SET è uno studio di architettura, urbanistica e design con base a Roma.
L’attività progettuale, sviluppata in Italia e all’estero, è arricchita da quella didattica e da una costante ricerca teorica basata sull’indagine degli spazi pubblici, delle nuove forme dell’abitare e del rapporto tra ambiente naturale e artificiale.
SET ha vinto importanti premi e riconoscimenti tra cui “Young Italian Architects 2018”, “Dedalo Minosse – Premio Morseletto” e “NIB New Italian Blood”. Nel 2020 lo studio è stato selezionato tra le migliori firme italiane under 40 dalla rivista Platform oltre ad essere presente sulle maggiori testate internazionali (Detail, Azure, Domus, C3, Arquitectura Viva).
Lo studio ha inoltre tenuto conferenze presso diverse Università (IUAV di Venezia, Dida – Università di Firenze, Università di Roma Tre) e manifestazioni culturali (MAXXI – Obiettivo architettura, SPAM Rome Architecture Festival, Biennale di Pisa, Tallinn Architecture Biennale, New Generations Festival).
I soci fondatori di SET sono Onorato di Manno e Andrea Tanci.
INTERVISTA
Federica Andreoni – FA
SET Architects:
Onorato Di Manno – ODM
Andrea Tanci – AT
ATTITUDINE DI PROGETTO
FA – Qual è l’ambito prevalente in cui lo studio opera, sia attraverso la ricerca che la pratica progettuale?
ODM – Lo studio agisce per scelta in maniera trasversale, occupando tutte le scale della progettazione: dall’interior design, all’allestimento fino alla progettazione urbana. Ci piace intervenire in maniera libera tra le scale del progetto.
Ovviamente è diverso lavorare alla scala degli interni, in cui le tematiche sono tutte legate al dettaglio e alla scelta del materiale, rispetto al lavoro su scala urbana, in cui si interviene sulle volumetrie e gli spazi aperti della città. Ciò che è interessante è riuscire a farlo seguendo uno stesso approccio progettuale, declinandolo attraverso le diverse grandezze e dimensioni dell’intervento architettonico.
FA – Quale tra le esperienze, tra quelle che avete affrontato finora, pensate siano più rappresentative del vostro approccio?
AT – Uno dei progetti che ci rappresenta di più è sicuramente il Memoriale della Shoah a Bologna, che ci ha formato molto a livello professionale. Fu la nostra prima esperienza insieme, dopo quelle che ognuno aveva avuto in altri studi.
Fu un primo approccio, grazie ad un concorso, su scala contenuta. Un intervento che guardava al contesto urbano, e allo stesso tempo all’oggetto architettonico.
ODM – Come scala, infatti, è ambigua: è un intervento che va da quella micro del memoriale, passando per quella più ampia della piazza fino a quella della città. Interviene, di fatto, in un pezzo di città tra il centro storico e la prima periferia di Bologna, sviluppando l’identità dell’oggetto in relazione al contesto urbano.
Il memoriale è concepito come una porta della città.
Questo progetto in questo senso sicuramente simboleggia bene la nostra attitudine progettuale, dalla piccola scala fino allo sguardo sulla città.
FA – Mi pare che anche a livello di ricerca espressiva e linguistica rispecchi molto la progettazione dello studio, non credete?
ODM – Sì, essendo il nostro primo progetto è quello con cui si sono definiti, anche se in maniera primordiale, i concetti su cui ci interessava ragionare: l’essenzialità, la proporzione, l’attenzione ai materiali, il rapporto con la scala umana, la serialità. Ha introdotto tutte le tematiche che sono ritornate negli altri progetti, ovviamente declinate di volta in volta.
LA PROFESSIONE DI ARCHITETTO A ROMA, IN ITALIA, ALL’ESTERO
FA – Quali sono le maggiori difficoltà e quali le opportunità nell’esercitare la professione di architetto in Italia?
AT – Essendo architetti italiani ci teniamo a lavorare in Italia. Allo stesso tempo abbiamo anche sempre guardato fuori dal territorio nazionale; l’obiettivo che ci siamo fissati, quello di partecipare a concorsi internazionali, nasce proprio per avere un confronto con l’estero.
Abbiamo partecipato a molte call fuori dall’Italia, come per esempio a Tallinn o a Londra, cercando di allargare la rete, non volendoci limitare in un ambito locale.
FA – Come si sono svolte le esperienze fuori dall’Italia?
ODM – A Tallinn siamo stati selezionati per un’istallazione alla Biennale, a proposito di uno studio sull’involucro primordiale. Abbiamo inoltre partecipato al concorso per la Biblioteca di Madrid, in cui siamo stati selezionati tra i finalisti, e all’Europan15 a Täby (Svezia) in cui abbiamo vinto il secondo premio.
FA – E rispetto a Roma, invece?
ODM – Roma è fondamentale per noi, comunque. Ci interessa molto.
Ovviamente anche a livello culturale, data la nostra formazione che si è sviluppata qui. Il ruolo di Roma si sente anche nel nostro modo di concepire l’architettura: l’attenzione alla geometria, alla proporzione, alla scala, deriva da un approccio puramente italiano e legato in qualche modo al mondo classico. Il nostro approccio è legato, se vogliamo, più ad un’architettura che guarda alla classicità, nonostante decliniamo questa impostazione di base in maniera innovativa e contemporanea, aprendoci anche alla cultura europea e internazionale.
FA – Avete mai lavorato a Roma?
ODM – Sì, ma solo in termini di istallazioni e di architetture d’interni.
AT – Abbiamo realizzato l’installazione alla Casa dell’Architettura, confrontandoci quindi con un edificio neoclassico. In quel caso il rapporto con il contesto è stato un dialogo in una posizione di contrasto: un oggetto puro in uno spazio molto decorato.
AT – Ci piacerebbe molto dare il nostro contributo allo sviluppo della città di Roma, speriamo che si presenti l’occasione, sappiamo che è una città complicata ma siamo molto fiduciosi.
ODM – Certo, lavorare a Roma ci interessa perché è la città dove viviamo e dove lavoriamo, ma non ci chiudiamo e non ci poniamo limiti in questo senso: interveniamo dove si aprono le opportunità.
CONCORSI
FA – Nella vostra esperienza che peso e che significato hanno avuto o hanno ancora i concorsi di architettura?
ODM – Lo strumento del concorso è fondamentale: siamo nati con un concorso. Senza di esso, oggi, non saremmo neanche uno studio!
I concorsi aprono possibilità, come è stato per noi, e permettono di confrontarsi con scale e temi altrimenti difficilmente raggiungibili. Sono anche un modo per fare realmente ricerca, esprimendo le idee senza filtri.
E poi sono uno strumento di confronto con i colleghi: fare un concorso, sia che vada bene sia che vada male, analizzando gli esiti, ti permette di studiare e capire il tuo potenziale e i tuoi limiti.
FA – Sono quindi uno strumento attraverso cui affacciarsi alla professione e attraverso cui continuare a praticarla?
AT – Il concorso è uno strumento che va scelto e utilizzato in maniera attenta. Va scelto bene: se è la tua scala, se è ben impostato, se il bando è chiaro, se la giuria è palese, se è in una o due fasi… Sono condizioni importanti da studiare. Noi facciamo una ricerca che consideriamo fondamentale anche proprio sulla tipologia dei concorsi da affrontare.
ODM – A seconda del periodo in cui lo studio si trova, selezioniamo di conseguenza il tipo di concorso. Il concorso a due fasi per esempio è per noi sempre preferibile, perché permette di proporre una prima idea rapidamente e di svilupparla eventualmente nella seconda fase. Così come preferiamo i concorsi con la giuria palese: dalla qualità dei membri della giuria dipende poi la qualità del progetto che verrà selezionato come vincitore. E poi sempre cerchiamo di selezionare i concorsi che abbiano la previsione di realizzazione.
AT – Comunque per noi tutti i concorsi sono sempre stati un momento di forte arricchimento.
CONTAMINAZIONI
FA – Quali altri settori, influenze e contaminazioni sono presenti nel vostro lavoro? Con chi collaborate o vi confrontate quando progettate?
ODM – La contaminazione è sempre per noi sinonimo di arricchimento e cerchiamo di perseguirla, coinvolgendo quando possibile altre professionalità.
Alla Biennale di Pisa per esempio, con una riflessione sul tema del tempo e dell’acqua, abbiamo presentato e sviluppato un progetto, sotto forma di video, congiuntamente con una video-maker, Miruna Dunu, conosciuta in una occasione precedente al Museum of Architecture and Design (MAO) di Lubiana.
AT – È stato un bel confronto, di cui abbiamo veramente un bel ricordo sia a livello umano che a livello professionale.
ODM – Ci interessa l’apprendimento che deriva dallo scambio con discipline diverse dalla propria.
Ci confrontiamo anche con la moda, per esempio, attraverso la didattica. Insegnando allestimento allo IED, svolgiamo un corso su architettura e moda che ha come esercizio progettuale una istallazione a Palazzo Fendi. Essendo un corso in inglese, gli studenti cui si rivolge sono internazionali e provengono da ogni parte del mondo, per questo ancora di più ci interessava farli lavorare con degli elementi fortemente identitari dell’Italia: all’interno dell’edificio del Palazzo della Civiltà del Lavoro, confrontandosi con la moda e in particolare con il marchio Fendi,
Ci interessa uscire dal seminato, con le ricerche, le contaminazioni, la didattica, le esplorazioni, riconducendo però sempre tutto al nostro interesse principale: l’architettura costruita. Tutto è riportato all’atto della costruzione.
AT – È bellissimo infatti quando poi ritrovi gli elementi di ricerca negli interventi costruiti, anche in quelli meno concettuali, in forme talvolta sorprendenti. Anche nel progetto di ricerca Serpentine Augmented Architecture sviluppato per Serpentine Gallery di Londra, c’era questa componente molto forte.
ODM – In quel caso, sebbene fosse un tema lontano dai nostri campi di interesse, abbiamo per curiosità collaborato con uno studio di realtà aumentata mettendo a disposizione le nostre conoscenze a livello di architettura e urbanistica. Ne uscì fuori un ibrido decisamente interessante.
NEXT – IL PROSSIMO PASSO
FA – In che direzione state andando? Su cosa vi state concentrando?
AT – Attualmente siamo molto concentrati nello sviluppo del progetto definitivo, e poi esecutivo, della scuola di Sassa, alle porte della città dell’Aquila. È un intervento importante, un polo scolastico di cinque edifici. Il progetto in sé è concepito come un civic center, un intervento aperto alla città non solo come polo scolastico
ODM – È un progetto cui teniamo molto. Si tratta di un concorso che abbiamo vinto nel 2018 e che si era bloccato, sul quale avevamo perso le speranze, non pensavamo più potesse avanzare. Invece, di recente, in maniera del tutto inaspettata per noi, siamo stati ricontattati dall’amministrazione per portarlo avanti.
Per noi è molto importante, non solo da un punto di vista architettonico per lo studio, ma anche sociale. Dopo più di dieci anni dal terremoto sarà una delle prime scuole che verrà costruita, permetterà ai bambini di avere uno spazio degno per studiare e formarsi.
Speriamo che rappresenti un passaggio verso il futuro dello studio, verso la sua crescita. Continueremo a fare concorsi, investendo su questo strumento, coltivando anche l’interesse per l’allestimento e per gli interni. A questo proposito abbiamo da poco concluso un intervento per una mostra a Venezia per Platform.
Cerchiamo sempre di crescere e di migliorarci, passo dopo passo, con molta passione. Nonostante le difficoltà che ogni studio emergente deve affrontare.
AT – Cerchiamo di strutturare sempre di più lo studio, con un lavoro meticoloso, con scelte molto ragionate, per poter aprire sempre nuove opportunità. L’obiettivo finale dello studio comunque rimane quello, che in fondo ci siamo prefissati fin da subito, di sviluppare l’architettura costruita.
Intervista di Federica Andreoni, Redazione AR Web