La pandemia ha determinato nel nostro subconscio uno stato di angoscia, non assimilabile alla paura. Gli architetti sono esseri umani e, come tali, concorrono alla percezione di questo sentimento latente. A differenza delle altre professioni, la nostra riesce in maniera evidente a percepire la paura: la paura di ritrovare negli sforzi millenari dell’architettura, ed indistintamente degli architetti, un banalissimo virtual tour.
La totale perdita di percezione, di socialità ed inevitabilmente la possibilità di entrare fisicamente nell’architettura, stravolgono le attività e le visioni degli architetti post COVID. Le nostre certezze crollano davanti al distanziamento sociale. Le attività degli architetti sono sempre state finalizzate alla società, sia che questa fosse costituita da due o più persone, sia che questa si manifestasse sotto forma di città, megalopoli o aggregati rurali.
Alle sue radici, l’architettura esiste per definire l’ambiente fisico in cui le persone vivono, ma l’architettura è più di un semplice ambiente costruito, è anche una parte gigantesca della nostra cultura. È una rappresentazione di come ci vediamo e di come il mondo ci vede.
Mentre il concetto di riparo è una cosa abbastanza semplice, lo stile degli edifici è stato originariamente modellato dal clima, dai materiali disponibili, così come e soprattutto dai valori, le attività e la cultura della società che li costruiva.
La pandemia appiattisce questo concetto virtuoso di diversità: siamo tutti uguali. O si salvano tutti o non si salva nessuno. Allora cosa ci angoscia così tanto? Ci stiamo chiedendo continuamente chi si salverà prima? Una corsa contro il tempo nella quale non riuscirà a gareggiare l’architettura. Perché la corsa coinvolge interessi e politica, denaro e interessi. La società non gareggerà. Ne subirà le conseguenze, ma non cambierà le sue caratteristiche. Per questo motivo gli architetti devono guardare al post COVID evitando di vivere durante la pandemia le angosce dei committenti attraverso richieste spesso complicate, gratuite e temporalmente impossibili. La situazione ci obbliga alla lucidità, alla consapevolezza, alla lungimiranza. Gli architetti che saranno in grado di evitare ristoranti con pannelli trasparenti o case con zone di lavoro dedicate allo smartworking, ma saranno in grado di inventare il modello sociale di una società già profondamente cambiata prima della pandemia, saranno coloro che riusciranno ad inventare nuovi materiali, nuove abitudini, nuovi modelli di socialità, sempre legati alle tradizioni, alle criticità, agli stili di vita, alle condizioni climatiche e alle caratteristiche ambientali.
Tutto finalizzato alla consapevolezza. Consapevolezza deve diventare il termine di riferimento. Consapevolezza sociale ed architettonica. Il distanziamento sociale durante il COVID dovrà affiancare il distanziamento architettonico pre-COVID, al fine di collaborare ad un modello di consapevolezza architettonico-sociale in grado di rendere le nostre società migliori da un punto di vista ambientale, umano e culturale.
L’architettura non riguarda solo la società ad un livello elevato, ma anche a un livello più personale e può avere un impatto profondo. Tutto, dalla disposizione dello spazio alle finiture dei materiali, può contribuire alla salute, all’umore e alla produttività della società.
I paesaggi sterili e concreti causano livelli di stress più elevati. Progettare edifici, così come città, per combattere questo fenomeno, che si tratti di un’architettura meravigliosa e maestosa o semplicemente di una connessione consapevole con la natura, aiuta gli esseri umani a sentirsi più rilassati, felici e coinvolti.
Società consapevole. Un’architettura ben progettata e la connessione che gli individui hanno con essa, non è qualcosa che è facilmente quantificabile. Tuttavia, conosciamo tutti la sensazione di entrare in uno spazio che sembra “giusto”. Non è solo funzionale, ma risuona positivamente ad un livello diverso, subconscio. Sebbene progettare per la funzione sia certamente cruciale, è importante attingere anche a quella connessione emotiva, poiché entrambi parlano al senso di sperimentare l’architettura. Non è solo una comprensione intellettuale, ma una connessione tra l’utente e lo spazio stesso in modo emotivo. Inventare architettura.
Paolo Aznuini
Architetto, Inventore
Referente Brevetti, Marchi, Modelli – Ordine Architetti P.P.C. di Roma e Provincia