[Premessa al nuovo numero doppio della rivista ufficiale dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia: 𝗔𝗥 𝗠𝗮𝗴𝗮𝘇𝗶𝗻𝗲 𝟭𝟮𝟵-𝟭𝟯𝟬 / “𝗗𝗮𝗹 𝗱𝗶𝘀𝗲𝗴𝗻𝗼 𝗮𝗹 𝗺𝗲𝘁𝗮𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼. 𝗔𝗿𝗰𝗵𝗶𝘁𝗲𝘁𝘁𝘂𝗿𝗲 𝗶𝗺𝗺𝗮𝗴𝗶𝗻𝗮𝘁𝗲, 𝘀𝗰𝗿𝗶𝘁𝘁𝘂𝗿𝗲, 𝗹𝗶𝗻𝗴𝘂𝗮𝗴𝗴𝗶 𝗮𝗿𝘁𝗶𝗳𝗶𝗰𝗶𝗮𝗹𝗶”]
Il disegno d’architettura contiene una moltitudine di mondi, fatti di poetica immaginata e materia sognata. Si pone in un limbo, in limine, una zona di confine dove tutto è possibile, un giardino dai sentieri che si biforcano (Borges) dove da un lato c’è la pura fantasia, dall’altro c’è una realtà agognata, non ancora raggiunta e non sempre raggiungibile, dove spazio e tempo sono incerti – come una sagoma dai contorni evanescenti e non definiti –, dove le epoche si sovrappongono, il passato si confonde con il futuro e dove, viceversa, la proiezione verso il domani è solo una delle infinite possibilità e talvolta contiene la storia, l’arcaico, i segni di un mondo perduto e rinato magicamente nello spazio di un disegno fatto a matita, a china, a penna, con strumenti analogici o digitali, oppure con la scrittura dell’intelligenza artificiale.
In poche parole abbiamo molti modi, come d’altra parte è sempre stato e sempre sarà, per creare universi diversi dal nostro o per creare immaginari a supporto della realtà, visioni che forse un giorno non molto lontano si trasformeranno nelle prefigurazioni materiche delle nostre città e del nostro paesaggio.
Metaverso di carta
Disegnare, per qualsiasi architetto – e ancora di più per i maestri – vuol dire compiere un atto che, con lentezza, segno dopo segno, costruisce territori e scenari ancora invisibili, svelandone pian piano il significato, i contorni, l’essenza profonda. Come svelare un sogno.
“L’edificio del sogno è dunque una costruzione per immagini di un pensiero che, allo stesso tempo, contiene elementi di cosa ed elementi di parola. Il suo linguaggio è caratterizzato dalla partecipazione congiunta di due lingue, di due idiomi che, fondendosi secondo regole proprie del funzionamento onirico, contribuiscono a edificare una facciata, il contenuto manifesto, che racchiude al suo interno il pensiero latente”.
(Eugenio Tescione; Architettura della mente, Testo&Immagine, Torino, 2003, p.34; Universale di architettura n.123, collana fondata da Bruno Zevi).
Ciascun disegno d’autore crea un metaverso di carta, un universo psichico e materico che ha una sua autonomia, sganciato dal reale, esattamente come il racconto di uno scrittore porta il lettore all’interno di un meccanismo del tutto nuovo, un meta-mondo in cui veniamo letteralmente proiettati. Il mondo reale scompare, quando siamo rapiti dalle pagine di uno scrittore. Allo stesso modo, la realtà va in secondo piano quando vediamo un disegno d’autore o il dipinto di un grande pittore. L’universo è quello, la poetica di chi ha prodotto quell’opera avvolge chi guarda. I segni diventano significanti e quell’universo disegnato è capace di creare condivisione, un ponte tra la mente dell’autore e chi osserva quelle linee sulla carta.
Dal disegno al metaverso, dalle opere dei maestri del Novecento ai maestri del contemporaneo, ciò che resta è la capacità di declinare poetiche e creare ponti, per cui possiamo varcare un confine e passare nel mondo immaginario – o reale – di Paolo Portoghesi, Aldo Rossi, o di Maurizio Sacripanti, Carlo Aymonino, Alessandro Anselmi, oppure Franco Purini, Franz Prati, Arduino Cantàfora, Steven Holl, Zaha Hadid, solo per fare alcuni esempi contenuti in questo volume.
I tratti di ciascun autore fanno emergere il carattere del loro immaginario, che quasi sempre mischia ciò che è reale – o vuole diventare tale – con ciò che invece non vuole saperne di entrare nel mondo vero e materiale; come se in qualche modo fosse sempre in atto una lotta da parte della fantasia del compositore che, talvolta, non ha nessuna intenzione di trasformarsi in materia, decisa a rimanere in limine, nella sfera della creatività, come fosse musica che avvolge solamente di onde sonore l’ambiente nel quale si diffonde.
Poetica e surrealtà
Ed è forse questo aspetto musicale – dunque poetico – ciò che può rappresentare bene il passaggio dal disegno del Novecento al metaverso in cui siamo immersi, tra architetture immaginarie e scritture artificiali: dal XX secolo a oggi, è semplicemente cambiato il modo di suonare, come sono cambiati gli strumenti a disposizione. Ma la musica avvolge sempre le nostre vite. Ciò che davvero sta cambiando, è la capacità di una entità altra, la AI, di creare al posto nostro, grazie a nostre indicazioni scritte. Ma fino a quando la AI sarà da noi guidata e trasformerà in possibili tracce le nostre suggestioni, rappresenterà ancora uno strumento a disposizione per costruire il nuovo, con le chiavi di lettura di ciascuno. Certamente, è proprio nella incredibile moltiplicazione di infinite possibilità, la vera rivoluzione. E nella velocità con cui queste possibilità vengono create. Come del resto è rivoluzionaria la quantità di immaginari sovra-reali che oggi possiamo sognare, cosa che ci proietta in una dimensione di potenziale e perenne surrealtà.
Viviamo oggi in un meta-universo costituito da una incredibile quantità di immagini, di suoni, di possibilità, nel quale è sempre più difficile distinguere la realtà dalla finzione, come se Borges – il grande scrittore – avesse previsto anni prima il corso del nostro mondo, attraverso la sua letteratura.
“Quasi immediatamente, la realtà ha ceduto in più punti. Quel ch’è certo, è che anelava di cedere (…). Tlön sarà un labirinto, ma è un labirinto ordito dagli uomini, destinato a esser decifrato dagli uomini. Il contatto con Tlön, l’assuefazione ad esso, hanno disintegrato questo mondo (…). Suppongo che la biologia e la matematica attendano anch’esse il proprio avatar… Una sparsa dinastia di solitari ha cambiato la faccia del mondo. I lavori continuano (…). Il mondo sarà Tlön”.
(Jorge Luis Borges; Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, 1940; in Finzioni, Einaudi, Torino, prima edizione nei “Nuovi Coralli”, 1978, pp. 24-25).
Assistiamo quindi a un mondo in bilico, tra un futuro positivo ricco di innovazioni, sostenibili progressi, rivoluzioni in campo medico, architettonico e sociale, da un lato; oppure completa perdita di senso, cancellazione della storia, della memoria, del fare umano in favore di un universo fittizio, totalmente artificiale, artefatto.
Incanalare energie positive verso il progresso sembra dunque l’unica strada possibile di un processo ormai avviato, che non può tornare indietro, come l’entropia del nostro mondo non è reversibile. Ma può essere utile, esattamente come nel disegno d’architettura, non solo saper guidare il processo verso l’astrazione, ma anche saper distinguere il reale dall’irreale, cosa che sta diventando sempre più difficile: basta aprire Instagram per capire come, nel nostro campo, sia sempre più difficile, a volte, distinguere tra un’immagine sovra-reale e una reale, tra finzione e verità.
Tutto si confonde e, se ci pensiamo bene, le icone pittoriche che nascono oggi con l’intelligenza artificiale sono forse le immagini di un nuovo surrealismo contemporaneo che è in grado anche di creare nuove poetiche. Se riusciremo a guidare le scritture artificiali con saggezza, senza farci prendere dal delirio bulimico della sovraproduzione di immagini fantasy, forse il mondo non si trasformerà in Tlön e saremo in grado, ancora una volta, di indirizzare il nostro domani.
Operando questo salto logico, guidando e non subendo il processo, capiremo che l’origine di questo meccanismo nasce proprio dalla libertà – e dall’autonomia – del disegno dell’architettura, capace di costruire – allora come oggi – immaginari di fantasia e fantascientifici, prefigurando il futuro come è avvenuto con Archigram, con Lebbeus Woods, con Syd Mead, con Haus Rucker Co, Coop Himmelb(l)au e con moltissimi altri artisti-architetti-designer che hanno anticipato ciò che sarebbe avvenuto dopo anni, leggendo semplicemente fumetti e letteratura sci-fi.
Il disegno e le prefigurazioni si sono trasformate da analogiche in digitali, per poi passare nel limbo di oggi, fatto di sperimentazione del tutto nuova attraverso gli strumenti della AI.
Dove porterà questa evoluzione, non è dato sapere. Ma certamente il passaggio è in atto ed e irreversibile, starà a noi tentare di incanalare queste nuove risorse verso il miglioramento effettivo del pianeta Terra.
La lentezza del disegno analogico continuerà certamente a rappresentare un valido aiuto per indirizzare le visioni che verranno. Alcune di queste visioni saranno trasformate in realtà materica, con gli strumenti a disposizione, come è sempre avvenuto con i disegni degli architetti. Altre, come sempre, rimarranno finzioni poetiche, autonome, opere pittoriche.
Quindi, da Paolo Portoghesi a Massimo Gasperini, da Luigi Pellegrin ad Alessandro Melis, da Franco Purini a Francesca De Rosa, da Carlo Aymonino a Claudio Catalano, da Fabio Barilari a Marilena Ramadori, da Luigi Moretti a Cesare Battelli, fino ad altri autori-artisti-architetti, dal Novecento al prossimo futuro, il disegno d’architettura continuerà ad essere necessario per costruire nuovi immaginari e nuove poetiche, operando sempre di più una fusione tra linguaggi analogici, digitali e artificiali.
Perché le finzioni disegnate, come sempre, modificheranno il nostro mondo, moltiplicando visioni, per plasmare (sempre) ciò che sarà.
La costruzione del segno e la dimensione estetica
In questo articolo sono numerosi gli esempi (ma sono pochi rispetto al panorama complessivo) che descrivono il passaggio dal segno analogico al digitale, fino al segno digitale-artificiale.
Si tratta, sempre, della costruzione di un meta-mondo racchiuso nei bordi di un foglio o di uno schermo.
Perché in fondo ciò che rimane – costante nel tempo – è la dimensione estetica delle opere, una sostanza culturale che trasforma la forma in contenuto d’arte e quindi in sostanza culturale.
Per questo, dal passato a oggi, possiamo riflettere sulla dimensione estetica di ciascuna opera disegnata o digitale, fino a spingerci nella ricerca di questa sostanza estetica anche in quei quadri creati con l’intelligenza artificiale, alcuni dei quali stanno diventando non solamente virali, sui social network, ma contribuiscono alla costruzione di un nuovo immaginario d’arte e di architettura, come nel caso emblematico di Cesare Battelli che oggi è pubblicato sulle maggiori riviste nazionali e internazionali e le cui immagini rappresentano la copertina di un momento storico: non a caso Aaron Betsky – celebre professore di architettura, critico, storico, curatore e direttore di prestigiosi musei nel mondo – ha scelto proprio Battelli per la prima di copertina del suo bellissimo libro intitolato The Monster Leviathan. Anarchitecture, edito da The MIT Press, Massachussets Institute of Technology, Cambridge, 2023. Un volume che, da Piranesi a Chernikov, da Sant’Elia ad Archigram, mostra le superfici, i risvolti, le pieghe del mondo moderno, evidenziando un’architettura dell’anarchia che plasma utopie e distopie del contemporaneo. La chiave di lettura sembra essere sempre quella della dimensione estetica, a partire dalla quale l’arte e l’architettura sono in grado di modificare tutto, in modo talvolta rivoluzionario, evidenziando scenari altri rispetto al quotidiano.
“Il mondo che l’arte sottende non è mai quello della realtà quotidiana, ma neppure è un mondo meramente fantastico o illusorio: nulla contiene che non si trovi anche nella realtà – azioni, pensieri, sentimenti e sogni, potenzialità umane e naturali. Ciò nonostante il mondo di un’opera d’arte è «irreale» nel senso corrente del termine, è una realtà fittizia. Esso è «irreale» non già perché sia meno reale della realtà costituita, ma perché lo è di più, e anzi perché è qualitativamente «altro» da essa. In quanto mondo fittizio e illusione (Schein), esso contiene più verità della realtà quotidiana, mistificata nelle proprie istituzioni e rapporti, che della necessità fanno una scelta, e dell’alienazione una realizzazione personale. Solo nel «mondo illusorio» le cose appaiono come sono e come possono essere. Per questa verità (che solo l’arte può esprimere in forma sensuale) il mondo viene rovesciato: è la realtà, il mondo quotidiano ad apparire come una realtà inautentica, falsa e ingannevole”
(Herbert Marcuse; La dimensione estetica, 1977; Mondadori, collana Gli Oscar Saggi, Milano, 1978, p.71).
È dunque quel mondo illusorio, ieri come oggi: è capace di trasformazioni radicali, già contenute in nuce nelle opere d’arte o di architettura, in un romanzo, in un’opera teatrale, in un disegno, in un fumetto, in un film di fantascienza. E certamente in alcune delle opere realizzate con l’aiuto della AI. La dimensione estetica emerge sempre e contiene nuove possibilità.
Dalle visioni di Luigi Pellegrin che costruisce nuovi habitat, portando la sperimentazione distributiva e della forma verso linguaggi futuristici (immagine B); a Franco Purini e Laura Thermes che studiano una “città compatta”, fin dal 1966, e arrivano a delineare nuove poetiche architettonico urbane e nuovi linguaggi in cui talvolta la dimensione onirica serve per giungere a una realtà sognata (C-D); Carlo Aymonino che attraverso le sue visioni ricostruisce una classicità perduta, come se nel moderno fosse necessario sempre rileggere l’antica Roma e le sue dinamiche per costruire una nuova realtà (E); Paolo Portoghesi, il cui perenne confronto con la storia fa germogliare nuove architetture, nuovi libri, nuove riflessioni filosofiche legate alle forme primarie della Terra, alle dinamiche borrominiane costanti, al continuo studio di una Roma Amor ormai perduta nel tempo ma sempre viva nel sogno di architettura (F-G-H). E così via, fino a Franco Luccichenti che immagina nuove città, invisibili o reali (I-K); o Marco Petreschi la cui dimensione del sacro è importante per ragionare su Roma Eterna (J-P). Sono disegni – appena presentati in questo articolo – contenuti nella Pinacoteca permanente dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia, visibili a tutti, al secondo e terzo piano della Casa dell’Architettura nel complesso monumentale dell’Acquario Romano. Un patrimonio donato all’Ordine da tanti maestri, che testimonia la capacità del disegno di architettura di stupirci e di delineare quel mondo illusorio di cui scrive Marcuse: quei disegni rappresentano la realtà, l’immaginario in grado di cambiare tutto.
L’eredità è quindi quella impostata dai maestri e – spesso – proprio dai maestri romani, a cominciare da Luigi Moretti che con le sue riflessioni su matematica e architettura, sull’architettura parametrica e sulla capacità potenziale della forma di costruire nuove poetiche, è stato capace di dare senso alla dimensione estetica e spaziale che poteva cambiare le cose, anticipando con il linguaggio parametrico ciò che in effetti si è poi realizzato con le architetture del contemporaneo. Grazie a quel contenuto illusorio, grazie al sogno, a una dimensione estetica pluralista che vedeva nell’unione delle discipline l’unica strada possibile, Moretti ha prefigurato – tra altri maestri – le dinamiche di oggi (L-M-N).
Facendo poi un salto verso i nostri giorni, l’architettura disegnata ha diversi punti di riferimento, pubblicati in questo numero di AR MAGAZINE; e tanti altri che speriamo di pubblicare in volumi successivi, sempre sul tema del disegno e dei linguaggi artificiali.
Alcuni architetti-autori riprendono l’approccio dei maestri, quella attitudine al sogno, come fa ad esempio Massimo Gasperini che partendo dall’estetica di Aldo Rossi sviluppa – rielaborandola – una sostanza onirica, creando scenografie immaginarie nelle sue opere d’arte e di architettura (A; Q-R-S-T-U-V).
O Gianluca Evels, che del sogno prende l’essenza operativo progettuale (come farebbe Renzo Piano), disegnando nuovi scenari concreti per le nostre città (W). È per lui possibile dare senso a quel mondo illusorio proprio con le armi della concretezza di progetto.
Fino ad arrivare alla pittura, che fissa l’architettura e la conduce in un’altra dimensione spaziotemporale, in questo caso a metà tra iperrealismo e metafisica espressiva, come fa Marilena Ramadori che con le sue opere descrive bene diverse realtà estetiche di Roma e le porta in una dimensione altra, sospesa, quella della pittura (X).
Oppure Fabio Barilari – a metà tra la ricerca delle strutture primarie della forma architettonica, il fumetto e la ricostruzione progettuale – che individua in alcuni capolavori contemporanei, costruiti dai maestri dei nostri giorni, la possibilità di studio continuo sulla dimensione estetico spaziale che modifica le nostre città attraverso l’opera architettonica (Y-Z). Un processo che si riscontra anche nei lavori di Francesca D. De Rosa che rintraccia i segni del Novecento ridisegnandoli, studiandoli, evidenziando nuove strutture estetiche come nel caso del suo importante studio su Saverio Muratori e il celebre edificio dell’Enpas a Bologna, nel quale storia medievale e modernità sembrano fusi, per una nuova idea di città (O). De Rosa indaga così sulla caratteristica, quasi letteraria, di un frammento d’architettura.
“La letteratura e l’architettura condividono la dimensione dell’ideazione, dell’elaborazione e della realizzazione di nuove realtà. […] Pertanto, da un rinnovato incontro tra letteratura e architettura è nato questo volume che articola in tre parti la dialettica tra slancio utopico e minaccia distopica indissociabile dall’antropizzazione dello spazio civico in Italia”
(Peter Kuon e Marina Pagano (a cura di); Letteratura e architettura. L’antropizzazione dello spazio civico in un Italia in mutamento, Franco Cesati Editore, Firenze 2024; Introduzione, pp.9-10).
Fino a giungere alla nuova sperimentazione contemporanea, con un pluralismo di discipline che aiuta dunque a definire estetiche e strutture principali dei cambiamenti in atto. Perché è sempre la creazione di nuovi meta universi ciò che spinge gli architetti a guardare verso il futuro remoto, per delineare diversi scenari; come fa Alessandro Melis – in bilico tra utopia e distopia, tra fumetto, letteratura sci-fi e realtà – che attraverso la libertà del segno ricostruisce un espressionismo biodinamico, organico, e si pone come uno tra i primi autori – al mondo – ad aver capito le dinamiche dell’intelligenza artificiale prima dell’avvento della AI, capendo in modo profondo i cambiamenti della nostra società e quale direzione stava prendendo la dinamica della foma, comprendendo l’essenza rivoluzionaria della dimensione estetica (AA-AB-AC).
Guardare i disegni analogici di Melis, oggi, con i prompt della AI che abbiamo a disposizione, con Midjourney e con Chat GPT, fa capire l’evoluzione di questa immensa rivoluzione cui stiamo assistendo. È il primo passo verso l’astrazione delle scritture artificiali che, come già scritto, con Cesare Battelli trova uno dei massimi esponenti dei nostri giorni, in grado di creare e ricreare – forse con lo stesso approccio di Luigi Pellegrin – nuovi habitat con l’intelligenza artificiale, a partire da varie suggestioni (AD-AE-AF-AG). Sono proprio quegli habitat che Pellegrin disegnava analogicamente e che oggi, chissà, forse anche lui implementerebbe con Midjourney, unendo l’arcaico alla tecnologia futuristica, in modo onirico.
Perché il sogno, come dimostra anche Claudio Catalano, può ragionare in modo libero, creando il nuovo, andando avanti e indietro, prendendo qui e lì segni immaginari e costruzioni materiche, esempi su esempi che il tempo lascia sul suo cammino; il sogno può anche partire dalla storia, per rielaborarla, partendo ad esempio dall’illuminismo di Boullée, capendo che da lì inizia un rivoluzionario fare illuminista che forse può spiegarci perché oggi c’è l’intelligenza artificiale. È un nuovo linguaggio iperilluminista, per inventare rinnovati scenari filosofici e architettonici; dimostra che il pensiero è in grado di scavare nei cambiamenti in atto, a partire dal nostro passato, trasformandolo (AH-AI-AJ-AK-AL).
Illuminismo e rivoluzione artificiale
Il Cenotafio di Newton è un progetto utopico – dedicato a Isaac Newton – redatto nel 1784 dall’architetto francese Étienne-Louis Boullée.
In questo nuovo labirinto costituito dalla moltiplicazione esponenziale degli immaginari, un rinnovato spirito illuminista contemporaneo potrà costituire un aiuto concreto per le prefigurazioni che saremo in grado di creare. L’approccio illuminista permetterà al nostro sguardo di procedere verso muove sperimentazioni.
Per questo motivo, ripartire dallo sguardo di Boullée sembra fondativo, perché è riuscito a unire simbolicamente, ante litteram, la scienza sperimentale all’architettura sognata, inventando nel ’700 un mausoleo immortale dedicato a un grande pensatore, matematico, fisico, astronomo, filosofo, teologo inglese. Uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi.
Mettere insieme diverse discipline, con costante eclettismo e pluralismo del pensiero, sembra essere la chiave per guidare i processi in atto ai nostri giorni. Dunque unire la matematica e i processi algoritmici della AI con la scrittura, con la descrizione degli oggetti e delle architetture che vogliamo creare per costruire “prompt” capaci di generare immagini sperimentali; unire la lentezza di un segno a matita con la capacità matematica di inventare nuovi mondi artificiali; riunire i saperi e farli convergere verso il meccanismo generativo dell’intelligenza artificiale per trovare nuovi sistemi green che riescano a depurare il nostro mondo, oppure verso il progresso in campo medico, o verso innovazioni tecnologiche, architettoniche, sociali; verso la ricerca di nuove metodologie per trovare, raggiungere, abitare nuovi pianeti, nuove galassie, tutto ciò rappresenta quello spirito illuminista, rivoluzionario, cui assistiamo ogni volta che guardiamo il Cenotafio di Newton, anche nelle rielaborazioni contemporanee di Claudio Catalano. Perché la sperimentazione, oggi, come del resto l’intelligenza artificiale, parte dal concetto fondamentale che tutto può essere trasformato e diventare altro.
In questo pluralismo estetico, formale e filosofico, che tutto trasforma impedendo la fossilizzazione del pensiero, risiede la grande ricchezza dei nostri tempi che, se guidata eticamente, porterà certamente a nuovi, insperati, rivoluzionari scenari nel prossimo futuro.
“Pensai a un labirinto di labirinti, a un labirinto sinuoso e crescente che abbracciasse il passato e l’avvenire, e che implicasse in qualche modo anche gli astri. Assorto in queste immagini illusorie, dimenticai il mio destino d’uomo inseguìto. Mi sentii per un tempo indeterminato, percettore astratto del mondo”
(Jorge Luis Borges; Il giardino dei sentieri che si biforcano, 1941; in Finzioni, Einaudi, Torino, prima edizione nei “Nuovi Coralli”, 1978, pp. 83-84).
Marco Maria Sambo
Segretario dell’Ordine Architetti P.P.C di Roma e Provincia / Direttore editoriale di AR Magazine /
AR Web / Pubblicazioni OAR
Nell’immagine di copertina: Massimo Gasperini | Concatenazioni Architettoniche / XXXIII-II, 2015 | Disegni colorati su taccuino – Visioni tridimensionali prospettiche
© AR Magazine – Rivista dell’Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e Provincia / Vietato riprodurre testo e immagini
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Visual Editing: Giuseppe Felici
Architetto, Redazione AR Web