“Piazzale Clodio ci sembra rappresentare una straordinaria sintesi di Roma città: un vuoto abbandonato che anela ad essere utilizzato come grande parco dai cittadini, ma che è un vuoto percettivo ed emozionale. Un verde naturale, Monte Mario, rigoglioso ma percepito come lontano e inaccessibile. Una condizione residenziale nella quale si innesta un traffico quasi da raccordo, oltre ad una richiesta di spazi funzionali per il Tribunale”. Così i giovani professionisti e studenti del workshop, guidato da Gianluca Peluffo, hanno descritto l’area di progetto della Cittadella Giudiziaria.
“La nostra missione è la ricerca di una sintesi sincretica, ovvero infantile e istintivamente inclusiva, – continuano tutor e ragazzi, nella volontà di rispondere alle esigenze espresse dallo stesso procuratore generale Giovanni Salvi (https://spamroma.com/cms/wp-content/uploads/2019/10/spam_CS_ita_11_ottobre.pdf) – anche attraverso l’eterogeneità culturale e di lingue del gruppo di lavoro, sinonimo di occasione culturale”.
È un progetto di ricucitura tra l’ambiente urbano e la natura, con una modellazione orografica che accompagni in modo più degradante e dolce la scesa di Monte Mario verso Piazzale Clodio e crei uno spazio di servizi dentro questa collina artificiale. Una comunicazione visiva e fisica spinta tra zone oggi separate per la cittadella giudiziaria: un luogo colmo di storia e dinamiche sociali che attende a braccia aperte nuova vita.
“Concepire la città come un corpo, permette di ipotizzare diversi livelli di riqualificazione: dalla manutenzione più semplice (e quanto mai essenziale), fino al cambiamento di uso o all’innesto di funzioni innovative – spiega Peluffo – ho chiesto ai ragazzi del workshop di far emergere visioni che possano innescare azioni intersoggettive, sia percettive che sensuali: questo è il nostro mestiere”.
In linea con quello che è il suo approccio alle nuove sfide, l’architetto ligure ha indirizzato il laboratorio verso un’analisi percettiva molto profonda, da cui estrapolare il maggior numero di informazioni possibili. La metafora dell’architettura come un corpo umano impone una riflessione critica prima di avviare un processo di rigenerazione urbana, paragonabile ad una pratica “medica” omeopatica, una sorta di agopuntura, oppure un’iniezione al cuore di adrenalina.
“In un breve periodo non è inimmaginabile pensare ad un progetto reale di riqualificazione, ma di certo abbiamo innescato un percorso di conoscenza e coscienza – prosegue Peluffo – l’obiettivo che ci siamo prefissati è quello di stimolare una reazione interiore individuale ed emozionale in ogni progettista, da sintetizzare poi in una forma e una narrazione organica da comunicare al sentire collettivo”.
Visioni sensoriali dunque al di là di forma ed estetica (comunque necessarie per garantire qualità all’architettura) che possano mettere in moto la curiosità dei cittadini e della pubblica amministrazione, permettere di vedere la città con occhi diversi e ragionare in termini di recupero della città moderna.
“Leggo grandi potenzialità nell’intersezione di natura ed urbanizzazione, attraverso la necessità di invitare le persone ad entrare dentro la natura”, racconta Robert Provaznle, 24 anni, dalla Slovacchia. Continua Jisu Yong, 22 anni, dalla Sud Corea: “Abbiamo tenuto a mente le indicazioni ricevute come input per una nuova cittadella giudiziaria diffusa, potenziando al massimo coesistenza e condivisione di spazi diversi”.
Le aspettative post SPAM secondo Peluffo? “Quest’esperienza così ricca e complessa dimostra che, nel nostro ‘cattivo presente’, non solo italiano, la cultura urbana di Roma e di tutta l’area mediterranea, fatta di intersoggettività, forme archetipiche, contenuti, di spazio e di tempo, è in grado di insegnare ancora una volta al mondo un’umanità del vivere collettivo e una condivisione di estetiche capaci di far sentire il senso di civitas, fisico e spirituale, ai cittadini”. (GV)
Redazione OAR