di Redazione OAR
Partire dal passato per plasmare il futuro. Attraverso la valorizzazione e le tutela del patrimonio, il recupero di identità e senso di appartenenza, la conservazione della memoria – da un lato – e – dall’altro – la capacità di creare qualcosa nuovo in relazione con ciò che preesiste, anche in termini di strategie urbane. Intorno al concetto di Heritage, in tutte le sue declinazioni, si sono mosse – ieri, 13 ottobre – le riflessioni e i dibattiti della quarta giornata tematica di Spam.
A tenere una lezione di architettura sul tema – a partire dal racconto della genesi di dodici musei progettati e realizzati in tutto il mondo – è stato Bernard Tschumi, in una lecture che ha toccato i punti fondamentali della complessa relazione con il patrimonio, tra sfide e opportunità, fio a interrogarsi sulla natura stessa dell’attività architettonica e della sua autonomia.
Tschumi: Gli architetti non scelgono i contesti, ma i concetti
«Il tema heritage ha a che fare con ciò che si eredita dal passato, ma anche con quello che si crea per il futuro. C’è sempre, quindi, un rapporto estremamente interessante tra vecchio e nuovo. Lavorare sulla contrapposizione che nasce dalla combinazione di due diversi momenti storici è più interessante che limitarsi solo a preservare o a demolire il passato costruendo qualcosa di nuovo». È una delle riflessioni di Tschumi, che ha aggiunto: «Gli architetti non scelgono i contesti ma scelgono i concetti. In ogni progetto le impossibilità’, gli ostacoli che devono essere superati, mi hanno sempre affascinato».
Tra le opere «raccontate» nel corso della lecture, l’architetto svizzero si è soffermato su una delle sue più celebri realizzazioni, particolarmente significativa per il suo legame con il patrimonio: il Museo dell’Acropoli ad Atene. «In questo caso – ha detto – si sono dovute affrontare le problematiche su tre piani, da mettere in connessione tra loro: la proiezione verso l’acropoli, all’esterno, gli scavi archeologici da preservare, e la galleria per le collezioni del nuovo museo. Il ‘montaggio’ delle tre parti è stato interessante proprio per il suo proiettarsi nel tempo». E proprio riflettendo sul concetto di montaggio. Tschumi ha osservato come «architettura e cinema abbiano molti punti in comune: entrambi lavorano su frammenti che devono essere uniti insieme in un modo estremamente tecnico e, allo stesso tempo, logico».
Poi il ragionamento si è spostato sul significato stesso dell’architettura, «che non ha tanto a che vedere con la conoscenza della forma ma con la forma della conoscenza, astratta, che si occupa di concetti prima che di forme reali. I concetti creati dall’architettura si materializzano attraverso loro trasformazione in spazi fisici e materiali costruiti».
Che cosa è l’architettura? Si è poi chiesto Tschumi, «è forse il vero tema del mio intervento. È un ambito completamente autonomo? Parla solo a se stessa o può creare un dialogo con altri mondi, come quello della storia? Negli anni ’60 e ’70 proprio architetti italiani si sono iniziati a chiedere cosa significasse autonomia in architettura. Chi sono oggi i nuovi Aldo Rossi, che si interrogheranno sulla natura del nostro mestiere?».
Infine uno sguardo sul futuro, in particolare per le città. «Clima, pandemia, giustizia sociale, mobilità: sono i grandi temi che stanno completamente cambiando il modo di vivere le città – ha concluso l’architetto -. Non vi è un unico futuro ma ce ne sono molteplici. Un pò come per le città di Superstudio o le città invisibili di Italo Calvino».
Cellini: Innovazione per riattivare il rapporto degli uomini con il loro passato
Il tema del rapporto con la storia e la salvaguardia dell’heritage lo ha affrontato Francesco Cellini, presidente dell’Accademia San Luca:- intervenuto nello spazio Confronti -, osservando come sia «una questione che deve riguardare tutti e, in primis, gli architetti, che sono assolutamente in grado di interpretare la storia e di ragionare sul futuro – con rispetto – facendo della storia un punto di forza. È proprio attraverso l’innovazione che si riesce a riattivare il rapporto degli uomini con il passato e a dare un senso maggiore a qualsiasi intervento contemporaneo. E questo vale sia per l’architettura che per la città». L’architetto romano ha poi aggiunto che «il patrimonio, nell’operare professionale, fa i conti con la responsabilità, con il rispetto delle scelte altrui», sottolineando anche le difficoltà che si possono incontrare a intervenire sul patrimonio, portando ad esempio il suo progetto per piazza Augusto Imperatore a Roma, «un caso esemplificativo, con 14 anni passati per i conflitti tra pareri».
Il patrimonio da diversi punti di vista: reinterpretazione, vuoti urbani, periferie
A chiarire la sua idea sul fronte Heritage è stato anche Vincenzo Latina – che è, tra l’altro, uno degli architetti responsabili (insieme a Orazio Carpenzano e Michelangelo Pugliese con Elena Farnè di REBUS®) dei workshop di SpamLab -: «Il patrimonio – ha osservato – non è qualcosa di statico ma qualcosa di dinamico che ci viene tramandato e che noi dobbiamo cogliere, reinterpretare e riscrivere costantemente».
Cambia punto di vista Antonino Saggio, docente di Sintesi in progettazione architettonica e urbana alla Sapienza: «A Roma – ha sottolineato – abbiamo un enorme patrimonio di edifici abbandonati, di vuoti urbani di cui occuparsi. Bisognerebbe far nascere un corso di laurea dedicato a studiare gli edifici abbandonati o non finiti. Dovremmo anche chiederci: perché i progetti non finiscono?».
Ad allargare lo sguardo è stato Franco Purini, professore emerito dell’Università Sapienza di Roma, suggerendo di «ampliare il tema heritage guardando anche alle periferie, per comprendere e declinare meglio il concetto di ‘eredità’. Il 90% di Roma – ha proseguito – non diventerà patrimonio: bisogna interrogarsi su questo». Infine, ha precisato: «La tutela del patrimonio è difesa del bene comune», aggiungendo che «bisogna rivendicare all’architettura la stessa capacità testuale che hanno gli altri linguaggi complessi».
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(FN)