di Giulia Villani
Architetto, Coordinatrice Redazione OAR
Semplicità, eleganza, tecnologia, plasticità.
Queste le parole chiave della nuova scenografia progettata da Riccardo Bocchini, architetto romano chiamato a immaginare la scena del Teatro Ariston per il 75esimo Festival di Sanremo.
Un progetto capace di mutare a seconda delle atmosfere musicali, attraverso luci, forme e immagini che disegnano lo spazio.
Non un semplice sfondo, ma un’architettura vera e propria che nasce da una sapiente progettazione della scena che deve “funzionare” come luogo di scena, musicale e non, ma anche come immagine osservata sia dal pubblico in sala che dallo spettatore a casa.
Punti di vista che si accavallano e sovrappongono inducendo l’ideatore ad un’acrobatica spazialità.
La scenografia di Sanremo 2025 è definita “Techno Hall” da Bocchini, per la capacità delle pareti – scultura di comporsi in diverse configurazioni fino a scomparire del tutto, dosando sapientemente grafica, illuminotecnica ed elettromeccanica. Giochi ottici, sipari e lampadari tecnologici si miscelano a dovere senza prevaricare la vera regina di quasi tutte le scenografie sanremesi. La scala, amata e temuta da chi la percorre, viene disegnata da Bocchini con gradini capaci di muoversi indipendentemente l’uno dall’altro, a simulare un’onda o i tasti del pianoforte. Il tutto per offrire uno spettacolo visivo che apra ad una nuova esperienza sensoriale tra innovazione e tradizione e continui cambi di prospettiva.
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La parola a Riccardo Bocchini: “Un’architettura a servizio della scena”.
Come nasce una scenografia e quali sono le similitudini con il progetto di architettura?
“La scenografia è un progetto vero e proprio. La concezione architettonica è un fattore determinante per riuscire a gestire 54 orchestrali (a destra la ritmica a sinistra la sinfonica, con fiati e cori posizionati su due piani rialzati di 2,50 metri) e una platea di 700 persone che abbiamo deciso di tagliare al centro per consentire le inquadrature centrali. Come un direttore d’orchestra, lo scenografo deve organizzare spazialmente i movimenti delle telecamere per le inquadrature, degli operatori di ripresa e dei musicisti/artisti, oltre a coordinarsi con il direttore della fotografia per le esigenze illuminotecniche o con i responsabili dell’audio per la disposizione delle apparecchiature. In altri termini, chi progetta la scena è al centro di tante micro-progettazioni. Avendo lavorato come ispettore di studio e conoscendo le necessità delle maestranze, preferisco avere un palco ed un retropalco ampi, perché anche nel dietro le quinte succedono molte cose”.
Per definire la scenografia, tieni conto dei vari punti di vista di chi seguirà lo spettacolo (da casa, a teatro, sul palco)?
“Io progetto per la televisione, quindi le mie scene si attivano completamente solo quando si accende la telecamera: sono le inquadrature che modificano le situazioni. È chiaro però che le persone del pubblico presente in sala sono le prime a fornire un riscontro sulla qualità dell’opera. In questa edizione il pubblico potrà vedere chiaramente la scala che porta dal palco alla platea, pazzesca in vetro nero fumé, con dietro un ledwall. Da quando abbiamo il digitale si coglie ogni dettaglio anche da casa. Una volta potevi lasciare dei buchi nella scenografia, perché non visibili. Con il digitale l’immagine è molto nitida e definita. A Sanremo poi abbiamo il 4D! Come mia consuetudine, ho predisposto delle motorizzazioni che calano dall’alto e cambiano la scena. Ho inserito sipari tecnologici e tecno lampadari, che contengono sia apparati video sia apparati di luce di fotografia e che scendono dall’alto in dieci posizioni diverse. Punto alla qualità totale: mi piace che ogni dettaglio sia curato. Se c’è una scaletta di servizio, che nessuno vede, voglio comunque che risulti ben rifinita”.
Le scenografie di Sanremo hanno segnato i vari decenni, definendo delle tendenze nel corso degli anni. Progettando la scenografia del 2025 hai optato per una soluzione di rottura rispetto alle edizioni precedenti o hai puntato sulla continuità?
“Mi sono discostato completamente dalle mie scelte per la scenografia sanremese del 2017. Ho preferito una soluzione totalmente architettonica, lineare, una scenografia modificabile e non autoreferenziale, posta al servizio delle immagini. Del resto, reputo lo scenografo lo schiavo di scena”.
Il lavoro che porti avanti nel tuo campo rappresenta un’inversione di tendenza e contribuisce ad arricchire la figura professionale dell’architetto. Dire che un architetto si occupa di scenografia significa esprimere qualcosa di più profondo. Sei d’accordo?
“Nella mia carriera, ho scelto di affermare l’architettura attraverso la scenografia e penso di essere riuscito a realizzare i miei obiettivi. Nonostante i quarant’anni di esperienza come scenografo, non ho perso l’aderenza professionale alla professione dell’architetto. Persino la differenza tra i materiali scenografici e quelli tipici dell’architettura va sempre più riducendosi: usiamo il Dibond, che si trova anche negli impacchettamenti delle facciate o le strutture in ferro, equivalenti a quelle degli edifici. Nella scenografia il valore dell’architetto emerge perché presuppone una concezione funzionale dello spazio, che è fondamentale. Quest’anno i rappresentanti delle case discografiche venuti a Sanremo sono rimasti colpiti, pensando che le dimensioni di palco e retropalco si fossero triplicate, come per miracolo. Nessun miracolo, solo progettazione incentrata sugli spazi, sulle immagini televisive e non solo sul bozzetto 16:9 che viene impresso dalla telecamera. Fondamentale lo studio delle micro inquadrature che portano a includere un numero variabile di persone”.
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La differenza tra un architetto che si occupa di scenografia e uno scenografo tout court è visibile solo nella qualità degli spazi o vanno considerati anche altri aspetti?
“A me piace presentare disegni di un certo livello dal punto di vista della qualità del segno. Vengo dall’uso del rapidograph e do profondo valore al tratto del pennino, a scapito di Autocad. L’esperienza del disegno a mano ti fa capire se manca anche solo una linea, mentre il copia e incolla ti può far perdere degli elementi”.
Il Festival di Sanremo ha un budget commisurato alla rilevanza della manifestazione, ma cosa succede nella vita di tutti i giorni dell’architetto scenografo? Hai la possibilità di esprimerti o soffri il condizionamento dovuto ai costi?
“Ogni produzione implica un limite di spesa, così come succede a Sanremo. Rispetto all’anno scorso, c’è stata una riduzione economica, ma, nonostante questa flessione, siamo riusciti a rientrare nei costi. Il canale televisivo, qualunque esso sia, mette a disposizione un determinato budget, rispetto al quale bisogna barcamenarsi in termini di risorse economiche. Provenendo dall’architettura, conosco l’utilità dei cronoprogrammi, che consentono di completare le varie fasi di un progetto in relazione a una tempistica prefissata. Così come è importante la stesura del capitolato che porta alla valutazione di spesa finale. E’ tramite questi strumenti che abbiamo perfettamente rispettato i costi ed i tempi per le prove sanremesi. Abbiamo iniziato il montaggio il 17 dicembre per arrivare al primo sound check dell’audio il 23 gennaio”.
Le sovrastrutture tecniche influiscono sull’idea scenografica?
“Non mi faccio condizionare da nulla: parto da un segno. Sullo schizzo gioco e inizio a progettare. Una volta trovata l’immagine madre, torno indietro e vado a inserire dentro tutte le varie sovrastrutture legate ad audio, video, fotografia, normative di sicurezza. Parto sempre con la mente sgombra, perché altrimenti mi farei condizionare. Durante i corsi, quando racconto ai ragazzi che cos’è la scenografia e poi gli assegno delle esercitazioni, molti iniziano dalle dimensioni delle uscite di sicurezza. A quel punto li fermo e li esorto a partire da una loro idea, per poi scendere nel dettaglio dei particolari tecnici”.
Che rapporto hai con l’innovazione tecnologica?
“La tecnologia fa parte dell’esperienza. Più lavori importanti realizzi, più hai la fortuna di valutare prodotti nuovi e magari usarli per primo. Devi stare al passo con i tempi. Frequento fiere internazionali e cerco di tenermi sempre aggiornato su tutto. L’integrazione di materiali nuovi fa parte del lavoro dello scenografo e richiede sperimentazioni, perché non tutto ha una buona resa in televisione. Bisogna fare molte prove. Di solito, quando voglio provare un materiale nuovo, lo inserisco in una piccola parte della scenografia e ne verifico l’effetto, per poi eventualmente portarlo in grandi spazi”.
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Quanto incide la luce nella percezione della scenografia e nella sua resa volumetrica? La valorizza o tende a sovrastarla?
“In scenografia, soluzioni anche molto riuscite, se non illuminate adeguatamente, possono risultare piatte, perché la telecamera è come una macchina fotografica. Io cerco sempre di dare profondità alle pareti e, con l’aiuto dei giochi di luce, realizzo stratagemmi per cui lo spazio possa apparire distribuito su più livelli. La progettazione scenografica incorpora tantissimo materiale luminoso che non fa parte dell’impianto di lampade gestito dal direttore della fotografia, ma che può fare la differenza per particolari difficilmente illuminabili, come i profili. Per il Festival di Sanremo 2025 ho progettato una scala in cui dodici piloni sorreggono ognuno un gradino motorizzato: possiamo creare delle onde, farla diventare una piattaforma, muoverla come fosse un pianoforte, metterla tutta a terra e poi aprirla. È un’opera di architettura: per renderne la tridimensionalità ed evitare che l’inquadratura la schiacci, sono stati inseriti dei led che si chiamano COB, ovvero delle strisce luminose molto prestanti”.
Ti mette a disagio l’effimero?
“Lo amo, ne sono dipendente. Per me Christo è il più grande scenografo esistito: ha creato opere che poi sono sparite, per fortuna immortalate in immagini fotografiche. Anche i ricordi della televisione sopravvivono nei filmati. Comunque, non sono mai presente quando una scenografia viene smontata”.
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La scenografia si smonta subito?
“In generale, viene buttato tutto, a meno che non serva uguale per un’edizione successiva del programma”.
Nella tua visione, l’architetto – e l’architetto scenografo in particolare – è un artista?
“Mentre l’artista puro, per esempio un pittore, porta a termine l’opera grazie all’abilità di realizzarla con le proprie mani, l’architetto si affida alla manovalanza che deve riuscire a entrare nel progetto, capirne le finalità e realizzarlo di conseguenza. E’ dunque molto calato nella realtà. Quando il committente avanza richieste precise, l’architetto deve immedesimarsi nelle sue esigenze. Per la scenografia televisiva vale lo stesso principio e, analogamente, il risultato finale deve piacere a tutti, committente, pubblico e critici compresi”.
Un gran bel lavoro di squadra quello di Bocchini che ha visto la collaborazione di Marianna Ferrazzano, Flavia Bocchini per il Boc Studio, Gabriella Palazzo, Francesca Toscano e Vera Roman per la Rai.
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Le scenografie di Sanremo: un occhio al passato
Sanremo. Una manifestazione canora che riesce ad entrare nelle case degli italiani, anche i più scettici, incuriositi da uno spettacolo spesso coerente con lo spaccato sociale quotidiano. Basta pensare ai testi delle canzoni, ai monologhi dei co-conduttori, alla scelta degli ospiti per capire come sia possibile indagare l’attualità attraverso Sanremo.
Diventano emblematiche anche le architetture di scena, che, così come le canzoni, raccontano il nazional popolare e descrivono il cambiamento del gusto negli anni. Scenografi ed artigiani pronti a mostrare le miglior abilità per contribuire al successo della Kermesse.
Anni ’50:
Fino alla fine degli anni’50, infatti, il Festiva di Sanremo era un appannaggio della radio e veniva trasmesso dal Salone delle Feste del Casinò Municipale. Nel 1955 arrivano le telecamere e, con gentilezza e delicatezza, attraverso la discrezione del bianco e nero, si entra nelle case in punta di piedi. Basta dunque il logo RAI a padroneggiare l’inquadratura, ricchi drappi alle spalle dei cantanti e qualche fiore per assolvere al compito. Sono gli anni del boom economico, un paese di lavoratori che con ottimismo affrontano la ricostruzione. Bruno Munari, Giò Ponti, Franco Albini, Marco Zanuso e i fratelli Castiglioni sono i designer del momento e le case degli italiani si trasformano per soddisfare un modello di famiglia moderna, attraverso arredi modulari ed elettrodomestici.
Anni’60:
È dal 1964 che l’iconica scalinata diventa protagonista assoluta, quasi ad innalzare la dignità televisiva al livello di quella teatrale, aprendo così la strada alla modernità.
Il culmine nel 1967, anno del suicidio di Tenco, dove i pannelli traforati da bolli, pur arrivando a casa attenuati dal bianco e nero, esplodevano in sala con uno spiccato color granata. Una scenografia optical che strizza l’occhio alla pop art. Mike Buongiorno è alla sua quinta edizione e Lucio Battista esordisce come autore.
Il tempo corre veloce tra lo sbarco sulla luna e l’elezione di Kennedy, mentre le case degli italiani sono invase dalla plastica: dall’informale seduta della poltrona Sacco di Zanotta fino all’intramontabile lampada Flos dei fratelli Castiglioni.
Anni ’70:
Dirompenti poi gli anni Settanta, con la loro voglia di rottura con il passato, di cui Sanremo era l’emblema. Viene definito un evento fuori dal tempo e distante dai giovani. Inevitabile il trasloco all’Ariston nel 1977, con la scusa dei lavori di ristrutturazione del Casinò, ormai troppo piccolo per consentire il rilancio della kermesse.
La prima diretta a colori non è onorata da una scenografia di livello. Troppo spazio a disposizione che non viene gestito adeguatamente, risultando spoglio e povero. Pian piano il contrasto cromatico diviene preponderante a decretare la fine definitiva del bianco e nero.
Intanto nel gusto del Bel Paese si diffonde una predilezione per i motivi floreali, arredi lucidi e palette dal giallo al marrone, passando per il senape.
Anni ‘80
Sono gli anni Ottanta a rendere Sanremo sempre più uno spettacolo televisivo, lasciando la canzone in secondo piano. Via l’orchestra e tutto playback. E’ in questi anni che la scenografia assume un’autonoma rilevanza, divenendo essa stessa dialogante e preponderante. Neon, specchi, insegni luminose e ambiente disco diventano un must. Nelle case entrano oggetti vistosi e gli spazi si fanno sempre più open.
Anni ‘90
Torna l’orchestra negli anni Novanta, che diventa parte integrante dell’architettura di scena così come la scala. I palchi diventano più complessi, adatti al grande spettacolo condotto per lo più da Pippo Baudo, padrone di casa di molte edizioni. Scenografie complicate che non fanno eco alle abitazioni degli italiani che si semplificano rispetto alla ridondanza rumorosa del decennio precedente.
Anni 2000
Tecnologia ed effetti speciali primeggiano negli anni Duemila con impatti scenici forti e riconoscibili. Diventano così l’orgoglio delle firme d’autore. Schermi luminosi, innovazioni tecnologiche e configurazioni in movimento rendono l’ambiente dinamico e fluido. Persino la scala viene sostituita dall’ascensore nel 2010, facilitando la scesa della conduttrice Antonella Clerici.
Il design si fa più minimal e il bianco impera, aprendo le porte allo stile industriale, al country chic ed all’aria bucolica, quasi a voler bilanciare la velocità dirompente di internet e di cellulari che azzerano le distanze e impongono tempi di reazione immediati.
Negli anni rimane costante l’attenzione che la Nazione intera dedica alla kermesse, tra polemiche e pronostici, pollici su e pollici versi, in una concezione di grande show televisivo dove i look e i protagonisti vengono scandagliati da un pubblico severo. Poi tutto finisce e .. pronti per il prossimo anno!
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Trascrizione dell’intervista a Riccardo Bocchini a cura di Francesca Bizzarro, Architetto, Redazione OAR
Visual Editing: Giuseppe Felici
Architetto, Redazione AR Web