Dalla piccola alla grande scala. Da opere imponenti, in grado cambiare la fruizione dello spazio pubblico e il volto di intere parti di città, a “oggetti” di arredo urbano, capaci di far scoccare la scintilla della condivisione. Per cambiare il modo di “abitare la città” – è questo il titolo della quinta giornata tematica di Spam – non occorre rivoluzionare il tessuto cittadino: quello che conta è riuscire a entrare in sintonia con le persone che lo vivono (o visitano), realizzando progetti che funzionino da “attivatori urbani”.
Sono alcuni dei principi cardine del modo di progettare di Jürgen Mayer, che lo stesso l’architetto tedesco ha messo in luce nel corso della sua lecture a Spam, nella sessione pomeridiana del 15 ottobre, durante la quale ha partecipato anche all’appuntamento del Caffè con…, intervista informale con Anna Ramos, direttrice della Fundació Mies van der Rohe di Barcellona. Il programma della giornata ha contato anche sul confronto di idee tra il presidente OAR, Flavio Mangione e Alberto Sasso, numero uno di Eur Spa, con un attenzione particolare al futuro di un quartiere simbolo di Roma, come l’Eur.
Mayer: Architettura come attivatore urbano
“La città dei sogni – ha detto Mayer, facendo riferimento al titolo della prima edizione di Spam – è una città che accolga le libertà individuali, che sia incentrata su varietà, molteplicità e differenze. Che sappia conservare una dimensione privata ma, allo stesso tempo, creare le condizioni per favorire la vita sociale. Idealmente i nostri spazi pubblici sono spazi per scambi relazionali, per comunicare, discutere, condividere”.
Oggi si parla di “neuro-urbanismo – ha spiegato l’architetto – “che si riflette sulla salute mentale delle persone che vivono la città, le quali si sentono sole in un contesto denso come le attuali aree urbane. Cosa si può fare per affrontare questi problemi o almeno non accrescerli? Creare connessioni permettendo alle persone di sentirsi partecipi e interagire con una nuova offerta di spazio pubblico”.
Per intervenire sul modo di abitare la città, coinvolgendo le persone, i riferimenti utilizzati da Mayer cambiano di volta in volta, ma cercando sempre una sintonia con il contesto sociale e urbano in cui si inseriscono. L’obiettivo “è progettare opere che respirino insieme alla città. Per questo le nostre fonti di ispirazione – ha raccontato l’architetto tedesco – sono spesso rappresentate da elementi naturali”, come le foreste o il corpo umano, oppure legale al contesto circostante, come il tessuto storico pre-esistente oppure a esigenze a cui rispondere.
“Credo nella diversità, nella molteplicità, nella varietà – ha aggiunto -. L’architettura dovrebbe essere in grado rispondere a questa sorta di infinita flessibilità contemporanea. Nella quale l’idea di spazio pubblico resta cruciale, in quanto spinge le persone alla condivisione. In alcuni Paesi progettare spazi di questo tipo è più facile, penso a Spagna o Italia, in altri meno”. Vanno in questa direzione gli esempi portati da Mayer nella sua lecture, progetti “attivatori” di aree urbane in termini di rinnovamento dello spazio pubblico. Dal celebre Metropol Parasol a Siviglia (“un esempio di opera vissuta da cittadini e turisti, creata per riportare alla vita una parte della città”) al Museum Garage di Miami, negli Usa, dalla Court of Justice ad Hasselt, in Belgio, alla Mensa Moltke, a Karlsruhe, a all’Università di Dusseldorf, in Germania.
Infine Mayer ha voluto richiamare l’attenzione sul fatto che “anche piccoli oggetti possono creare una community e cambiare la percezione di un’area urbana”. E’ il caso di “XXX Times Square with Love”, installazione realizzata nel 2016 a Times Square intersecando architettura design, arte e nuove tecnologie (con una serie di webcam connesse e proiettate sulla piazza da diverse prospettive). Indicato dal New York Times tra gli esempi più interessanti in grado di attivare un modo diverso di vivere la città.
Sasso: per l’Eur un futuro da ecoquartiere
Una grande sfida per Roma – fortemente connessa alla riflessione sul futuro della città “da abitare” – riguarda la valorizzazione dell’Eur, il quartiere monumentale che rappresenta idealmente la porta Sud della Capitale. Alberto Sasso, presidente di Eur Spa – che ha annunciato l’avvio di un progetto per “svelare”, attraverso percorsi ad hoc, anche le parti più nascoste del patrimonio esistente – punta sulla carta dell’innovazione. “Sin da anni Trenta – ha osservato – il quartiere era pensato come grande innovazione dal punto di vista urbanistico e tecnologico. Una delle sfide che stiamo raccogliendo è di lavorare sotto il profilo strutturale ed energetico sugli edifici del patrimonio. E’ in corso il dialogo con la soprintendenza. L’Italia potrebbe diventare capofila per il tema della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio-monumentale”. E l’Eur può essere un “beta” test di ecoquartiere”. Lo stesso concetto di resilienza, in questa parte di città – ha concluso Sasso – “può tradursi in una strategia sulla presenza della natura, di aree verdi e boschive, di superfici drenanti”.
Mangione: Occorre un equilibrio tra istanze culturali, sociali e produttive
A sottolineare il valore simbolico dell’Eur – oltre a ricordare le tante vicende progettuali che hanno segnato il passo, dal Centro Congressi alla Nuvola di Fuksas, fino alle Torri Ligini – è stato il presidente dell’OAR, Flavio Mangione, che a partire dal quartiere romano ha allargato il ragionamento a temi di riflessione più generali. “I concorsi di architettura – ha detto – ci permettono di lavorare in trasparenza, di prestare meno il fianco ai ricorsi, di risparmiare e di ritrovarci in una condizione quasi perfetta per ottenere qualità. Che viene garantita creando una squadra, una commissione e una committenza che siano in grado di istruire al meglio un concorso, capire le istanze del territorio e rispondere con coerenza”. L’Eur, ha rimarcato, “è stato tutto progettato attraverso concorsi. In tempi brevi e con risultati straordinari”, anche grazie alla collaborazione interdisciplinare tra architetti, ingegneri, artisti.
Quali sono i presupporti per fare rigenerazione? E’ è la domanda posta da Mangione, che ha risposto: “Innanzitutto, trovare equilibrio tra necessità di ordine culturale, sociale, umano, produttivo. Instaurare un dialogo tra pubblica amministrazione e privati. Con gli architetti possono giocare un ruolo importante”. Le architetture, in molti casi – ha concluso, anche in riferimento all’Eur – “oltre a essere funzionali, diventano anche dei simboli, i quali sono utili perché intorno ad essi si aggrega la comunità e, quando questo accade, la comunità stessa diventa più forte, coesa, efficiente e produttiva”. (FN)
Redazione OAR