Zaira Magliozzi: Qual è il lavoro da fare, oggi, sulla città contemporanea?
Carmen Andriani: Penso che non ci sia una regola che vada bene per tutte le città, soprattutto se parliamo di contesto europeo. Troviamo città che sono storiche, stratificate, culture diverse che si sono articolate nel tempo con configurazioni fisiche diverse. Bisogna entrare nel valore identitario delle città e assecondarlo, come si fa con la formazione; assecondare le attitudini delle città, il loro modo di essere, valorizzarle, come fai con una persona che stai formando, non ti devi sovrapporre, non ci sono modelli calati dall’alto.
ZM: Nel suo intervento in occasione del Festival dell’Architettura di Roma, SPAM 2020, ha parlato anche di mobilità, un tema importante per Roma.
CA: Ci sono delle strutture logiche e fisiche inevitabili, una di queste è la mobilità. Il tema è quello di garantire una mobilità sicura, efficiente, capillare per ogni dove, all’interno del contesto o di città ampia, media o piccola…
ZM: L’ha definita una mobilità democratica…
CA: Sì, il primo indizio di uso democratico del territorio è nella sua accessibilità da parte di chiunque, dovunque. Per evitare ghetti, isolamenti, per portare la periferia dentro la città e viceversa. Quindi deve essere un sistema connesso che ha, in alcuni punti di incrocio di questa rete, i suoi cuori pulsanti. Ma non c’è un solo cuore che pulsa, c’è una rete diffusa.
È chiaro che nei piccoli e medi centri questo ragionamento è più semplice. Mentre per i contesti metropolitani ampi, come Roma, questa tematica si sente in modo più evidente.
Ma è una qualcosa che si percepisce anche a livello nazionale. Ad esempio il divario delle traiettorie dei treni, tra le Frecce e i percorsi regionali. Provi ad andare da Genova a Pescara o da Genova a Potenza. È più o meno quanto ci si impiega per fare Roma-New York in aereo.
ZM: E riguardo a Roma?
CA: Il Piano regolatore di Roma del 2003 sulle centralità territoriali era un buon progetto. Io ad esempio ho dedicato molto tempo alla centralità della Romanina, ed era previsto un dialogo molto stretto con i comitati di quartiere, per le necessità reali. Poteva essere una bella scommessa perché significava portare su tutto il territorio metropolitano le centralità territoriali. Questo voleva dire diffondere le funzioni di valenza territoriale più ampia, predisposte per valorizzare le singole realtà, che altrimenti rimangono periferiche. Bisognava trovare un equilibrio tra le funzioni territoriali di larga gittata, fra la rete lunga e veloce e la rete corta, capillare. Tutto questo si è risolto in qualche centro commerciale. Era una buona idea, purtroppo finita così.
ZM: Qual è la vera identità, il ruolo di Roma capitale?
CA: Io credo che Roma abbia il suo ruolo identitario nel suolo, come metafora e come elemento fisico. Intanto perché è stratificato, complesso e articolato. Ha poi un’identità nella presenza-consistenza dei vuoti della campagna romana. Io mi sono occupata di questo in una bellissima esperienza con l’università Sapienza di Roma, in particolare dell’area di Tor Bella Monaca. All’epoca c’era Alemanno come sindaco e disse che le Torri di Barucci forse andavano demolite, chiamando come consulente Krier per realizzare un piccolo quartiere fatto di ville. Questo tocca un altro problema: la confusione tra rappresentanza e competenza. I sindaci sono rappresentanti, hanno il compito di governare ma non possono sovrapporsi alla competenza che spetta all’architetto, all’ingegnere, ai tecnici, agli urbanisti. Anche questo è un problema da risolvere: restituire e valorizzare le competenze e scegliere dei rappresentati che facciano bene il loro lavoro.
ZM: Il ruolo di Roma capitale, forse, non è ancora stato espresso davvero. Secondo lei come lo si può rilanciare, anche in un’ottica di sviluppo del nostro Paese verso il futuro?
CA: Bisognerebbe capire prima di tutto quali sono le sue vocazioni produttive ed economiche, aderenti alle economie territoriali e nazionali, al di là del fatto di essere comunque la città del Governo, dei Ministeri, degli edifici direzionali, degli apparati dello Stato in generale. Bisogna chiedersi: cosa produce Roma, anche in termini di modalità altre, alternative, di produzione?
Ad esempio c’è un ambiente creativo e artistico che andrebbe molto più valorizzato.
ZM: E cosa potrebbe fare Roma per rilanciarsi?
CA: Dovrebbe alzare il tiro della propria ambizione, a partire dalla propria identità. Per esempio, la fine del secolo scorso è stata una grande stagione di concorsi romani. C’era una grandissima ambizione perché c’è stato il Giubileo, ad esempio, con il concorso per le Chiese, poi c’è stato il concorso per il museo MACRO, per il museo MAXXI, per il Centro Congressi all’EUR, per il ponte alla Magliana, per l’ASI. Ci sono stati molti concorsi che avevano dietro un progetto ambizioso, quello di trasformare Roma in una grande città, una capitale contemporanea della cultura, dell’arte. Pensiamo anche all’artigianato e al design. Questo si ricollega ai fenomeni di mescolanza e di migrazione, di comunità che si sono insediate stabilmente. A Roma abbiamo Piazza Vittorio, l’Esquilino. Si sono maturate forme di artigianato che esprimono culture diverse molto interessanti. Tempo fa, Stefano Boeri aveva anche proposto di portarle al Salone del Mobile di Milano.
ZM: Rispetto alla situazione critica che stiamo vivendo, quale spiraglio vede per il futuro?
CA: Roma è un grande libro in cui sono state scritte le storie di tutta l’umanità, anche questo è un dato da valorizzare. Bisognerebbe capire come potenziarle, senza fare discorsi di retroguardia; anzi, queste categorie andrebbero reinventate, soprattutto da parte delle generazioni più giovani che stanno cercando una loro collocazione in un momento storico terribile. Però va trovata, oggi, una via che non rinunci allo strumento dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione in senso creativo, come strumento in grado di potenziare e diffondere qualsiasi cosa.
E qui si inserisce un altro discorso: che bisogno c’è di stare esattamente in un luogo fisico per produrre? Non c’è più questa idea, perché andiamo a Milano o New York ancora di più, adesso, che rimaniamo a casa o nei nostri studi. Dobbiamo cercare quindi di trasformare questa situazione generata dalla pandemia in un vantaggio. Siamo in una bolla, potremmo stare dovunque, il Festival SPAM potremmo farlo in forma ibrida, oppure totalmente in streaming, ormai ci siamo abituati a questa dimensione. Anzi, è una dimensione anche più comoda, e allora cavalchiamola come un’opportunità per il futuro, soprattutto per le giovani generazioni.
(Intervista realizzata in occasione del Festival dell’Architettura di Roma SPAM 2020)