(…) Certo anche a Ipazia verrà il giorno in cui il mio solo desiderio sarà partire. So che non dovrò scender al porto, ma salire sul pinnacolo più alto della rocca ed aspettare che una nave passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno. (Italo Calvino, Le città invisibili)
Italo Calvino è stato una grande descrittore e inventore di paesaggi, di spazi e di città, reali e immaginarie. Letto e amato dagli architetti, che ripetutamente hanno voluto rappresentarne Le città invisibili(1972), in realtà tutta la sua produzione è profondamente segnata da un discorso sul rapporto cultura-natura, declinato in livelli che riguardano la descrizione pura quanto una prefigurazione spaziale e progettuale, dove affianco alle preoccupazioni per l’ambiente, emerge anche una inequivocabile adozione di forme di paesaggio proprie dell’autore.
Calvino riteneva Le città un passaggio centrale del suo lavoro: “Il simbolo più complesso, che mi ha dato le maggiori possibilità di esprimere la tensione tra razionalità geometrica e groviglio delle esigenze umane (…)”. Nel rappresentare utopia, sogno e incubo, desiderio e bellezza e infinite altre suggestioni spesso contrapposte, Le città furono per Calvino quello che M. Belpoliti (2005) ha definito come “diario della sua navigazione nel labirinto della contemporaneità”.
Pur se la descrizione di ambienti è una componente fondamentale in ogni forma narrativa, in Calvino ciò supera la necessità di contestualizzazione, al punto di trasformare paesaggi e città da fondali in elementi centrali di scrittura e protagonisti del testo. E in questo si configurano anche l’adozione di un linguaggio e di forme specifiche dell’autore. Calvino in questo senso è stato una sorta di “paesaggista involontario” (Di Salvo, 2014).
Ciò è evidente ne Il Barone rampante (1957), dove il bosco è un luogo sociale sul quale rifondare la società, avvicinandoci molto ai discorsi attuali sulla urban forestry. C’è anche descrizione botanica profonda, ma anche la narrazione di uno dei più importanti passaggi della storia del giardino, dalle forme neoclassiche a quelle naturalistiche dei parchi anglosassoni. Il barone Cosimo cerca la libertà trascorrendo una vita in tutto omologa a quella di un paesaggista, che inizia con la conoscenza della Natura per arrivare a trasformarla e pianificarla, fino a costruire una visione politica sulla città-bosco.
In alcuni passaggi teorizzò un discorso sul paesaggio. Nel 1963 sostiene che “La resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone”; nel 1964, parlando del Barone, sosterrà che in esso si cela un secondo libro, di “ri-invenzione d’un paesaggio attraverso la composizione, l’ingrandimento e la moltiplicazione di sparsi elementi di memoria”. Calvino si è ripetutamente espresso in termini di “composizione di paesaggio”, esplicitando così intenzionalità creative. I passaggi dove questo discorso si fa più forte sono le descrizioni dei giardini di Kyoto (Collezioni di sabbia, 1984) e in Dall’opaco (postumo). Nei primi identifica i principi organizzativi dello spazio, del movimento e della percezione, connesse a una origine compositiva di reciprocità, che lega rappresentazione, espressione poetica e paesaggio. Nel secondo Calvino si pone alla sommità di paesaggi terrazzati verso il mare e si domanda “che forma ha il mondo” o “quante dimensioni ha lo spazio” rispondendo con una descrizione quasi scientifica ma selettiva, dove l’immagine è una composizione di terrazze su terrazze, di linee spezzate e di elementi discontinui, di tratti di anomalia rispetto a quelli di ordine, che compongono un grande teatro il cui fondale è l’orizzonte.
Fabio Di Carlo
Architetto e Paesaggista, Sapienza Università di Roma
Membro dell’Executive Committee di ECLAS, European Council of Landscape Architecture Schools
Presidente IASLA – Società Scientifica Italiana di Architettura del Paesaggio
Su Italo Calvino, Fabio Di Carlo ha scritto:
– Paesaggi di Calvino, Libria, 2013
– “Italo Calvino: From Literature to Landscape Creation”, in Creaction/Reaction ECLAS Conference, Londra 2017
– “Giardini e paesaggi di Cosimo”, in Bollettino di Italianistica, 1/2019.