WAR Warehouse of Architecture and Research nasce a Roma nel 2013; ad oggi gli associati sono Gabriele Corbo, Jacopo Costanzo e Valeria Guerrisi.
WAR opera come studio di architettura e come spazio indipendente di ricerca; ha tenuto lezioni presso La Sapienza di Roma, il Politecnico e la Triennale di Milano, il Parsons, il Pratt e la Tulane negli Stati Uniti. I suoi lavori sono stati esposti a Roma, Milano, Venezia, New York, alla Betts Project ed al RIBA di Londra, alla Biennale di Shenzhen-Hong Kong, e pubblicati su riviste internazionali come Area, Corriere della Sera, Domus, Ideat, Summa+, The Architect’s Newspaper.
Attualmente sono docenti presso l’Istituto Europeo di Design e advisor per l’American Academy a Roma; dal 2019 pubblicano la rivista Panteon. Nel 2020 sono stati inseriti dalla rivista Platform tra i 50 migliori architetti e designer italiani under 40.
INTERVISTA
Federica Andreoni – FA
WAR
Gabriele Corbo
Jacopo Costanzo
Valeria Guerrisi
ATTITUDINE DI PROGETTO
FA – C’è un ambito prevalente in cui lo studio opera?
WAR – L’architettura. Ci adoperiamo in tutte le sfere che consideriamo parte della nostra professione, quindi riducibili ad un’azione di progetto: ristrutturazioni, design, nuove costruzioni, fino alla scala urbana. Abbiamo iniziato a ricevere le prime commesse pubbliche, tra queste forse la più significativa è quella maturata con il Comune di Apiro. Siamo stati incaricati di progettare un Centro Operativo Comunale nell’area del cratere, giungendo alla fase di disegno esecutivo, siamo ora in attesa di proseguire nelle successive.
Ci muoviamo in diversi ambiti dell’architettura, cercando di preservare un metodo che ci permetta di operare coerentemente. La ricerca è alla base di WAR, il nome dello studio allude proprio a questo. Parte dalla raccolta di riferimenti, provenienti tanto dal mondo della storia dell’architettura – siamo di fatti immersi nella biblioteca del fondo Passarelli, che abbiamo ereditato, o meglio ricevuto come donazione dagli eredi legittimi – quanto da altre discipline: arte, cinema e letteratura in particolare. Per noi è molto importante l’aspetto narrativo di un progetto. Non si tratta di mero storytelling, bensì di porre l’accento sul lato umanista, quasi teatrale, della nostra disciplina. Tra i prodotti dello studio infatti, oltre che progetti veri e propri, ci sono i risultati di questo metodo di ricerca costante: disegni, testi, speculazioni teoriche che apparentemente possono sembrare poco utili, velleitarie, ma che al contrario si rivelano fondamentali.
FA – Tra questi ne individuate uno più espressivo o più importante?
WAR – La rivista Panteon è il progetto teorico più ambizioso dello studio. Nasce da un’idea germinata tra le mura di war, che coinvolge e si avvale di molti altri colleghi architetti, dottori di ricerca, fotografi e scrittori che ci aiutano a renderlo possibile, dentro e fuori la redazione.
Una docente portoghese, Teresa Fonseca, ci disse una volta una frase che riassume bene una nostra convinzione: «Roma ha le risposte a tutte le domande». È come se ci sentissimo inevitabilmente “romani”, per formazione o per vocazione, di conseguenza anche nella maniera di progettare. Roma è una città narrativa, carnale, non può prescindere dai suoi dati storici, sociologici, culturali. In questo il nostro metodo di progetto le somiglia. Roma è placentare, diceva Fellini; un pantheon infinito di esempi e riferimenti, per questo la rivista parla di Roma, utilizzandola come pretesto per misurare il presente.
LA PROFESSIONE DI ARCHITETTO A ROMA
FA – Oltre all’aspetto metodologico e di ispirazione, che evidentemente è molto forte, come trovate l’esercizio della professione a Roma?
WAR – Roma ci accompagna ovunque nel mondo, ma paradossalmente, a livello strettamente professionale, ci ha offerto poco. Abbiamo avuto la fortuna di sviluppare due allestimenti museali nel cuore della città, in Piazza Navona, a Palazzo Braschi, nel 2015, e nel Villino Stroganoff, all’interno del complesso hertziano di Via Gregoriana nel 2019. Nello stesso anno abbiamo realizzato una ristrutturazione a cui siamo molto legati, Roman Rhapsody; si tratta di un appartamento in via dei Portoghesi, in pieno centro storico, che è parte dell’edificio adiacente alla chiesa. L’appartamento offre quindi degli scorci privilegiati sulla Torre della Scimmia e sulla facciata di Sant’Antonio dei Portoghesi. In quel caso abbiamo coinvolto alcuni artisti, romani ed internazionali, per realizzare una serie di opere site-specific che dialogassero con le preesistenze circostanti, visibili attraverso le ampie finestre.
A Roma in ogni caso l’esercizio della professione non è semplice, non tanto per il cospicuo numero di architetti che operano in città, ma soprattutto considerata la latitanza di un progetto culturale, credibile e duraturo al contempo, che definisca un’agenda seria legata al ruolo della nostra professione nelle vicende che dovrebbero vederla coinvolta.
Allargando la riflessione all’area metropolitana, abbiamo iniziato a lavorare in alcuni piccoli comuni. Dopo il primo premio al concorso di idee per la Riqualificazione del centro storico di Ponzano Romano (2021), stiamo collaborando con il comune per mettere in opera il progetto. Come accade spesso, per contrastare lo spopolamento e per rivitalizzare il centro il Sindaco ha voluto intraprendere un percorso di rilancio attraverso l’arte, in particolare attraverso delle installazioni. La richiesta del concorso era infatti incentrata sugli spazi pubblici, in modo da poter ospitare le opere dei creativi che verranno coinvolti per mezzo di un programma di residenze d’artista, a cui stiamo lavorando insieme a Graziano Menolascina, direttore del PRAC.
CONCORSI
FA – Come molti studi della vostra generazione, considerate quindi il concorso uno strumento valido; che peso e che significato hanno per il vostro studio?
WAR – Per noi i concorsi sono uno strumento molto importante, occasioni necessarie per verificare i convincimenti che andiamo aggiornando, che a volte vacillano mentre altre volte si consolidano; sono imprescindibili per definire un programma operativo, oltre che, nei rari casi di vittoria, occasioni di lavoro straordinarie. Azzardando una similitudine, i concorsi sono per l’architettura come la Formula 1 per la progettazione di automobili: servono a far progredire la tecnologia, a sperimentare tecniche e a sviluppare nuove idee.
I grandi concorsi sono una sfida, e ciò che viene prodotto, che ne deriva, come il resto delle nostre ricerche, si riversa sempre in qualche modo in altri progetti e dunque non sono mai occasioni perse, indipendentemente dai risultati, poiché alimentano un ciclo.
Oltre che sui concorsi, lo studio si concentra anche sui bandi. Per esempio, recentemente abbiamo contribuito alla proposta attraverso cui il comune di Pesaro ha vinto il bando “Fondo Cultura”, destinato al Centro Arti Visive Pescheria, uno spazio per l’arte contemporanea ospitato all’interno di un complesso storico vincolato. In particolare ci siamo occupati del progetto di allestimento permanente; la sfida in quel caso era l’integrazione dei nuovi impianti tecnologici richiesti, ottenuta disegnando un dispositivo capace di nasconderli ed al contempo offrirsi al museo come nuovo sistema espositivo.
CONTAMINAZIONI
FA – Quali altri settori, influenze e contaminazioni sono presenti nel vostro lavoro, con chi collaborate o vi confrontate?
WAR – Abbiamo collaborato con il filosofo Lorenzo Pizzichemi, il quale ci ha coadiuvato negli anni in diverse occasioni, tra cui le proposte per i concorsi per la curatela della Triennale di Oslo del 2018 e per il piccolo monumento alla democrazia della città di Kavaje, in Albania, nel 2014, progetto finalista dal quale per certi versi l’avventura professionale di WAR ha preso le mosse.
Chiaramente lavoriamo spesso con la fotografia, collaborando con talentuosi fotografi, in particolare di architettura; questo avviene sia per gli album dei nostri interventi sia per Panteon, che prevede sempre il contributo di un fotografo d’autore. Per la nostra ultima casa abbiamo avviato un esperimento di fotografia e racconto con Lorenzo Piacevoli e Fred Mungo, il tentativo è di eseguire un ritratto abitato più intimo, che sia in grado di evadere dai consueti schemi delle foto patinate.
Infine, siamo noi stessi a utilizzare riferimenti e ispirazioni da discipline altre, da un libro che abbiamo letto, da un quadro o da un film che abbiamo visto, nel raccontare e nel ragionare attorno ad un progetto. Nonostante possa sembrare naïve, questa narrazione è per noi fondamentale nel tradurre un’idea in progetto; diventando poi sostanziale anche nella divulgazione dello stesso – attraverso metafore o icone cognitive – che è una sorta di prosecuzione, un’estensione importante e a cui teniamo.
Coltiviamo la contaminazione con tematiche affini all’architettura anche attraverso il progetto dei “Garage”, spazio in cui organizziamo con cadenza piuttosto regolare eventi espositivi e presentazioni di libri. Tra questi, per esempio, possiamo menzionare la mostra di Davide Trabucco, in arte Confórmi, cui dobbiamo tra l’altro il nome della rivista “Panteon”. Mentre discutevamo su come intitolarla, era esposta nei “Garage” una sua installazione sulla pianta del Nolli, una riflessione su tutti i pantheon del mondo in cui appariva il codice catastale “Panteon 837”, quindi senza “h”. Da lì nacque l’idea di eliderla anche nel nome del magazine, omaggiando Nolli e la sua celebre rappresentazione.
Nell’ultima mostra che abbiamo organizzato, con SantoDiego – artista che vive a lavora a Napoli – abbiamo avviato una riflessione sul significato di monumento oggi, sulla complessità del concetto di idolo, anche in occasione della morte di Maradona, figura straordinaria e controversa.
Infine, stiamo avviando il coordinamento di un laboratorio di ceramica in una scuola di Pesaro, con l’obiettivo di riprodurre dei dettagli di alcune architetture razionaliste locali, che poi verranno esposti in una mostra il prossimo autunno, insieme agli scatti del maestro Anton Giulio Onofri.
NEXT – IL PROSSIMO PASSO
FA – Quali sono le vostre prospettive sul futuro?
WAR – Rispetto ai primi anni, in cui spesso ci interrogavamo sull’efficacia del metodo del nostro lavoro, possiamo oggi ritenerci diversamente consapevoli; abbiamo preso coscienza, attraverso quanto prodotto nell’arco di quasi dieci anni, di quella che può ritenersi la nostra voce all’interno dell’ambito disciplinare, più in generale della società in cui viviamo.
Vorremmo continuare a coltivare fruttuosi rapporti con le committenze pubbliche, che in casi virtuosi come quelli che ci sono capitati finora ci hanno permesso di sviluppare progetti molto liberamente, ancor più che in ambito privato. Certamente proseguire con Panteon, di cui è alle porte la quinta uscita e che ha fatto registrare ottimi risultati all’estero e in Italia, in contesti competitivi come la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano o il Maxxi di Roma e che ci sta permettendo di coinvolgere personalità che stimiamo molto, approfondendo il legame con la città. L’aspirazione ultima è in qualche modo anche la prima, ovvero quella di tenere fede al nostro nome, di continuare ad intendere il nostro studio, la nostra bottega manierista, come un deposito operativo di architettura e ricerca, una sfida non da poco.
Intervista di Federica Andreoni, Redazione AR Web