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Architettura
14 Ottobre 2020

Spam Urban Metabolism. Una progettazione etica e responsabile del paesaggio urbano

Di Redazione OAR

Non si può parlare di Urban Metabolism se non ricordando i paesaggi rurali che lavorano, a volte silenziosamente, per il sostentamento della città.

Un’inversione della visione classica dello spazio urbano che tende la mano alle aree interne e così dette minori. In questo approccio progettuale è possibile intercettare nuovi flussi (di persone come di esperienze) a cui far invertire la rotta. Un fenomeno a cui il Covid ha dato un’improvvisa sterzata: lavorare ovunque e vivere in ogni dove.

“Ricerchiamo inneschi da inserire nei nostri progetti per attivare nuovi cicli di imprenditoria e di economia circolare nel rapporto tra città e campagna – racconta DDuM, uno studio di giovani pugliesi con alle spalle esperienze a Barcellona, in Puglia e nel cratere sismico aquilano – Non cambia molto intervenire in enormi metropoli o in piccoli centri, non è un problema di scala, ma di disponibilità dell’individuo al cambiamento a cui si è più restii nelle aree marginali”.

Un problema di comunicazione del progetto agli utenti, in tempi in cui immagini e slogan catalizzano l’attenzione. Forse un mea culpa dell’architetto poco incline alla divulgazione.

Potremmo parlare di metabolismo urbano, al di là dell’essere grande o piccolo, che raccoglie tutti gli esseri viventi con il loro ciclo di vita, costituito anche dall’aggregazione. Un sistema frattale che si replica in dimensioni diverse sia in spazi urbani che rurali.

Eppure, dietro i due scenari ci sono mani diverse o, meglio, due mani che lasciano sul territorio due tratti più o meno forti a seconda del caso: in città prevale il pensiero strutturato dell’azione umana, mentre nello spazio UnUrban la natura ha la meglio.

“La città moderna, dal XIX secolo in poi, non può essere letta e compresa senza indagare il lavoro del paesaggista e dell’architetto che l’hanno disegnata – spiega Joan Roig dello studio spagnolo Battle i Roig Arquitectura, architetto spagnolo prevalentemente impegnato nella progettazione di spazi pubblici – La pianificazione dell’ambiente urbano si muove tra vincoli naturalistici. Barcellona ha una moltitudine di sistemi naturali molto fitti: il mare, un parco naturale centrale ed una parte verde più arretrata, molti fiumi, numerosi torrenti. Per costruire la città si è dovuto aprire un confronto e sviluppare un dialogo con queste preesistenze naturali”.

Una progettazione ben inserita nel paesaggio, senza timidezza, ma con una forte volontà di integrazione della matita umana con il territorio, tanto che Roig riesce a trovare spazio per mantenere il pascolo di animali in un’area marginale di Barcellona ed anzi a sfruttarlo per manutenere gratuitamente il verde pubblico. “Questa è la massima esemplificazione del binomio natura – città, due elementi che devono convergere nell’obiettivo comune della salute comune. Dove la natura è viva, i luoghi della città funzionano meglio” conclude Roig.

Un lavoro, quello dell’architetto, che si produce ora, ma i cui frutti verranno goduti nel futuro che spesso è anche molto lontano. “Chi progetta nel pubblico non può dimenticarlo” come ricorda Martin Haas – Studio 2050, architetto tedesco in cui tecnologia ed architettura, ambiente e uomo trovano sintesi critica tangibile.

“Lavoro molto a Stoccarda che ha raggiunto livelli accettabili di sostenibilità, eppure Il consumo di energia pro-capite eccede quello di New York – racconta Haas – Dobbiamo parlare di smart city, affollate di sinergie e di responsabilità degli edifici e tra gli edifici, eliminando invece i meccanismi lineari. Non è una questione architettonica, ma di etica”.

Una città che si apre al dare ed avere per sopravvivere al tempo e giustificare la sua esistenza con un uso continuo e prolungato negli anni. “La prima domanda che dovremmo farci è se ha senso costruire un edificio, per quante persone e per quanto tempo esso verrà utilizzato – spiega Haas – un approccio che si rivolge alle esigenze delle persone, alle loro aspettative ed alle loro relazioni”.

Si deve tornare alle origini del costruito, quando, in mancanza di energia, era la sola progettazione, anche elementare, ad assicurare condizioni micro e bio climatiche, senza affidare il comfort agli impianti. Senza dimenticare che, essendo cambiate le esigenze, la tecnologia può coadiuvare il progetto.

Una sostenibilità dell’Urban Metabolism che si apre alla natura, al paesaggio, alla tecnologia ed all’approccio etico di porre mano solo dove realmente ci sono Needs da soddisfare, tralasciando personalismi e segni autoritari.

(GV)

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