Intervista
03 Maggio 2021

INTERVISTE AI GIOVANI ARCHITETTI ROMANI: ORIZZONTALE – di Leila Bochicchio / Redazione AR Web

Orizzontale è un collettivo di architetti con base a Roma, il cui lavoro attraversa architettura, paesaggio, arte pubblica e autocostruzione. orizzontale promuove dal 2010 progetti di spazi pubblici relazionali, dando forma ad immagini di città dismesse o inedite. Questi progetti sono stati terreno di sperimentazione per nuove forme di interazione tra gli abitanti e i beni comuni urbani e al tempo stesso occasione per mettere alla prova i limiti del processo di creazione architettonica. orizzontale ha costruito e sviluppato progetti in Italia, Spagna, Germania, Austria, Grecia, Ucraina, Portogallo, Olanda. “8 ½”, il teatro mobile costruito da orizzontale nel 2014, è risultato vincitore del premio internazionale Young Architects Program indetto dal Museo MAXXI e dal MoMA PS1. Nel 2016 orizzontale vince il concorso “Periferie” indetto da MiBACT e CNAPPC per l’area di Aprilia. Il progetto “Prossima Apertura” è attualmente in costruzione ed è stato premiato nel 2020 con il Premio Urbanistica dall’INU. Nel 2018 alla Biennale di Venezia orizzontale riceve dal CNAPPC il riconoscimento “Giovane Talento dell’Architettura Italiana 2018” che premia il migliore studio under35 italiano.
Orizzontale è composto da: Jacopo Ammendola, Juan López Cano, Giuseppe Grant, Margherita Manfra, Nasrin Mohiti Asli, Roberto Pantaleoni, Stefano Ragazzo

INTERVISTA

Leila Bochicchio


Orizzontale:
Margherita Manfra
Nasrin Mohiti Asli
Roberto Pantaleoni

ATTITUDINE DI PROGETTO


Leila Bochicchio – Qual è l’ambito prevalente in cui lo studio opera attraverso ricerca e pratica progettuale? Quali sono le esperienze realizzate o progettate più espressive del vostro approccio?

Nasrin Mohiti Asli – Orizzontale lavora prevalentemente nello spazio pubblico ed è in quest’ambito che ha ricevuto finora i maggiori riconoscimenti. Tra le esperienze più espressive del nostro approccio c’è il progetto 8 e ½, vincitore del concorso YAP MAXXI 2014, che oltre a rappresentare la composizione e l’attività del gruppo in una determinata fase, è esemplificativo di come Orizzontale opera tuttora in termini di collaborazione tra più soggetti: in quel caso il Museo MAXXI, l’impresa che ha realizzato l’opera e gli studenti che hanno partecipato al workshop.  Si trattava di una struttura per abitare lo spazio di piazza Boetti, costruita con l’impiego di materiali di scarto nell’arco di 4 settimane, 2 delle quali svolte come laboratorio aperto a studenti provenienti da tutta Italia.

Altra esperienza significativa è Prossima Apertura, una piazza che presto sarà inaugurata ad Aprilia, dove abbiamo tentato di conciliare due diverse scale e temporalità di progetto: la prima, il lavoro sull’infrastruttura e la creazione fisica dello spazio, la seconda, il tentativo di fondere le azioni tradizionali di progetto con l’autocostruzione e la collaborazione con gli abitanti e con le diverse professionalità che compongono il gruppo di lavoro. Infine, cito la ricerca avviata nel 2010 sullo spazio pubblico di largo Bartolomeo Perestrello nel quartiere della Marranella a Roma, significativa perché racconta di una serie di attività fallimentari… ma Orizzontale è anche rappresentato dai suoi fallimenti, che sono una parte interessante della nostra ricerca.

Leila Bochicchio – Perché la definisci un’esperienza fallimentare?

Nasrin Mohiti Asli – Perché abbiamo smontato l’intervento più volte; perché è stato un progetto auto-prodotto, attraverso finanziamenti rintracciati da Orizzontale stesso. Un’esperienza in cui il confronto con l’amministrazione e il rapporto con la burocrazia sono stati critici e complessi, come complesso era il contesto urbano in cui il progetto andava a collocarsi. Orizzontale ha imparato molto in quell’occasione, proprio in virtù degli errori fatti.

Roberto Pantaleoni – Della nostra ricerca fanno senza dubbio parte i numerosi tentativi che portano a volte a fallire e a dover ritornare sugli stessi punti. Il nostro lavoro ha necessariamente bisogno di lungimiranza e supporto da parte dell’amministrazione; cerchiamo di operare creando sinergie tra più soggetti, per sviluppare sistemi complessi capaci di affrontare luoghi complessi quali gli spazi collettivi. Se in quest’azione non siamo accompagnati da una visione politica, possono nascere dei corti-circuito, anche rispetto agli intenti da perseguire. Un esperimento simile, ma dall’esito opposto rispetto a largo Perestrello, lo abbiamo intrapreso nel 2014 con il progetto Costruire Largo Milano a Cinisello Balsamo, che ha invece ricevuto un notevole supporto da parte dell’amministrazione locale. In quel caso si trattava di operare nell’area di parcheggio di una concessionaria, che ricadeva in un piano comunale di edificazione. In attesa della trasformazione, il piazzale è stato assegnato al comitato di quartiere e trasformato in un laboratorio a cielo aperto per la realizzazione di alcune strutture, con la partecipazione di cittadini e studenti. Grazie al sostegno pubblico quanto realizzato è rimasto in uso per l’intero arco temporale programmato. Lo stesso tipo di approccio, entrando però nell’ambito di un’opera pubblica, più stringente in termini di normativa e di possibilità di azione, l’abbiamo sperimentato con Prossima Apertura. Anche qui, l’obiettivo, è stato mettere la cittadinanza al centro della progettualità; proposito che non deve essere inteso come tentativo di plasmare il progetto in base alle richieste specifiche degli abitanti, ma come volontà di rendere questi ultimi partecipi delle scelte che determinano il cambiamento fisico dei luoghi, considerarli attori attivi e non solo portatori di bisogni e problematiche da risolvere. Anche in quest’occasione ci siamo scontrati con esigenze divergenti dell’amministrazione, che tende spesso a non approfondire questo tipo di processi.  In generale il nostro apporto rischia di perdere di valore se non supportato in maniera coesa da coloro che gestiscono e governano lo spazio pubblico su cui lavoriamo.

Orizzontale – Largo Milano, Cinisello Balsamo (MI), Luglio 2013 – Maggio 2014 – ©Giacomo Costa

Margherita Manfra – Il tema dello spazio pubblico è emerso come cardine dell’azione di Orizzontale in maniera naturale. Era il luogo che abitavamo da cittadini e in cui abbiamo iniziato ad agire come architetti, attraverso i primi esperimenti concreti. All’inizio abbiamo concepito azioni minimali, spontanee, a volte provocatorie. In seguito l’obiettivo è stato cercare di precisare un modus operandi capace di accogliere la complessità, usando gli strumenti disponibili ma anche ibridando fasi, conciliando modalità e attori. I progetti cui abbiamo accennato compongono una stratificazione di esperienze, volte a far sì che gli spazi pubblici siano capaci di reagire alla necessità costante di adattamento a bisogni in continua evoluzione. Queste esperienze confluiscono in Prossima Apertura, un esperimento più grande, ma non diverso dai tanti che abbiamo condotto fino ad ora. Il tema centrale del nostro lavoro, che mette alla prova la professione e ne sonda i limiti, è cercare di fare in modo che gli spazi che progettiamo e costruiamo abbiano forme compiute, ma allo stesso tempo aperte e sempre in divenire. 

LA PROFESSIONE DI ARCHITETTO A ROMA, IN ITALIA, ALL’ESTERO

Quali sono le maggiori difficoltà e quali le opportunità nell’esercitare la professione di architetto in Italia e in particolare a Roma?

RP – Negli ultimi anni, in Italia, avvertiamo alcuni cambiamenti che la pandemia sta evidenziando e accelerando. Assistiamo al diffondersi di una serie di azioni che esprimono un approccio alla città che noi tentiamo di mettere in pratica da anni: azioni temporanee, azioni che intendono la partecipazione come appropriazione fisica ed emotiva dei luoghi. Queste iniziative sono intraprese, oggi, con una prospettiva, in termini d’inserimento e d’integrazione nel sistema ufficiale di gestione dello spazio pubblico, che finora, a mio avviso, non era affatto diffusa in Italia. All’estero, in Francia, in Germania, interventi e approcci di questa natura sullo spazio pubblico, che è sede di azioni sovradeterminate a livello politico, sono previsti e disciplinati da indirizzi di governo e spesso supportati da fondi pubblici. La nostra esperienza, in Italia, è stata finora caratterizzata dalla necessità di dover di volta in volta concordare con l’amministrazione soluzioni site- specific. Poter disporre invece di un quadro generale, all’interno del quale sia facile muoversi e orientarsi, in cui poter mantenere una certa elasticità d’interpretazione, renderebbe il nostro lavoro sicuramente più semplice ed efficace.

LB – Se ho ben capito lamenti l’assenza di un quadro normativo e di indirizzo che sia in grado in primo luogo di includere e poi di accompagnare il tipo di interventi che proponete.

NMA – A mio avviso una delle maggiori criticità, per quel che riguarda il nostro lavoro, è la stringente maglia normativa che sancisce ciò che NON è consentito fare negli spazi pubblici. Abbiamo fatto alcune esperienze in Europa e la cosa più interessante che abbiamo constatato è l’approccio coraggioso, di piena assunzione di responsabilità da parte dell’amministrazione o del gestore del progetto. In Olanda abbiamo lavorato in un’area molto vasta, affidata tramite bando pubblico a un ufficio di place-making. La scelta intrapresa era di operare in maniera progressiva, abitando lo spazio e aprendolo a tante professionalità, invitate per un determinato periodo a realizzare attività rivolte alla cittadinanza.  In quel caso la nostra proposta, che sarebbe potuta sembrare in altri contesti una follia, è stata accolta con grande realismo e la struttura che abbiamo realizzato e che doveva essere rimossa dopo un anno, è tuttora in piedi. Le azioni condotte nell’area erano indirizzate e guidate dalle indicazioni del dipartimento di urbanistica: si trattava di una serie di suggerimenti, che entravano nel merito di ciò era consentito fare, senza essere però troppo stringenti o vincolanti.

Orizzontale – Casa do Quarteirão, O Quarteirão, Ponta Delgada, São Miguel, Portogallo – Foto di © Sara Pinheiro

In molti casi la iper-regolamentazione con cui abbiamo a che fare in Italia è frutto di una cultura, politica e sociale, che ha bisogno di descrivere con precisione cosa NON deve essere fatto. L’auspicio, almeno personale, non è che gli interventi che Orizzontale realizza siano riconosciuti in termini formali; che venga redatto il prontuario delle strutture che si possono realizzare nello spazio pubblico. L’augurio è che si torni piuttosto a pensare a questi spazi proprio in quanto pubblici; che l’attenzione sia rivolta allo stato reale dei luoghi e di coloro che li abitano, più che a regolare e normare. La maggiore criticità che riscontriamo è l’assenza di volontà (politica) di convogliare risorse per sviluppare, insieme agli abitanti della città, questi luoghi dal grande potenziale. Lavorare in Italia, a Roma, ha senz’altro anche degli aspetti positivi; in primo luogo la rete di collaborazioni che ormai abbiamo creato in questa città. Roma è una realtà che conosciamo e che ha molte risorse latenti. Ci sono spazi interessanti e inesplorati, che spesso derivano, paradossalmente, proprio da un vuoto normativo.

MM – L’impostazione culturale, che è anche cultura delle istituzioni, e l’estrema burocratizzazione che caratterizza il nostro paese sono aspetti che non lasciano grandi margini di azione alla nostra pratica. Quando abbiamo intrapreso questa modalità di esercitare la professione, ci siamo ispirati a cose che accadevano all’estero in maniera già consolidata. Portare questo tipo di azioni a Roma è stato per certi versi surreale, perché spesso sono state accolte come frutto di un approccio privo di basi consistenti e di riferimenti collaudati. Proprio perché ancora poco o per nulla sondato, siamo riusciti a rendere personale questo modo di operare, abbiamo in un certo senso segnato il passo in questo settore specifico; il che ci ha permesso di avere molte occasioni per fare esperienza in maniera compiuta. Dopo un decennio di attività, questa dinamica si è esaurita e crediamo che i tempi siano maturi per passare a una fase più organica da un punto di vista della professione e delle attività.

Nel corso di quest’anno di pandemia ci siamo interrogati lungamente a tal proposito; da questa riflessione sono nate due pubblicazioni, che per ora abbiamo portato avanti in maniera autoprodotta, collaborando con lo studio di grafici “Atto”, di Milano. Abbiamo raccolto i nostri lavori e le nostre esperienze, abbiamo poi invitato altre persone a contribuire a un ragionamento collettivo chiedendoci se le pratiche di adattamento, gli interventi temporanei che si stratificano sul territorio, possano prefigurare una strada possibile anche per azioni a larga scala, se possano rappresentare un metodo top-down e non solo bottom-up. Ci siamo chiesti quali siano i limiti di un simile approccio, perché una strategia di questo tipo, se ipotizzata a larga scala, assume aspetti critici che bisogna considerare e prevedere.

CONCORSI

Nella vostra esperienza che peso e che significato hanno avuto o hanno ancora i concorsi di architettura? Sono a vostro avviso uno strumento attraverso cui affacciarsi alla professione e attraverso cui continuare a praticarla?

MM – Il concorso è lo strumento principe per creare la città pubblica. Tra i progetti che hanno segnato la nostra carriera, 8 e ½ e Prossima Apertura sono esito di concorsi e sono stati per noi importanti trampolini di lancio. A Roma si sta aprendo una nuova stagione di concorsi, ma a volte i bandi hanno tempi ridotti e i meccanismi sono farraginosi, nonostante le procedure on line riescano in parte a rendere le modalità di partecipazione più snelle e accessibili. Sicuramente, per i giovani, il concorso è uno strumento che può rappresentare una finestra per affacciarsi alla professione. Sarebbe utile affinarne i metodi, fare del concorso uno strumento diffuso, costante in ogni azione di trasformazione della città.

ORIZZONTALE – 8 ½, Yap MAXXI 2014 – Museo MAXXI, Roma – Foto di ©Alessandro Imbriaco

NMA – Sarò un po’ provocatoria, perché credo che lo strumento del concorso implichi alcune criticità. In molti casi gli studi professionali dedicano gran parte del proprio tempo ed energie ai concorsi; sarebbe interessante vedere con quale percentuale di successo. Sarebbe curioso confrontare il tempo speso con i progetti effettivamente realizzati, o col reale guadagno conseguito, perché in molti casi i concorsi richiedono team allargati e collaboratori non pagati. Sono criticità effettive, soprattutto per i professionisti più giovani. Ciò premesso, il concorso è sicuramente uno strumento valido; la fortuna di Orizzontale è stata di partecipare a gare in cui s’intravedeva uno spiraglio successivo. Selezioniamo i concorsi in base alle opportunità di realizzazione, facciamo un lavoro strategico in questo senso.

CONTAMINAZIONI

Quali altri settori, influenze e contaminazioni sono presenti nel vostro lavoro? Con chi collaborate o vi confrontate quando progettate?

RP – Se parliamo di spazio pubblico, le contaminazioni sono un fattore fondamentale. Nella nostra esperienza abbiamo constatato che, data la complessità di input, di richieste e di bisogni da soddisfare nella progettazione di uno spazio pubblico, non è possibile pensare che possano essere affrontati dalla sola figura dell’architetto. La necessità di creare team multidisciplinari deriva dalla necessità di osservare e analizzare da più punti di vista, in modo da avere le informazioni necessarie e sufficienti per immaginare azioni capaci di incidere fattivamente sul territorio, soprattutto in termini di risposta sociale. Se si parla di rigenerazione, di intervenire in spazi con marcate criticità, non si può pensare di agire esclusivamente in termini di trasformazione fisica, attraverso gli strumenti della progettazione tradizionale; è necessario adottare processi che vanno in profondità nella conoscenza del territorio, che non è un fatto solo fisico.

MM – Orizzontale opera in gruppo, un gruppo mono-disciplinare, ma già questa è una modalità di strutturare in una certa maniera il lavoro, il pensiero, il confronto. Più i territori sono complessi e più servono sguardi plurali, chiaramente coordinati e indirizzati verso un obiettivo comune. Prossima Apertura è un esperimento anche in questo senso, non solo per noi ma per il concetto stesso di opera pubblica di rigenerazione. L’amministrazione si è trovata, più o meno consapevolmente, a lavorare con un team di psicologi, fotografi, video-maker, artisti, grafici. Non è ovvio a tutti a cosa servano queste professionalità nella costruzione di una piazza… Questi sguardi altri riescono a costruire, insieme al progetto architettonico, un programma di ascolto e coinvolgimento essenziale al pieno funzionamento dello spazio. Stimolare gli abitanti all’uso dello spazio pubblico è, in questo senso, l’altra metà della mela.

Orizzontale – Prossima Apertura, Piazza della Comunità Europea, Aprilia (LT), 2019 – Foto di ©Alessandro Vitali

LB – Un aspetto che mi sembra interessante rispetto a questo tema delle contaminazioni è che gli stessi fruitori, nel vostro caso, possono essere considerati come dei collaboratori. È corretto?

NMA – Chi abita i luoghi conosce cose che l’architetto riesce a vedere sotto un altro profilo, o in un’altra scala. I fruitori, o meglio, gli abitanti, sono esattamente degli esperti: fanno parte delle ricerche, recuperano dati, sono in grado di monitorare lo stato dei luoghi, la loro manutenzione, il funzionamento di un’opera, ne conoscono le criticità. Gli abitanti sono a tutti gli effetti dei collaboratori e, ponendo domande, danno a noi materia per progettare.

MM – In tema di contaminazioni, aggiungo una riflessione a quanto detto rispetto alle discipline altre che concorrono alla costruzione dello spazio pubblico. La trasformazione di un luogo non si attua attraverso il solo cambiamento fisico. Questo, a monte, necessita di un programma. La situazione ottimale è quando la definizione del programma avviene in maniera spontanea; ciò accade quando uno spazio è usato e vissuto, quindi cambia e si trasforma in base alle attività che accoglie. Spesso, soprattutto nei momenti di avvio di un progetto, come è avvenuto per esempio per Prossima Apertura, che era uno spazio abbandonato da tempo, c’è una mancanza di immaginazione e di abitudine all’uso del luogo. Allora, intraprendere delle attività, all’inizio suggerite, accompagnate, è determinate, per avvicinare le persone a questo luogo; la scommessa ulteriore è come possa trasformarsi da solo e come in esso possano prendere vita, spontaneamente, delle attività, per vederle poi, nella migliore delle ipotesi, cambiare anche di molto.

NEXT – IL PROSSIMO PASSO

In che direzione state andando? Qual è il prossimo luogo, la prossima funzione, il prossimo tema su cui vi piacerebbe applicarvi?

MM – Il prossimo passo è sicuramente Prossima Apertura. Il tiolo è eloquente: il progetto nasce da una volontà di coinvolgimento e avvicinamento degli abitanti a un cantiere non convenzionale. A breve la piazza sarà aperta all’uso, ma il processo che abbiamo immaginato è solo all’inizio. Stiamo già ragionando su come poter tradurre questo esperimento pilota in un sistema che possa andare oltre, verso la prossima apertura di qualcosa che ancora non conosciamo

RP – Io penso alla curatela del padiglione Italia, ma è una battuta.

NMA – Il prossimo passo è portare a termine i progetti aperti. Poi riuscire, come Orizzontale, a costruire nuove sfide. Riuscire a consolidare quello che sappiamo fare e a sperimentare qualcosa che invece non sappiamo fare ancora. Sarebbe interessante perseguire quest’approccio, caratterizzato da scale spaziali e temporali diverse, andando incontro a nuove e ignote sfide.

Intervista di Leila Bochicchio, Redazione AR Web

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