“Il giuramento di Pan. Per una fratellanza estetico-politica in architettura” di Gianluca Peluffo è uscito per Marsilio Editore a luglio 2021.
Peluffo è architetto e professore associato in Progettazione architettonica presso l’Università degli Studi di Enna Kore. Affronta da progettista e docente il tema della contemporaneità nel rapporto tra città, comunità e paesaggio attraverso un’architettura che definisce “genealogica”.
Il libro, presentato durante il Festival dell’Architettura SPAM 2021, è nato da un lavoro di tanti anni, un progetto scaturito lavorando e costruendo architetture, numerose nella fortunata carriera ormai pluridecennale.
La pubblicazione rappresenta il tentativo di coniugare studio e progetto, analisi e architettura.
Non si tratta di un libro teorico, quanto piuttosto di un pamphlet con componenti autobiografiche: rafforzare l’idea che la componente autobiografica sia fondamentale nel fare architettura, non come orizzonte autoreferenziale ma al contrario come possibilità di dialogo e di condivisione, è di fatto una delle idee chiave che guidano il lavoro di Peluffo.
In contrasto con l’idea di identità, il volume presenta il concetto di genealogia, che non è mai unica – le genealogie possibili sono infinite – e non è mai statica. La genealogia va sempre verso il futuro, si inserisce in una linea che è in perenne trasformazione.
Anche la condizione infantile, racconta l’autore, è uno dei temi principali trattati nel libro: una condizione straordinaria in cui non si distingue il sé dal mondo.; nel lavoro di Peluffo difatti, nei 25 anni di professione, si ritrova l’ambizione a tornare in quella condizione magica, infantile, cercando di non sentirsi distinti dal mondo esterno, sia in termini fisici che spirituali.
Dichiara infatti: “l’architettura è un corpo fisico e spirituale, che ha bisogno di inventare linguaggi per dialogare con il mondo, che esiste solo nel rapporto con l’esterno e con gli altri”.
All’eretico e alla genealogia è dedicata specificatamente l’ultima parte del libro, intitolata appunto “Dell’Eretico e del Genealogico”.
Tra queste pagine possiamo leggere: “Se l’architettura «è un enigma che si spiega con il cuore», questo enigma è un
ambiguo anacronismo costruito dalla compresenza di oggetti fisici, materici e poetici, di elementi, di caratteri,
capaci di innescare una nuova partenza, un inizio, continuo.
[…] Edifici in forma di enigmi rappresentano allora la strada della costruzione, per il recupero del rapporto con la
realtà del contemporaneo, per non arrendersi al presente e alla cronaca, per cattiva (e oggi lo è) o buona che sia.
L’enigma è necessariamente una forma di dialogo non pacificante: domande incomprensibili, risposte possibili,
dubbio che ci accompagna.
Il corpo dell’architettura è «dissenziente ed eretico» perché è per scelta estraneo al presente, ma cerca il buio del
contemporaneo. La sua plurima dislocazione nel tempo è una potente forma di dissenso. Proporremo allora alcuni
«accostamenti eretici» che accostino l’architettura italiana del dopoguerra all’arte italiana.
Gli accostamenti proposti dall’autore, frutto del coinvolgimento anche degli studenti di Iulm a Milano dove insegna,
rafforzano “la convinzione che la genealogia, l’idea di una convergenza di arti e architettura nel rapporto fra corpo e
spazio, in una composizione poetica e sempre innovativa di immagini, sia il territorio nel quale continuare ad
applicare le energie di progettista.”
Ritroviamo così, come accostamenti eretici, la «Flagellazione di Cristo» di Piero della Francesca (1460) e la seconda
stanza della Galleria delle sculture di Castelvecchio di Carlo Scarpa (1960) in cui si raffrontano ritmo, luce, posizione
delle figure, linee degli sguardi.
O ancora Il «Sogno di Costantino» di Piero della Francesca (1464) e la chiesa sull’Autostrada di Giovanni Michelucci
(1964) accostate in virtù del mito della tenda e dell’albero, presente in entrambi, come primi elementi della nascita di
una comunità.
Come modelli dell’anima eretica che definisce “propria dell’architettura italiana”, Peluffo individua ed analizza nel
libro due architetture e un manifesto genealogico. Si presentano dunque così il Salone della Vittoria alla VI Triennale
di Milano di Edoardo Persico, la Casa del Fascio di Giuseppe Terragni e la Casa Malaparte di Curzio Malaparte e
Adalberto Libera, in forma di letture progettuali, senza una specifica solidità scientifica.
Nel complesso si tratta di un libro bellissimo, agile, piacevole e, così come lo definisce con ironia lo stesso autore, “anche divertente”.
Federica Andreoni, Redazione AR Web