«Volevo andare negli USA(…)ma non potevo non vedere prima l’Italia(…). Sono quindi venuto da turista, in motocicletta (sull’Aurelia incrociai Coppi e il Giro); arrivato a Roma, mi sono innamorato della città: Pensavo di vedere quasi esclusivamente edifici antichi ed invece c’era anche tanta architettura moderna».
«Ho trovato un clima culturale frizzante, il cinema, la pittura, l’architettura in pieno slancio ed un grande interesse(…) continui dibattiti sull’architettura razionalista e l’architettura organica, discussioni tra pittura astratta e pittura figurativa ».
«Pensavo sempre che, prima o poi, sarei partito per gli Stati Uniti, ma ad un certo punto avendo quasi finito i soldi (…) ho cercato un lavoro (…) ho visitato vari studi, da Quaroni a Ridolfi a Moretti e finalmente lo studio Monaco-Luccichenti, che era sicuramente quello con più lavoro e dove fui ben accetto.
Il lavoro mi sembrava molto interessante, i “patrons” dello studio simpatici e bravi. Lo studio era frequentato da personaggi incredibili: scrittori, poeti, “cinematografari”, pittori, scultori; conobbi Severini, Capogrossi, Turcato, Corpora, Cascella, Consagra e tanti altri. Dopo il lavoro ci si ritrovava tutti da Rosati».
Julio Lafuente
Leggi l’articolo di Antonio Schiavo, Julio Lafuente. Un romano d’adozione, su AR Magazine 121


Nelle fotografie:
Ippodromo di Tor di Valle; Julio Lafuente, con Ing. Gaetano Rebecchini, A. Biriaghi; Roma, 1959
© Archivio Privato Lafuente
A cura di Giuseppe Felici, Redazione AR Web