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Paesaggio
26 Aprile 2021

Abitare la Terra. Dalle Sponge Cities cinesi alla riforestazione in Brasile fino al «paesaggio» di Roma

di Redazione OAR

Città «spugna», case stampate in 3D con la terra, parchi verdi sopraelevati e multifunzionali, «diritti» del mondo vegetale. Ma anche l’esigenza di combinare in modo sempre più sinergico tessuto cittadino e ambiente naturale. Considerare il patrimonio edificato esistente come  principale materiale da costruzione. E guardare al passato – ad esempio, ai tanti borghi che costellano il territorio italiano – per trovare ispirazione e offrire risposte alternative al consumo di suolo.

Sono alcuni degli spunti – tra suggestioni, proposte ed esperienze concrete – emersi dalla giornata dedicata, lo scorso 22 aprile, alla Giornata Mondiale della Terra: la Casa dell’Architettura, per l’occasione, ha ospitato «Abitare la Terra: ambiente, città, paesaggio», convegno organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma e provincia, in collaborazione con il Maxxi, e con il patrocinio – tra gli altri – di Earth Day Italia.

L’evento – con il coordinamento scientifico di Daniela Gualdi, Commissione esteri OAR, e Flavio Trinca, responsabile OAR per il paesaggio – ha visto la partecipazione di oltre venti relatori, sia in presenza che in collegamento streaming, e si è articolato in due sessioni (mattutina e pomeridiana), con il dibattito tra protagonisti di profilo internazionale, interviste video, selezione di filmati e immagini per accompagnare i diversi momenti di riflessione e stimolo. 

Al centro del convegno, così come per la giornata riconosciuta dalle Nazioni Unite, il principio che ogni essere umano, «a prescindere dall’etnia, da dove viva, dal sesso e dalla condizione economica, ha il diritto etico a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile». Tematiche che sono state declinate attraverso la lente dell’architettura e della progettazione, ma con il contributo di altri «linguaggi»: da alla fotografia al cinema, dalla letteratura all’archeologia.

Ad aprire i lavori è stato il vice-presidente OAR, Christian Rocchi, che ha rimarcato come «l’ambiente sia una sfida cogente, per affrontare la quale serve un cambio radicale di visione, puntando anche su una nuova educazione ambientale. È necessario cambiare registro, a partire dalla politica. Fare passi concreti per arginare i cambiamenti climatici già in corso». Segnali in questo senso ci sono, ma servono azioni concrete. «L’Unione Europea ha appena varato il taglio dei gas serra, in prospettiva, fino al 55%. L’Italia deve muoversi in modo deciso verso un sistema economico sostenibile. Gli spazi e gli ambienti che sono patrimonio comune, devono essere davvero tutelati e non diventare più terreno di conquista».

Introducendo la sessione pomeridiana, Luca Ribichini – presidente Commissione Cultura Casa dell’Architettura OAR -, ha invece ricordato come quello attuale «sia un momento di passaggio, nel quale gli architetti devono riprendere a offrire il proprio contributo al rapporto che si instaura tra la nostra professione e l’ambiente naturale, anche attraverso la capacità di declinare e ritrovare il senso della bellezza».

Il contributo dei progettisti: infrastrutture verdi, innovazioni e soluzioni low tech, studio sui materiali

Proposte e soluzioni messe in campo per affrontare tematiche – tra loro sempre più interconnesse – come cambiamenti climatici, instabilità sociale, disuguaglianze economiche, trasformazioni culturali, sono state illustrate da progettisti di livello internazionale, che hanno raccontato alcuni progetti realizzati dai propri studi di progettazione e la loro visione sulla questione ambientale, sul futuro delle città e sul vivere collettivo.

Kongjian Yu, architetto cinese, docente universitario e fondatore del studio Turenscape, ha spiega il concetto di Sponge City, «città spugna che sfruttano le opportunità offerte dalla Natura per affrontare problemi come inondazioni, siccità, inquinamento, perdita habitat naturali. Si tratta, in sostanza, di Infrastrutture verdi basate sulla natura». Progetti incentrati su questo approccio sono stati adottati in oltre 200 città cinesi, ha affermato Yu, «con soluzioni low tech adatte a dare risposte a problematiche connesse soprattutto al cambiamento climatico e alla scarsità di acqua» Alcuni casi sono quelli di Sanya, nella Hainan Island, nel Sud della Cina, o di Haikou City, sul fiume Meshe.

Guardare alla città come a «un organismo vivente, che respira, inclusivo, cosmopolita, pieno di spazi aperti in cui incontrarsi e luoghi per lo stare insieme, come quelli dedicati al food»: è questo l’approccio di James Corner, landscape architect britannico con base a New York, autore di opere come la High Line, parco lineare newyorchese realizzato su una sezione della West Side Line, ferrovia sopraelevata in disuso nella Grande Mela. Al convegno organizzato dall’OAR, ha illustrato – tra gli altri – il progetto di pianificazione nell’area di Shenzhen, in Cina, che affronta temi come inquinamento, gestione risorse idriche, creazione di quartieri a scala umana: «Abbiamo creato – ha detto – un sistema verde intorno al quale la nuova città potrà svilupparsi, con la creazione di spazi aperti per promuovere la biodiversità». Riferendosi alla High Line di New York, invece, ha sottolineato come la sua realizzazione «abbia permesso di rivitalizzare una parte di città», per poi fare cenno a uno nuovo progetto avviato a Camden, Londra, «una struttura sopraelevata per metà destinata a treni e l’altra metà a spazio pubblico, comunità, luogo di incontro». Infine, più strettamente in chiave ambientale, ha spiegato la proposta «Curate Entropy», che prevede un nuovo argine in terra battuta lungo il fiume Potomac, a Washington Dc, per proteggere il «Tidal Basin» (bacino di marea) cittadino e offrire nuovi sentieri e spazi verdi per i visitatori.

Con l’intervento di Irene Giglio, per lo studio Mario Cucinella Architects, lo sguardo si è spostato sulla proposta di una soluzione concreta per un futuro eco-sostenibile: è stato presentato Tecla, modello circolare di abitazione interamente creata con materiali riutilizzabili e riciclabili: «Si tratta di un prototipo di stampa 3D realizzata con la terra, un nuovo concetto flessibile di habitat ecosostenibile, che si adatta al contesto in cui viene realizzato. E quando l’edificio non serve più viene riassorbito interamente dall’ambiente».

A spostare la riflessione su un piano più generale, ma anche a puntare l’obiettivo su Roma, è stata Susanna Tradati, dello Studio Nemesi, inquadrando innanzitutto il tema della fragilità, dell’ambiente, ma non solo: «Come architetti non dobbiamo guardare al paesaggio solo come elemento da proteggere, ma anche come luogo per immaginare scenari. A Roma, in particolare, è fortissimo il legame tra la dimensione urbana e quella paesaggistica. Pensando a quanto avvenuto negli ultimi decenni sul territorio capitolino, ci si rende conto che si è dimenticato come ragionare sul dialogo tra costruito e paesaggio nella nostra città». Infine, un rimando a guardare anche ad esempi del passato, per immaginare il futuro: «Possiamo ispirarci anche ai borghi storici che costellano in territorio italiano, i quali possono essere dei modelli, pur tenendo conto delle esigenze contemporanee, per proporre risposte alternative al selvaggio consumo di suolo». 

Per Mosè Ricci, del Centro Linceo Interdisciplinare, infine, «non c’è più legame stretto tra usi e luoghi. L’emergenza ambientale mette in crisi l’architettura, la quale deve curare città ammalate, affrontare spazi esuberanti esuberanti e considerare l’esistente come materiale di costruzione».

Superare la «cecità» verso l’ambiente: alla ricerca di un equilibrio

L’equilibrio tra ambiente, città e paesaggio – che è stato «drammaticamente interrotto nella contemporaneità – chiede di ripensare i modi di abitare la terra verso una sostenibilità non solo ambientale, ma anche sociale, economica e culturale»: è stato questo il tema della prima parte della sessione pomeridiana, che ha dato spazio a esperienze e punti di vista molto diversi tra loro.

Ha partecipato con un contributo video Yasmeen Lari, architetta pachistana – Premio Fukuoka 2016 e Jane Drew Prize 2020 – impegnata nella Heritage Foudation Pakistan, rimarcando come «gli architetti possano cambiare il mondo, ma devono pensare, in modo sempre più attento, agli effetti del modo di costruire sul Pianeta». Mentre Alessandra Viola, giornalista e scrittrice, ha concentrato lo sguardo sulla necessità di superare la cecità verso i cambiamenti climatici e, più nello specifico, verso il mondo vegetale (plant blindness): «Le piante hanno diritti – ha detto – e abbiamo dovere di tutelarle. Sono nati e stanno crescendo movimenti in tutto il mondo per il riconoscimento di diritti agli ecosistemi. Tra i primi a muoversi la Bolivia e l’Ecuador».

A parlare di adattamento delle città ai cambiamenti climatici è stato invece Francesco Musco, devo Iuav: «Bisogna ridisegnare le città a partire dal tema dei climate change. Bisogna capire che  le città sono le più vulnerabili, sono il laboratorio dove l’impatto del clima incide maggiormente, e che è necessario partire dal basso». Quali città italiane stanno sperimentando in ottica adattamento ai cambiamenti climatici? «Milano Venezia Mantova Bologna, ma anche Padova e Reggio Emilia – ha rivelato Musco: qui sono stati avviati processi di integrazione tra gli strumenti di pianificazione e l’adattamento a cambiamento climatico». Sul fronte sociale, invece, per Emilio Caravatti, di Caravatti_Caravatti Architetti, occorre «capire le finalità di ogni scelta rispondendo alla domanda: cosa costruire? E con la consapevolezza che l’architettura è un gesto politico e forma un binomio inscindibile con la comunità di riferimento. Da una scuola comunitaria in Mali alla piazza in un Centro Storico: non si può prescindere dalla comunità in cui si colloca un progetto».

Dalle origini alla contemporaneità: il rapporto dell’uomo con la Terra. Cinema, fotografie, riflessioni e proposte

Cinema, archeologia, architettura, cultura, impegno sociale e nella tutela dell’ambiente. Le sessioni che si sono svolte durante la mattinata hanno offerto un ampio spettro di punti di vista – tra video, immagini, interviste e interventi in streaming – che hanno restituito la complessità del rapporto dell’uomo con l’abitare la terra, dalle origini dell’umanità «fino alla contemporaneità, dove l’impronta ecologica delle attività umane ha assunto un valore preponderante nella determinazione del Climate Change e alle prospettive future verso una nuova sostenibilità».

A inquadrare i primi passi dell’architettura e delle costruzioni è stata l’archeologa Gaia Ripepi, che ha ricordato come «l’architettura sia nata per lo stare insieme. Sono sorte prima le case e dopo le mura di difesa delle città. Nascita architettura è stata irrazionale: tutto inizia con l’uscita dalla grotta, con la quale l’uomo si è esposto a pericoli». Poi ha mostrato immagini di ritrovamenti archeologici significativi come i «primi mattoni crudi, da cui parte la rivoluzione delle costruzioni, rinvenuti a Gerico, Palestina».

Tra le riflessioni di ospiti d’eccezione si inserisce la testimonianza – tra cinema e architettura – del regista israeliano, Amos Gitai: «Sono un architetto che realizza film. Mio padre è stato uno dei fondatori del Bauhaus. Le mie idee nel cinema si costruiscono attraverso gesti che hanno attinenza sia con l’architettura che con l’archeologia». E ancora: «Con mio padre ho capito come funziona un cantiere, come si fa a costruire un’opera coerente. Concetti che poi ho trasposto nel mio modo di fare cinema. In cinema e architettura importante è lo scambio di opinioni e idee».

Di stretta attinenza con il tema ambiente l’esperienza che ha raccontato, attraverso filmati e immagini – e con il film documentario «Il Sale della Terra», realizzato insieme a Win Wenders – Juliano Ribeiro Salgado, regista e scrittore, figlio di Sebastião Salgado: il progetto portato avanti in Brasile dall’Instituto Terra, promosso dal grande fotografo brasiliano, organizzazione dedicata allo sviluppo sostenibile della Valle del fiume Doce, con l’intento di restituire alla foresta pluviale subtropicale lo splendore originario e la sua straordinaria biodiversità. «L’obiettivo prima è la protezione delle riserve idriche sotterranee. Ripristinare il ciclo dell’acqua attraverso la riforestazione. Con l’acqua torna la produttività. Si può restituire valore alla terra con la riforestazione». 

E se, da una parte, lo storico dell’arte Flavio Caroli si è soffermato sui casi di interventi sul paesaggio, sottolineando i punti di contatto e differenza tra le opere stabili e quelle instabili: da Burri a Christo. Dall’altra, l’architetto e storico dell’architettura Guido Vittorio Zucconi si è concentrato sull’architettura moderna, il suo rapporto con il contesto e la nascita dell’architettura organica: dalla casa sulla cascata di Wright alle opere di Aalto e Libera.

Tra gli altri contributi, quello di Elia Zanini, della Fondazione Gabriele Basilico, che ripercorso l’opera del grande fotografo di paesaggi urbani in cui «è sempre presente il tema della città, della stratificazione del rapporto tra uomo e spazio costruito, inquadrando passaggio tra modernità e contemporaneità. Ma anche l’intervento di Gaetano Capizzi, presidente del Festival CinemAmbiente di Torino, che ha sottolineato i progressivo affermarsi nascita del  «Green Cinema», film che trattano la questione ambientale. «Tutti i generi cinematografici sono coinvolti – ha detto -: il documentario ambientalista è un genere che si sta affermando in modo crescente. Siamo in una era geologica determinata dal comportamento umano. Cultura, arte, cinema dovrebbero occuparsi di sensibilizzare e informare sempre di più sui temi ambientali».

(FN)

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