascismo (in questo caso prevedibilmente), ma anche nel secondo dopoguerra in un contesto politico e sociale democratico.
1 cfr. P. MARCONI, R. GABETTI, L’insegnamento dell’architettura nel sistema didattico franco-italiano (1789-1922), Torino 1969 (il saggio è stato ristampato su «Controspazio», nn. 3, 6, 9, 10 e 11 del 1971); L. DE STEFANI, Le scuole di architettura in Italia. Il dibattito dal 1860 al 1933, Milano 1992; P. NICOLOSO, Gli architetti di Mussolini. Scuole e sindacato, architetti e massoni, professori e politici negli anni del regime, Milano 1999; ID., “Una nuova formazione per l’architetto professionista: 1914-1928”, in Storia dell’architettura italiana. Il primo Novecento, a cura di G. CIUCCI, G. MURATORE, Milano 2004, pp. 56-73; B. BERTA, La formazione della figura professionale dell’architetto. Roma, 1890-1925, tesi di dottorato, Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Studi Storico – Artistici, Archeologici e sulla Conservazione, Università Roma Tre, XX ciclo, tutor prof. V. Franchetti Pardo, co-tutor M. L. Neri
2 cfr. V. DI GIOIA, Dalla scuola alla facoltà di ingegneria, Roma 1985
3 M. L. NERI, “Stile nazionale e identità regionale nell’architettura dell’Italia post-unitaria”, in La Chioma della Vittoria, a cura di S. BERTELLI, Firenze 1997, p. 133
4 ARCHIVIO CENTRALE DI STATO (ACS), Ministero della Pubblica Istruzione (MPI), Antichità e Belle Arti (AABBAA), 1860-1896, b. 19; Prospetto di riforma degli studi di architettura civile annesso alla relazione presentata nell’ottobre 1869 al Ministro della Pubblica Istruzione dagli architetti A. Cipolla, E. Alvino, E. De Fabris, F. Mazzei e dal prof. E. Betti colle modificazioni introdotte dal Congresso Artistico di Parma del settembre 1870
5 ibidem; documento a stampa del R. D. 25 settembre 1885
6 il ministro Coppino, infatti, fa rilevare che nei Politecnici, dal 1884 sono state conferite 2981 lauree di ingegnere e solo 46 di architetto civile; cfr. P. MARCONI, R. GAM- BETTI, L’insegnamento dell’architettura nel sistema didattico franco-italiano (1789-1922), in «Quaderni di studio», Torino 1969, p. 61
7 C. BOITO, I nuovi decreti sulle Accademie di Belle Arti, in «Nuova Antologia», XXV, 880 (febbraio 1874), pp. 880-896
8 ACS, MPI, AABBAA, 1860-1896, b. 20; Verbali della Commissione per l’ordinamento dello studio dell’architettura, seduta del 15 marzo 1887, prima adunanza; seduta del 16 marzo 1887, seconda adunanza; seduta finale del 4 maggio 1887. Fanno parte della Commissione il senatore, prof. Francesco Brioschi (presidente), il prof. Cremona, il prof. Camillo Boito della R. Accademia di Belle Arti di Milano, il prof. Giuseppe Castellazzi del R. Istituto di Belle Arti di Firenze, il prof. Luigi Rosso dell’Istituto di Belle Arti di Roma
9 cfr. L. DE STEFANI, op. cit., pp. 77-86
10 ACS, MPI, AABBAA, 1860-1896, b. 20; Lettera del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione al Ministro della Pubblica Istruzione, firmata dal presidente Luigi Cre- mona, datata 11 novembre 1893; oggetto: riordinamento delle scuole di architettura: “… Questo consiglio superiore, ottemperando all’invito fattogli da V. E., non mancò di occuparsi nella sessione testé chiusa del progetto di riordinamento delle Scuole Superiori di Architettura, e nominò nel suo seno una commissione con l’incarico di studiare maturamente l’importante argomento e presentare al consiglio stesso le proprie osservazioni e proposte. La commissione soddisfece con ogni cura e sollecitudine al mandato ricevuto, e nell’adunanza del 30 ottobre presentò la qui unita relazione che il consiglio approvò e fece sua parendogli che con le modificazioni al progetto mini- steriale proposte dalla commissione si possa raggiungere lo scopo cui mira l’E. V., di dare un assetto stabile ed utile alle predette scuole, con sicuro vantaggio degli studi architettonici e di coloro che vi si dedicano. …”
11 F. GREGOROVIUS, Diari romani. 1852-1874, a cura di A. M. ARPINO, Roma 1967, p. 206, annotazione del 4 aprile 1874
12 la Pontificia Accademia di S. Luca, fondata da Gregorio XIII nel 1577, era sopravvissuta anche al governo napoleonico e, anzi, in virtù del decreto 23 novembre 1810 e grazie al carisma del Canova le era stato accordato un cospicuo finanziamento per le sue diverse attività; cfr. A. CERUTTI FUSCO, “Dibattito architettonico e insegna- mento pubblico dell’architettura nell’Accademia di San Luca a Roma nella prima metà dell’Ottocento”, in L’architettura nelle Accademie riformate. Insegnamento, dibattito culturale, interventi pubblici, a cura di G. RICCI, Milano 1992, pp. 41-70
13 Protesta dell’insigne Accademia romana delle Belle Arti denominata di S. Luca contro un nuovo Statuto impostole dal Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia, Roma 1873. Il documento è pubblicato anche in P. PICARDI, P. P. RACIOPPI (a cura di), Le scuole mute e le scuole parlanti. Studi e documenti sull’Accademia di San Luca nell’ottocento, Roma 2002, pp. 503-507
14 cfr. P. MARCONI, A. CIPRIANI, E. VALERIANI, I disegni di architettura dell’archivio storico dell’Accademia di S. Luca, Roma 1974; R. CATINI, I concorsi Poletti 1895- 1938, Roma 1999
15 ACS, MPI, AABBAA, 1860-1896, b. 20; Lettera del Ministro della Pubblica Istruzione al Presidente dell’Accademia di S. Luca, datata 26 aprile 1888. Ibidem; Lettera del V. Presidente dell’Accademia di S. Luca, Zagari, al Ministro della Pubblica Istruzione, datata 25 giugno 1888; oggetto: riordinamento degli studi d’architettura. Alla lettera è allegato il rapporto della Commissione nominata dalla classe di architettura; ARCHIVIO STORICO ACCADEMIA DI SAN LUCA (ASL), 2232, vol. 165 n. 22, 1888; Progetto a stampa per la riforma delle scuole di architettura richiesta dal Governo all’Accademia di S. Luca
16 nessun altro accademico porta avanti l’argomento, anche chi, come Gustavo Giovannoni, da anni si batte per le scuole di architettura; del resto, la volontà comune è che il nuovo istituto possa avere successo e un futuro a differenza dei tentativi precedenti e, probabilmente, fondarlo all’interno di un’istituzione, un tempo non lontano legata al potere pontificio e fortemente declassata dal governo centrale, non gioverebbe al suo credito nel resto della penisola; ASL, Tit. IX, Verbali, Consiglio. Adunanze del 27/01/1918 e del 5/03/1918; ibidem, Classe di architettura. Adunanze, del 15/02/1918, 18/02/1918, 21/02/1918, 7/03/1918
17 nel resoconto morale dell’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura si dice che il Ministro della Pubblica Istruzione, Boselli, ha manifestato il suo favore nel soda- lizio appena costituito, in «Annuario dell’Associazione Artistica fra i Cultori di architettura», n. 1 (1891)
18 G. ZUCCONI (a cura di), Gustavo Giovannoni. Dal capitello alla città, Milano 1997, p. 16
19 art. 2 dello statuto dell’Associazione, in «Annuario dell’Associazione artistica fra i Cultori di Architettura», n. 1 (1891), pp. 9-10
20 fra i soci promotori ricordiamo: Ernesto Basile, Carlo Busiri Vici, Gaetano Koch, Giulio Magni, Emanuele Manfredo Manfredi, Raffaele Ojetti, Giulio Podesti, Pio Piacentini, Luigi Rosso, Giuseppe Sacconi
21 i volumi sono pubblicati nel 1926 a Torino; la ricerca è condotta da una Commissione formata da L. Ciarrocchi, M. De Renzi, M. Marchi, P. Marconi, presieduta da G. Astori e con la partecipazione della contessa Maria Pasolini
22 già dai primi del Novecento Giovenale progetta il villino Boncompagni sull’omonima via romana, un’architettura movimentata nelle linee e caratterizzata da una decora- zione barocca. A S. Maria in Cosmedin egli demolisce la settecentesca facciata del Sardi per riportarla alla sua facies originaria, ma nell’architettura nuova non disdegna il linguaggio che fu del Borromini, adatto soprattutto alle tipologie residenziali dei villini e delle palazzine, aprendo così una nuova linea di sperimentazione, che porterà interessanti sviluppi nell’architettura romana
23 Gustavo Giovannoni compare per la prima volta nell’Annuario MCMIII – MCMIV, pubblicato nel 1904; egli è introdotto nell’Associazione dall’amico Federico Hermanin, storico dell’arte
24 cfr. A. GABBA, L’associazionismo degli ingegneri e degli architetti nel quarantennio 1885-1926, in «Clio», XXXVI, n. 3 (luglio-settembre 2000), pp. 573-585
25 G. TURI (a cura di), “Le libere professioni e lo Stato”, in Libere professioni e fascismo, Milano 1994, p. 13
26 Relazione sui lavori della Prima Sezione, in «Annali della Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani», parte I, 1887, pp. 50-505 36
27 sono rappresentati i Collegi degli Ingegneri e degli Architetti di Bologna, di Ferrara, di Genova, di Firenze, di Milano, di Napoli, di Palermo, di Ravenna, di Reggio Emilia, di Ravenna e la Società degli Ingegneri e degli Architetti italiani
28 in «Annali della Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani», parte II, 1890, pp. 65-66
29 Notizie sugli atti della Presidenza e del Consiglio direttivo della Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani, relativi alla tutela dei diritti professionali e sullo stato presente della questione professionale, in «Annali della Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani», parte I, 1896, pp. 79-84
30 gli ingegneri e gli architetti di Roma e provincia fino al 1923 possono essere iscritti (anche contemporaneamente) all’Albo municipale, all’Albo della Società degli Ingegneri e degli Architetti italiani e all’Ordine degli Ingegneri e degli Architetti. Lo stesso regolamento dell’Ordine degli Ingegneri e degli Architetti residenti nella provincia di Roma all’articolo 8 recita: “… Gli iscritti all’ordine saranno distinti dai semplici iscritti all’albo con carattere speciale nella stampa del loro cognome …”
31 la Commissione è formata da sei membri: Andrea Busiri Vici, presidente dell’Accademia di S. Luca, Giovanni Cadolini, presidente della Società degli Ingegneri e degli Architetti italiani, Luigi Cremona, direttore della R. Scuola di applicazione per ingegneri di Roma, Enrico Gui, e da delegati della Prefettura e dei Ministeri della Pubblica Istruzione e dei Lavori Pubblici; cfr. Relazione presentata alla Giunta Municipale di Roma dalla Commissione incaricata dell’esame dei titoli per l’iscrizione all’albo, in «An- nali della Società degli Ingegneri e degli Architetti Italiani», parte I, 1887, pp. 335-347
32 CAMERA DEI DEPUTATI, Proposta di legge d’iniziativa del deputato De Seta n. 583 svolta e presa in considerazione il 9 giugno 1904 “Sull’esercizio della professione d’ingegnere ed architetto”, in Raccolta degli atti stampati per ordine della Camera, vol. XXII, dal n. 523 al 620, Roma 1904
33 CAMERA DEI DEPUTATI, Proposta di legge d’iniziativa del deputato De Seta n. 71, svolta e presa in considerazione il 14 dicembre 1904 “Sull’esercizio della professione d’ingegnere, di architetto e perito agrimensore”, in Raccolta degli atti stampati per ordine della Camera, vol. V, dal n. 38 al 119, Roma 1909
34 CAMERA DEI DEPUTATI, Relazione della Commissione, composta dai deputati: Cao-Pina, presidente, Battaglieri, segretario, Landucci, Lucchini, Mira, Cassuto, Giar- dina, Curioni e De Seta, relatore, sulla proposta di legge d’iniziativa del deputato De Seta n. 71 svolta e presa in considerazione il 14 dicembre 1904 “Sull’esercizio della professione d’ingegnere, di architetto e perito agrimensore”; seduta dell’11 febbraio 1905, in Raccolta degli atti stampati per ordine della Camera, vol. V, dal n. 38 al 119, Roma 1909
35 a Milano presiederà Giovanni Rocco, in Veneto Duilio Torres, a Parma Giuseppe Mancini, a Bologna Edoardo Collamarini e in Sicilia Ernesto Basile
36 ACS, MPI, IS, div. II, Leggi, regolamenti, statuti esami, etc., (1925-1945), b. 5. Documento a stampa. Camera dei Deputati, tornata di giovedì 31 gennaio 1907. Presidenza del vice presidente Gorio, pp. 11531-11538
37 ibidem, Documento a stampa. Camera dei Deputati, disegno di legge n. 71, Sull’esercizio della professione d’ingegnere, di architetto e perito agrimensore; disegno di legge della Commissione e nuovo testo concordato tra Ministero e Commissione
38 ibidem, Disposizioni transitorie, art. 14
39 ibidem, Disposizioni transitorie, art. 15
40 ibidem, Documento a stampa, Camera dei Deputati, seduta del 1 febbraio 1907, discorso dell’On. Turati alla Camera sulla proposta di legge sull’esercizio della profes- sione di ingegnere, architetto e perito agrimensore, pp. 11558-11562; si veda anche: ESMOI, Attività parlamentare dei socialisti italiani, vol. III, Roma 1973, pp. 209-210
41 ibidem, Appunti per il Ministro, testo dattiloscritto con le disposizioni transitorie della legge per l’esercizio e la tutela della professione di ingegnere, architetto e perito agrimensore, art. 14bis
42 sull’argomento si veda: L. DE STEFANI, op. cit., pp. 114-115
43 ACS, MPI, AABBAA, div. III, 1920-1925, b. 77. Lettera del Ministro della Pubblica Istruzione, Rava, datata 27 marzo 1907, per invitare un gruppo di autorevoli professori a formare una Commissione per definire un disegno di legge sulle Scuole superiori di architettura. Vengono chiamati a farne parte Giuseppe Colombo, senatore del Regno e direttore del R. Istituto Tecnico Superiore di Milano, Valentino Cerutti, senatore del Regno e direttore della R. Scuola di applicazione per gli ingegneri di Roma, Enrico D’Ovidio, direttore del Politecnico di Torino, Ernesto Basile, direttore del R. Istituto di Belle Arti di Palermo, Guglielmo Calderini e Riccardo Mazzanti
44 G. GIOVANNONI, Per le scuole d’architettura, in «L’Edilizia Moderna», n. 12, XVI, febbraio 1907, pp. 14-16. Lo stesso testo è anche pubblicato con il titolo che si è riportato nell’«Annuario dell’Associazione artistica fra i Cultori di Architettura», MCMVIII – MCMIX
45 Gustavo Giovannoni (Roma 1873-1946) nel 1895 consegue la laurea in ingegneria presso la Regia Scuola di Applicazione di Roma, e dopo segue il corso di specializ- zazione nella Scuola Superiore di Igiene pubblica. Contemporaneamente alla specializzazione, nel biennio che va dal 1897 al 1899, segue il corso di Storia dell’arte me- dioevale e moderna tenuto da Adolfo Venturi presso la Facoltà di Lettere di Roma, dove instaurerà un solido rapporto di amicizia con Federico Hermanin, che lo introdurrà nell’Associazione artistica. Nel 1904 insieme a Hermanin e a Pietro Egidi pubblica lo studio sui monasteri di Subiaco, in cui emerge il suo “metodo positivo” per la storia dell’architettura, derivato dalla lezione di Calderini e soprattutto da Auguste Choisy. Quando scrive la Relazione, egli ha già elaborato le sue prime teorie sul metodo per la storia dell’architettura, che si raffineranno nel tempo fino a fare della storia dell’architettura una disciplina autonoma dalla storia dell’arte. Già in questi primi anni egli lega il “metodo positivo” a questioni concrete, ovvero al problema della conservazione dei monumenti per dare una risposta ai “quesiti del restauro”, e al dibattito sulla definizione dello stile nazionale, poiché dallo studio del passato può essere creato un linguaggio nuovo, che dalle scuole di architettura verrà diffuso nella Nazione.
46 ACS, MPI, IS, div. II, Leggi, regolamenti, statuti, esami, etc., (1925-1945), b. 5. Documento a stampa. Seduta della Camera dei Deputati del 5 luglio 1910. Disegno di legge, presentato dal Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti (Fani), di concerto col Ministro dell’Istruzione pubblica (Credaro) e col Ministro dei lavori pubblici (Sacchi). Ordinamento dell’albo giudiziario degli ingegneri, architetti e dei periti agronomi
47 l’art. 9 stabilisce che potranno essere iscritti agli Albi professionali (la legge ne prevede due, uno per gli ingegneri e gli architetti e l’altro per i periti agrimensori) coloro che “… dimostrino con titoli di avere esercitato lodevolmente per non meno di quindici anni le funzioni di quelle professioni e di avere cultura sufficiente per il rispettivo esercizio …”. L’art. 10 definisce invece i diritti dei professori di disegno, che potranno iscriversi all’albo degli ingegneri e architetti con la qualifica di architetto, purché “… dimostrino di aver esercitata lodevolmente per non meno di dieci anni quella professione e di possedere sufficiente cultura tecnica …”
48 si veda a proposito: L. DE STEFANI, op. cit., pp. 124-131
49 Legislatura XXIV, Raccolta degli atti stampati per ordine della Camera, vol. VI, dal n°31 al 77, Roma 1919
50 ACS, MPI, IS, div. II, Leggi, regolamenti, statuti, esami, etc., (1925-1945), b. 5. Lettera del Ministro di Grazia e Giustizia e di Culti Luigi Dari al Ministro dell’Istruzione, Edoardo Danco, datata 23 aprile 1914. Oggetto: disegno di legge per l’albo degli ingegneri architetti e periti agrimensori. E lettera di risposta del 2 maggio 1914
51 ACS, Tit. VI, Scuole, 1915. Documento a stampa. Camera dei Deputati, proposta di legge per l’istituzione di Scuole Superiori di Architettura, d’iniziativa dei Deputati: Nava, Agnelli, Marangoni, De Capitani, Brandolini, Samoggia, Manfredi, Bignami, Federzoni, Battelli, Fradeletto, Romanin Jacur, Maffioli, Treves, Agnesi, Medici, Rossi Gaetano, Adinolfi, Gasparotto, Montresor, Cucca, Tasca, Barzilai, Bettoni, Manzoni, Marzotto, Toscanelli, Libertini, Gesualdo, Bianchi Vincenzo, Bonomi Paolo, Gallenga, Meda, Salterio, Suardi, Goglio, Cirmeni, Porzio, Bonomi Ivanoe. Svolta e presa in considerazione il 3 luglio 1914
52 nella relazione introduttiva al disegno di legge, l’On. Nava cita il discorso fatto al Senato dal Ministro della Pubblica Istruzione, Boselli, nella tornata del 14 giugno 1889
53 ACS, MPI, AABBAA, div. II, 1913-1924, b. 5. Sono conservati i telegrammi di diverse Associazioni di categoria al Ministro della Pubblica Istruzione, per esprimere l’au- spicio che il progetto di legge Nava venga approvato in Parlamento. E vi sono anche le risposte del Ministro che assicura il suo appoggio affinché l’annosa questione sia finalmente risolta
54 ibidem, sono conservati diversi telegrammi di plauso per l’istituzione delle nuove scuole al Ministro della Pubblica Istruzione
55 sull’argomento si veda: M. L. NERI, Stile nazionale e identità …, op. cit.
56 ACS, MPI, AABBAA, div. III, 1920-1925, b. 77. Lettera del R. Istituto Tecnico “Galileo Galilei” di Firenze a Giovanni Rosadi, Sottosegretario di Stato per la Pubblica Istruzione, datata 11 gennaio 1915
57 ibidem, Biglietto d’invito: Regio Istituto Superiore di Belle Arti di Roma – il giorno 22 dicembre 1914 alle ore 10 – Inaugurazione dell’anno scolastico 1914-1915 – uno speciale attestato degli insegnanti e della scolaresca al Presidente prof. Ettore Ferrari e al prof. Luigi Bazzani – inizio della nuova Scuola Superiore di Architettura. Firmato il capo dell’ufficio di segreteria Guido Chialvo
58 ACS, MPI, AABBAA, div. II, 1913-1924, b. 5. Telegramma del Sindaco di Venezia, Grimani, al Ministro della Pubblica Istruzione, datato 30 dicembre 1914 e telegramma del Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, Molmenti, al Ministro Grippo, datato 5 gennaio 1915
59 ibidem, Lettera del Ministro della Pubblica Istruzione al Ministro del Tesoro, datata 19 marzo 1915. Si chiede l’autorizzazione a presentare in Parlamento il disegno di legge riguardante l’assetto economico delle neonate Scuole Superiori di Architettura di Roma, Firenze e della futura Scuola di Venezia
60 ibidem, Lettera del Ministero della Pubblica Istruzione al Presidente del R. Istituto di Belle Arti di Roma, datata 25 febbraio 1915. Oggetto: tasse scolastiche per le Scuole Superiori di Architettura, “… Sembra prematuro a questo Ministero determinare quali debbano essere le tasse scolastiche da richiedersi a coloro che intendano iscriversi alla Scuola Superiore di Architettura, dal momento che detta scuola non è tuttora affatto organizzata e che si ignora pertanto ancora di quanti anni di studio essa debba venire costituita e in quali rapporti dovrà trovarsi con la scuola di architettura già esistente presso codesto istituto. …”
61 l’agitazione degli studenti di architettura, articolo pubblicato sul Messaggero di Roma del 21 marzo 1915
62 ACS, MPI, AABBAA, div. II, 1913-1924, b. 5. Sono conservati numerosi estratti di quotidiani dell’epoca, che documentano l’impegnativa campagna a mezzo stampa organizzata dal Comitato d’agitazione tra gli allievi ingegneri
63 “… sotto i suoi auspici si sarebbero adunati i primi insegnanti, riunitisi spontaneamente, senza la delegazione di alcuna autorità, per discutere sulla organizzazione della scuola e naturalmente anche per distribuirsi le cattedre. …”, da L’invasione massonica nel campo dell’arte. A proposito della Scuola Superiore di Architettura, in “Il Corriere d’Italia”, 4 aprile 1915
64 ACS, MPI, IS, div. II, Leggi, regolamenti, statuti, esami, etc., (1925-1945), b. 5. Lettera del Presidente del R. Istituto di Belle Arti di Roma al Ministero della Istruzione Pubblica, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, datata 18 maggio 1915. Oggetto: tasse ed esami
65 G. GIOVANNONI, Gli architetti e gli studi di architettura in Italia, «Rivista d’Italia. Lettere, scienza ed arte», XIX, 1916, pp. 161-196
66 R. D. 31 ottobre 1919 n. 2593, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 febbraio 1920, n. 26
67 ibidem, art. 5 68 ibidem, art. 11
69 ibidem, Lettera dell’Istituto Superiore di Belle Arti di Roma al Ministro della Pubblica Istruzione, del 29 novembre 1919. Si trasmette l’ordine del giorno votato dal Consiglio e dal Collegio dei professori nella seduta del 29 novembre 1919
70 ibidem, Ordine del giorno della Federazione degli Architetti Italiani (Sede di Milano, via Giulini n°1) del 10 febbraio 1920
71 ibidem, Lettera del Sottosegretario di Stato per le Antichità e Belle Arti al Ministro della Pubblica Istruzione, Torre, datata 19 febbraio 1920. Oggetto: Scuola Superiore di Architettura
72 R. D. 2 giugno 1921, n. 1255, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 settembre 1921, n. 229
73 ACS, MPI, AABBAA, div. III, 1920-1925, b. 77. Lettere del Direttore generale dell’Istruzione Superiore al Direttore generale delle Antichità e Belle Arti, datate 18 maggio 1920 e 24 giugno 1920. Oggetto: Scuola Superiore di Architettura
74 Arte moderna, «Architettura e arti decorative», I, fasc. 1 (1921), pp. 91-92
75 R. D. 2 giugno 1921 n. 1255, art. 17. Le materie del corso sono le seguenti:
a) lo studio storico – tecnico – artistico dei monumenti in prosecuzione di quello istituzionale di storia dell’architettura impartito al secondo anno della scuola; b) nozioni di archeologia e tecnica degli scavi archeologici;
c) rilievo e restauro dei monumenti in prosecuzione dei corsi e delle esercitazioni al secondo e al terzo anno della scuola.
I predetti studi potranno essere integrati da brevi corsi di conferenze su nozioni legislative riguardanti le Belle Arti e su altri speciali argomenti, da visite ed escursioni
76 G. GIOVANNONI, Prolusione inaugurale della nuova Scuola superiore di architettura in Roma, letta il 18 dicembre 1920, in L’architettura italiana nella storia e nella vita, Roma, 1925, pp. 18-24. I corsi della Scuola inizieranno il 10 gennaio 1921, gli studenti iscritti sono in totale 52
77 il 19 gennaio 1919 è convocata a Milano dal comitato promotore la prima adunanza e il 25 maggio è indetta l’assemblea costituente dell’ANII. Il 14 luglio 1919 viene fondata la locale sezione dell’associazione con un suo comitato direttivo, che giunge a inglobare l’antico Collegio degli Ingegneri e Architetti milanesi; anche a Torino, Roma, Napoli, Cagliari e Bari nascono le sezioni dell’ANII dalla trasformazione dei Collegi locali, e nel dicembre 1920 ne risultano costituite 28 in tutta la penisola, per un totale di quasi seimila soci
78 ACS, MPI, IS, div. II, Leggi, regolamenti, statuti, esami, etc., (1925-1945), b. 5. Lettera dell’Associazione Romana fra gli Architetti, sezione della Federazione Architetti Italiani, firmata dal Presidente Marcello Piacentini, al Ministero della Pubblica Istruzione, datata 8 giugno 1923: “… Ora ciò non è giusto e non deve essere approvato. Non bisogna dimenticare che l’architettura è essenzialmente un’arte e che l’architetto si rivela nella sua attività intellettuale esclusivamente artistica … . Non bisogna dimenticare che dagli Istituti di Belle Arti sono usciti i più illustri architetti della nuova Italia. Citiamo fra i maggiori: Giuseppe Sacconi, Giulio Podesti, Manfredo Manfredi, Luigi Rosso, Giulio Magni, Giuseppe Mancini, Carlo Busiri, Camillo Boito, Giuseppe Sommaruga, etc. … è chiaro dunque che non ci troviamo di fronte all’affermazione di qualche ingegno isolato, autodidatta, ma bensì di fronte a tutta una classe che ha compiuto (sia pure in modo imperfetto) i suoi studi ed ha una bellissima tradizione. Ci troviamo infatti avanti alla vera e propria classe degli architetti. Che se all’architettura si sono pure dedicati e anche lodevolmente, molti ingegneri, ciò non toglie che la grande massa degli esercenti di architettura, sia costituita dai puri architetti, usciti cioè dagli Istituti di Belle Arti. …”
79 legge 24 giugno 1923, n. 1395
80 ACS, MPI, IS, div. II, Leggi, regolamenti, statuti, esami, etc., (1925-1945), b. 5. Lettera del segretario generale dell’Associazione nazionale degli ingegneri ed architetti italiani, Mario Monti, al Ministro della Pubblica Istruzione, Gentile, datata 21 luglio 1923
81 R. D. 23 ottobre 1925. È nominata una commissione che forma il testo. La commissione è composta da nove membri: Guglielmo Mengarini, senatore del Regno e professore della Scuola di applicazione di Roma; Francesco Mauro, deputato al Parlamento e presidente generale dell’Associazione Nazionale Ingegneri ed Architetti; Umberto Puppini, professore della Scuola di applicazione di Roma; Domenico Pacchiarini, ingegnere; Ulisse Stacchini, presidente della Federazione architetti italiani; Pio Calletti, presidente della Corporazione ingegneri genio civile; Marcello Piacentini, professore della Scuola Superiore di Architettura di Roma; Giulio Ricci, capo dell’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia; Ferdinando Lori, direttore della Scuola di applicazione per ingegneri, annessa alla R. Università di Padova
82 la separazione degli albi professionali sarà stabilita con R. D. del 27 ottobre 1927, n. 2145
83 ACS, MPI, IS, div. II, Leggi, regolamenti, statuti, esami, etc. (1925-1945), b. 208
84 la commissione è formata da Manfredo Manfredi, Giovan Battista Milani, Vincenzo Fasolo, Marcello Piacentini, Giuseppe Boni e Ulisse Stacchini. Il recalcitrante Giovannoni, dopo la morte di Manfredi, è nominato presidente e nell’aprile del 1928 Pietro Aschieri subentra a Piacentini, che chiede di essere sostituito per motivi di lavoro
85 P. NICOLOSO, op. cit., pp. 54-57
87 solo nel 1944 l’ANIAI risorgerà a nuova vita riacquisendo tutte le sue funzioni originarie e continuerà la sua instancabile attività fino a nostri giorni
88 «Annuario dell’Associazione Artistica fra i Cultori di Architettura», n. 8 (1916 – 1924). Anno sociale 1920 -1922. L’Associazione “architetti e cultori” in Napoli e La nuova Associazione Amatori e Cultori di Architettura dell’Emilia e delle Romagne in «Architettura e Arti decorative», I, fasc. 6 (1922), pp. 591-592
89 Le associazioni dei cultori di architettura in Italia, in «Architettura e Arti decorative», VI, fasc. 6, 1926, pp. 287-288.
90 G. VENTURI, La Scuola superiore di architettura, in «Architettura e Arti Decorative », IV, fasc. 3 (1924 – 1925), pp. 107-124
91 per i dati relativi alla Scuola Superiore di Architettura di Roma, dalla fondazione al 1954, si veda: La facoltà di architettura di Roma nel suo trentacinquesimo anno di vita, a cura di L. VAGNETTI e G. DALL’OSTERIA, Roma 1955. Il primo laureato della scuola è Francesco Furino, nel 1921, con il progetto di una villa in prossimità di un lago
92 gli archivi di Angelo Di Castro e di Emanuele Caniggia sono conservati presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma, ma per quanto riguarda Caniggia gli elaborati relativi al periodo di formazione sono custoditi dagli eredi
93 il PRG del 1909 redatto da Edmondo Sanjust di Teulada
94 i disegni della tesi di laurea di Angelo Di Castro sono conservati nella cartella ADC – PRO – 009
95 la chiesa degli Angeli Custodi è opera di Gustavo Giovannoni (1924), mentre la chiesa della Madre di Dio è di Cesare Bazzani (1933)
96 nel già citato testo a cura di Luigi Vagnetti si dice che Roberto Pane si laurea con il progetto di un istituto musicale in Roma, ma nella biografia, che gentilmente mi è stata fornita dal prof. Giulio Pane, si parla di una tesi sull’architettura rurale dei Campi Flegrei, di cui, purtroppo, non rimangono elaborati probabilmente andati distrutti nella seconda guerra mondiale dai bombardamenti alla Facoltà di Architettura di Napoli, dove Pane aveva il suo studio
97 l’archivio di Gino Cancellotti è conservato presso l’Archivio di Stato di Roma, ma tra i disegni presenti non vi sono elaborati del periodo di formazione presso la Scuola Superiore di Architettura di Roma, e non vi sono eredi che ne conservino la memoria
98 non vi sono notizie riguardo all’esistenza e alla possibile collocazione dell’archivio di quest’architetto