Atti del Convegno “Abitare la Terra” – A cura di Daniela Gualdi e Flavio Trinca
Si ringraziano gli ospiti intervenuti per la preziosa partecipazione.
Si ringraziano Simona De Sanctis, Antonietta Salustri e Laura Tondi per il contributo alla trascrizione degli atti.
I SESSIONE
Si informano i lettori di AR Web che saranno presto pubblicate anche le altre sessioni del convegno.
Saluti Istituzionali
Christian Rocchi
Porto i saluti di tutto il Consiglio, sono Christian Rocchi vicepresidente del Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Roma. Questo Convegno è un evento importantissimo, da supportare in tutti i modi, ci ricorda la necessità di un cambio di passo che dovremmo cercare di fare come Paese.
Il tema della sostenibilità ambientale deve diventare la base di un nuovo sistema economico, è il momento di agire, a ricordarcelo sono i cambiamenti climatici già in atto.
Bisogna entrare in un sistema, quello che chiamano new deal economico, basato sulla sostenibilità di tutti gli interventi. Il vecchio sistema economico, tuttora imperante, è purtroppo basato su libero mercato e liberismo, come se il libero mercato avesse il potere magico di risolvere qualsiasi tipo di problema. A distanza di tantissimi anni si è capito che questo potere magico non lo ha avuto o l’aveva soltanto in teoria. Siamo già all’interno di cambiamenti climatici rilevanti: innalzamento dei mari, uragani devastanti, basti pensare alla catastrofe che ha sommerso New York nel 2015. A tal proposito, ricordo un progetto molto interessante di BIG, la Trainline; questo ci deve far riflettere: se c’è necessità di un progetto di questo tipo, la questione dei cambiamenti climatici è già imperante, già in azione.
La nostra prossima sfida non è una sfida che riguarda solo il futuro ma è una sfida urgente che necessita di un cambio radicale di visione, di una nuova educazione all’ambiente.
Ogni attività, sia pubblica che privata, ricordando anche l’articolo 4 della nostra Costituzione, deve avere un obiettivo, il progresso comune. L’ambiente costituisce un patrimonio comune e come tale deve esser tutelato, non può essere terreno di conquista.
Ricordo che in uno degli ultimi incontri abbiamo parlato della terra dei fuochi, degli incendi boschivi che soltanto in Italia negli ultimi 7/8 anni hanno interessato una superficie pari a tre volte la Sardegna. E’ necessario dunque entrare in una nuova fase, nella quale anche la politica si assuma le sue responsabilità e ci porti finalmente fuori da questa logica nella quale il profitto regna sopra ogni altra cosa. Ci vuole un sistema economico diverso e ci vogliono anche passi concreti per contrastare i cambiamenti climatici. Dobbiamo intraprendere e sostenere tutte quelle azioni che, già nell’immediato, possono arginare questa deriva. Oggi ho sentito di un accordo a livello europeo per un taglio delle emissioni dei gas serra del 55%, si tratta di un’azione importante, ma contestualmente anche l’Italia si deve muovere, per la realizzazione di un sistema economico concretamente sostenibile.
Parlo di un’ultima cosa, di rifiuti, è necessaria una riorganizzazione delle leggi a riguardo, per trasformare il rifiuto in una risorsa importante, solo così si potrà evitare quanto accaduto negli ultimi anni in tema di incendi, inquinamento, ecc.; è un sistema economico che non funziona più e sul quale dobbiamo intervenire rapidamente.
Auguro a tutti un buon lavoro.
Introduzione ai lavori
Flavio Trinca
Buongiorno a tutti, parto dai ringraziamenti: in primo luogo ringrazio la mia amica e collega Daniela Gualdi con cui abbiamo organizzato questo convegno, l’Ordine degli Architetti per i mezzi e per il tempo messi a disposizione, la nostra tutor Nives Barranca, Christian Rocchi per la bella introduzione e Roma, la città che ci ospita che ieri ha compiuto gli anni; questa giovane-vecchia signora ha 2.747 anni e ancora ci offre tantissime occasioni di stimolo e riflessioni.
Entriamo nel merito del Convegno, che ci ha visti impegnati diversi mesi alla sua organizzazione; vi sono diversi spunti di riflessione – estesi e aperti ad approcci multidisciplinari – sul tema della trasformazione dei modi di abitare la terra da parte dell’umanità nella storia e sulle difficoltà che il pensiero umano dovrà affrontare nel presente e nell’immediato futuro, coinvolgendo inevitabilmente l’identità stessa dell’architetto, quale prefiguratore degli ambienti futuri.
Il convegno si propone quale forma di partecipazione attiva dell’OAR alla Giornata Mondiale della Terra, che le Nazioni Unite celebrano ogni anno, un mese e un giorno dopo l’equinozio di primavera, il 22 aprile, è un evento che coinvolge oltre 190 nazioni e circa 1 miliardo di persone in tutto il mondo. Il principio su cui si basa la Giornata della Terra è che tutti, a prescindere da etnia, nazionalità, sesso, condizione economica, religione, hanno il diritto etico a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile.
L’impatto che l’Homo sapiens ha sull’equilibrio del pianeta, è talmente significativo da definire Antropocene l’epoca geologica attuale. All’essere umano e alla sua attività sono oggi attribuite le principali modifiche territoriali, strutturali e climatiche, la diminuzione delle biodiversità, nonché l’omogeneizzazione progressiva della biogeografia e degli ecosistemi del mondo. Inoltre l’attuale situazione pandemica ci ha portato a riflettere sulla necessità di un ripensamento del modo in cui l’uomo si relaziona con l’ambiente, nel tentativo di (ri)costituire il difficile equilibrio tra territorio, città e paesaggio.
Il nostro auspicio è che questo importante convegno internazionale rappresenti per l’ Ordine degli Architetti e per i suoi iscritti anche un impegno per il futuro, verso un diverso approccio – più “sostenibile” in senso esteso alla professione ed alla cultura del progetto, dove arte, architettura, urbanistica e paesaggio possano trovare elementi di incontro interdisciplinare, indirizzati verso una nuova sensibilità e coscienza etica, capace di individuare nuovi paradigmi dell’abitare, costruire e pianificare, nel rispetto del pianeta che ci ospita e della qualità di vita delle sue genti.
Consideriamo quindi l’evento della giornata di oggi solo quale primo momento di un discorso più ampio che potrà essere ulteriormente sviluppato in future occasioni di incontro e confronto, assumendo, simbolicamente, la Giornata Mondiale della Terra quale rinnovo periodico dell’impegno di questo Ordine e di tutti i sui iscritti verso un mondo più equo, sostenibile e in definitiva, più bello.
Introduzione alla prima sessione
Daniela Gualdi
Grazie Flavio, prima di passare alla presentazione della nostra giornata di lavoro in cui avremo cinque sessioni e ben 22 ospiti da molti paesi del mondo, con diverse professionalità e competenze, inizio con qualche considerazione personale. Abbiamo lavorato alla preparazione del Convegno durante questo particolare inverno, con l’esatta percezione di quanto – gli accadimenti per la pandemia in corso – abbiano drammaticamente evidenziato le difficoltà che da tempo avvertiamo e che richiedono oggi una notevole capacità di reazione. L’incertezza attuale non è dovuta tanto alle limitazioni delle libertà individuali, che sono un dato di realtà, quanto alla maggiore consapevolezza per ciascuno di noi, questo accadimento epocale apre il campo ad una ricerca irrinunciabile e indifferibile – quella di una società che possa comprendere la realizzazione della realtà umana, nella sua identità piena.
A riguardo un’ amica, che ringrazio molto, mi ha proposto di getto il riferimento al titolo di un noto film di Kubrick, “Eyes wide shut”, che come sapete non ha un significato letterale (occhi spalancati chiusi). Si tratta invece di un gioco di parole su occhi che “vedono” quando sono chiusi: quello che viviamo nella nostra immaginazione, nel pensiero e nella fantasia è più significativo di quello che vediamo con gli occhi aperti sulla realtà materiale, o che percepiamo con i cinque sensi.
Quindi se la pandemia ha condizionato il nostro modo di vivere, ha tuttavia stimolato molti di noi ad osservare più a fondo la condizione umana sul pianeta, ad interrogarsi sulle trasformazioni ormai necessarie all’umanità intera. Il mondo globalizzato ha creato legami complessi e interdipendenze tra realtà economiche, politiche, sociali, culturali e ambientali. Eppure, mai come oggi, nella storia recente, emergono tante disuguaglianze e diversità: le prime, possiamo riassumerle nella smisurata distanza tra povertà e ricchezza nonché nella contrapposizione tra oppressi ed oppressori. La diversità è invece la risposta che cerchiamo nel confronto tra culture, identità, linguaggi, nel rapporto tra uomini e donne.
“Abitare la terra: ambiente, città, paesaggio”, con questo convegno vogliamo proporre una pluralità di esperienze e confronti, attraverso il contributo di grandi artisti, studiosi e progettisti, di diversi paesi e culture, che oggi si alterneranno con noi. Questa giornata di studi, in diretta streaming, è suddivisa in 5 sessioni di lavoro che ripercorrono i modi di abitare la terra da parte dell’umanità nella storia e nella difficoltà che l’uomo dovrà affrontare nel presente e nell’immediato futuro.
La prima sessione è – “L’Alba dell’Uomo[1]”. Il rapporto dell’uomo con l’abitare la terra alle origini dell’umanità – di cui abbiamo qui, in presenza, i nostri tre graditissimi ospiti che a seguire presenterò.
La seconda sessione è -“Dalla mia terra alla terra[2]”. L’ Antropocene: l’impronta ecologica delle attività umane – e con la terza sessione chiudiamo i lavori di questa mattina: “Casa come me[3]”. Città, paesaggio, architettura.
I lavori riprenderanno verso le 14,30 con la quarta sessione – “La grande cecità[4]”. The Climate Change: verso la sostenibilità ambientale, sociale, economica e culturale – e chiuderemo con la quinta sessione: “Vedere come una città[5]”. Il contributo dei progettisti al futuro della civiltà umana.
Mi limito a parlarvi delle tre Sessioni mattutine: la proiezione di immagini introduce le tavole rotonde, articolate lungo questo percorso temporale e tematico, con il contributo dell’archeologia, della regia, della fotografia, della storia dell’arte e dell’architettura, perché vogliamo narrare il rapporto dell’uomo con l’abitare la terra, dalle origini dell’umanità, seguendo l’evoluzione dell’arte del costruire quale esigenza umana, in relazione al paesaggio ed all’ambiente. Quindi giungeremo con la terza tavola alla contemporaneità, in cui l’impronta ecologica delle attività umane ha assunto questo valore preponderante e che comprende gli sconvolgimenti ambientali, economici, sociali e politici in atto.
Presento dunque gli ospiti della prima tavola: Gaia Ripepi, archeologa, Massimo D’Orzi scrittore e regista, coordina Simona Maggiorelli, giornalista professionista, Direttore Responsabile del settimanale LEFT, che in questo anno mi ha accompagnata stimolando in me tante riflessioni per questo convegno, quindi un ringraziamento personale a Simona, perché senza Left forse questo convegno non sarebbe nato.
Simona ha collaborato con numerosi quotidiani italiani come critico d’arte e cronista culturale; nella redazione di LEFT dal 2002 si è occupata di cultura e scienza; tra i suoi libri ricordiamo “Attacco all’arte. La bellezza negata”, edito nel 2017 da L’Asino d’oro edizioni. Cito quanto di lei scrive nella prefazione Tommaso Montanari, storico dell’arte: “una figura non comune nel panorama del giornalismo italiano. È decisamente raro che la competenza e l’interesse in fatto di storia dell’arte e patrimonio culturale si uniscano a uno sguardo radicalmente critico. Le pagine di questo libro sono un antidoto efficace al veleno dell’interessato disimpegno imperante”. L’autrice nel suo libro ha indagato in particolare il linguaggio delle immagini, e sull’attacco all’arte da parte della religione e della ragione, che si è manifestato soprattutto contro quelle immagini silenziose che parlano attraverso un linguaggio non razionale.
Allora, per avvicinarci a quelle immagini silenziose, proponiamo un breve montaggio da tre film[6]per poi passare la parola a Simona.
Proiezione di estratti da: Stanley Kubrick, “2001: Odissea nello spazio” (1968), scena iniziale dell’Alba dell’uomo; Werner Herzog, “Cave of forgotten dreams” (2010), riprese della Grotta Chauvet in Francia; Mario Martone, “Il giovane favoloso” (2014), l’Infinito di Leopardi recitato da Elio Germano
Coordina: Simona Maggiorelli
Buongiorno a tutti, grazie di essere qui oggi a questo incontro. I filmati che abbiamo visto ci riportano immediatamente dentro il tema di questo nostro tavolo, in particolare il secondo frammento, il film di Herzog “Caves of forgotten dreams” perché è girato a Chauvet; avete visto nelle immagini quanta potenza espressiva ci fosse in quelle opere, ci fanno immediatamente capire che l’umanità è nata e ha mosso i primi passi a cominciare da una esigenza di espressione artistica. L’arte è, potremmo dire, antropologicamente costitutiva della nostra specie e colpiva anche dai frammenti che si sono visti, la ricchezza e la raffinatezza estetica, l’elaborazione delle immagini; ad esempio nelle sequenze di leonesse, che abbiamo riproposto sulla copertina del libro, riconosciamo un’ espressione umana in quei volti, infatti non sono musi, come se l’artista avesse trasferito qualcosa della propria realtà interna e avesse animato ed umanizzato questi animali.
Si parla in quella fase di un’arte del Paleolitico Superiore in cui prevale l’elemento figurativo, però non è mai riproduzione della realtà, è creazione di immagine; questa potenza viene da questo e abbiamo visto anche come straordinariamente si orchestrassero le varie immagini, quello che colpisce è che si tratta del frutto di un’opera collettiva. Immagini che si sono realizzate in più periodi diversi, per cui gli artisti che arrivavano successivamente si raccordavano con le opere preesistenti, emerge dunque un’ orchestrazione, un palinsesto del tutto irrazionale ma allo stesso tempo armonico che ci comunica qualcosa di profondo.
Poi abbiamo visto l’uso sapiente del colore, l’uso delle linee, la capacità di sfruttare la matericità delle pareti o le ombre, Massimo D’Orzi ci dirà poi di più anche dell’uso della luce, perché dipingevano ovviamente avendo il fuoco. Allora tutto questo ci fa interrogare sul perché i nostri antenati si rifugiavano in questi posti dove peraltro non vivevano, gli studi dicono che periodicamente si ritrovavano in queste aree per stare insieme, per scambiarsi informazioni tra i vari gruppi, sicuramente anche per un’ esigenza di realizzazione di sé che li spingeva ad inoltrarsi in cunicoli profondissimi per dipingere. Nel libro ho voluto suggerire l’ipotesi che fosse, in qualche modo, anche il tentativo di ricreare la dinamica della nascita, è dal buio compaiono le immagini; l’altra cosa che mi piaceva sottolineare, è questa suggestione che ho ripreso anche nel libro, venuta dallo psichiatra Massimo Fagioli, che fossero state le donne ad avere un ruolo preminente nella creazione dell’arte, forse anche nel rapporto con il bambino, giocando con il bambino, ipotesi suggestiva che poi è stata comprovata da studi più recenti.
Non voglio rubare tempo ai nostri ospiti, vorrei coinvolgere subito Massimo D’Orzi che in questo periodo sta lavorando ad un film che si chiama “Miraggi” e che ha come protagonista una giovane archeologa francese nel viaggio nell’Italia del sud. Massimo D’Orzi è noto per molti film, “Adisa”, è quello che ci sta più a cuore e aspettiamo di vedere il suo “Bosnia Express”, è anche scrittore, ricordiamo il suo romanzo “Tempo imperfetto”, edito dall’Asino d’oro.
Massimo D’Orzi
Grazie a Simona Maggiorelli, agli organizzatori Daniela Gualdi e Flavio Trinca per l’invito e complimenti per questa ricca giornata di spunti di riflessione e di interrogativi. Vorrei anche ringraziarvi, lo dico da regista, per la selezione di film che avete proposto.
Io vorrei partire proprio dalle sequenze dei film appena visti, soprattutto da un genio come Kubrick che ha l’idea di portare la macchina da presa a circa 4 milioni di anni fa, per cercare di indagare e comprendere come sono andate le cose a quel tempo, l’alba dell’umanità, cosa è successo in quella che possiamo considerare allo stesso tempo una scena capitale o una scena del crimine.
Quello che accade in realtà è qualcosa di ancora più complesso; cerchiamo di ripercorrere questi 20 minuti: 3 minuti iniziali di suono su fondo nero, poi seguono 17 minuti in cui Kubrick ci porta ai tempi dell’australopiteco, in una situazione abbastanza armoniosa in cui vivono questi scimmioni-umanoidi. Vi sono due gruppi a contendersi una piccola fonte d’acqua, ma a parte qualche dissapore, si vive in un rapporto naturale anche con l’ambiente.
Dopodiché, una bella mattina – al risveglio – e siamo circa al dodicesimo minuto, compare questo strano oggetto, un imponente monolite nero che effettivamente stravolge completamente le cose, sembra dire Kubrick, cambia completamente il corso della storia e il percorso dell’umanità.
C’è un’intera letteratura che ha cercato di interpretare queste poche sequenze iniziali di uno dei più celebri film della storia del cinema. Sappiamo anche che lo scrittore e sceneggiatore del film, Sir Arthur Charles Clarke, ha dichiarato che nella sua idea il monolite fosse opera di alieni.
Altre interpretazioni forse più vicine alle idee del regista, vedono nel monolite la rappresentazione della Ragione, entità che si è manifestata ad un certo punto della storia per indicare il cammino dell’umanità, determinando quel salto di specie. Altri hanno voluto vedere nel monolite nero un’entità superiore, il Divino, cioè qualcosa che dall’alto infonde nell’uomo – il soffio vitale – che lo distinguerà dal resto degli animali. Qualsiasi sia l’interpretazione, sappiamo che quel momento segna il punto di non ritorno per l’umanità. L’alba dell’uomo, la sua nascita, coinciderebbe con la comparsa di un’immagine, una forma, una cosa che in natura non esiste.
Nella scena successiva vediamo che un umanoide (fig. 1), ricordando il monolite, che ha l’effetto di un’ illuminazione, inizia a usare le ossa di animali in senso razionale, immaginando che quell’osso possa essere utilizzato come utensile, lo stesso utensile servirà poi a commettere il primo delitto nella storia umana.
Questo è quanto vediamo nel film, o meglio le interpretazioni vanno in questa direzione: è la Dea Ragione che piomba sull’uomo e gli fa muovere la mano. Poi vediamo che l’osso lanciato in aria diventa un’astronave, con una straordinaria e bellissima ellisse di quattro milioni di anni, come se il regista raccontasse con due inquadrature la storia dell’uomo.
Ma ora proverei a dare, a cercare un’altra interpretazione. Che cosa è questo monolite nero?
E ‘una forma che in natura non c’è, un’idea, un’immagine che in natura non esiste. E se provassimo a pensare che non è qualcosa che viene da alieni, da qualche divinità superiore, ma che invece possa essere qualcosa che ha creato l’uomo, qualcosa che è frutto della creazione umana?
Allora bisogna capire la reazione che ha lo scimmione-umanoide successivamente, quando ad un certo punto si scompone, inizia a diventare feroce, a spaccare tutto; attraverso la stessa reazione scomposta giunge ad uccidere altri della specie che non hanno seguito quel percorso, perché sono rimasti erbivori, questi non hanno nessuna arma contundente e diventano le prime vittime della nuova specie umanoide. Kubrick suggerisce che possa essere proprio quella specie violenta a determinare l’evoluzione dell’uomo, ma è davvero così? In realtà, e Simona Maggiorelli ce lo racconta molto bene nel suo libro[1], quello scimmione-umanoide nella storia umana lo abbiamo visto molte volte. Quel barbuto che reagisce alla comparsa delle immagini, lo abbiamo visto mascherato da filosofo, che considera l’arte come sub-specie umana, lo abbiamo visto con i primi cristiani che distruggevano le opere d’arte, ad Alessandria uccidere Ipazia, nel ‘500 e nel ‘600 reagire alle opere di Caravaggio, di Giordano Bruno. Lo abbiamo visto tutte quelle volte in cui la comparsa del monolite ha determinato quella reazione aggressiva del barbuto scimmione-umanoide. Questa potrebbe essere la grande intuizione di Kubrick.
In realtà la lettura che ne è stata data è un’altra, vogliono far credere che l’evoluzione dell’uomo sia stata di colui che per reazione, di fronte al monolite, comincia a distruggere, non solo quello che ha intorno, appunto l’ambiente, ma comincia ad uccidere. E allora possiamo pensare che in realtà quel monolite sia stato creato dall’altro gruppo pacifico, che non ha niente di violento, come le tante donne che poi ritroveremo a dipingere nella grotta di Chauvet (fig. 3); donne che, nella storia, sono state spesso vittime, le donne come gli artisti, perché hanno dovuto resistere al conflitto e alla reazione dei barbuti, che ritroviamo anche nel nazismo e nel comunismo. Ecco dunque cosa determina, nella mente di alcuni, la reazione alle immagini, al monolite.
Può essere interessante provare ad immaginare che l’evoluzione umana non sia stata quella raccontata da chi prende il potere con le armi, con le asce, che poi costruisce intorno alle opere d’arte templi, altari, religioni. La storia ci racconta che le opere d’arte sono sempre state appannaggio di chi deteneva il potere, di chi conosceva bene la potenza delle immagini, del monolite, che come abbiamo visto, ha determinato il salto di specie.
Per dire che se c’è stato un salto, questo non è stato in chi afferra un’arma e comincia ad usarla come grimaldello, come strumento di potere, per far si che gli altri si genuflettano, come è stato nel corso della storia, ma invece sotterraneamente è nell’altra specie, quella che ha creato il monolite. E come sappiamo qualche milione di anni dopo la ritroviamo silenziosamente a Chauvet, in tantissime altre grotte nell’area franco-cantabrica e in tutto il mondo. In quel momento l’uomo comincia a realizzare opere d’arte, come quelle che vediamo anche a Lascaux, dall’enorme fascino e bellezza.
Sono state soprattutto le donne ad andare nelle profondità della terra per creare; devono cioè aver già percepito e realizzato una consapevolezza, ovvero il fatto che l’uomo ha nella propria mano la capacità di creare qualcosa che in natura non c’è. In una mano hanno il carbone, il colore e nell’altra hanno il fuoco, non possiamo dimenticare che la possibilità di non fuggire dinanzi al fuoco, ha permesso all’uomo non solo di riscaldarsi, ma soprattutto di illuminare. Dobbiamo immaginare il fascino di un pre-cinema all’interno di queste grotte, in cui oltre a realizzare le immagini, le pitture, c’erano le ombre dei corpi e il movimento stesso della fiamma, che dava quindi movimento alle immagini stesse.
Questo, come abbiamo visto da Herzog che porta la telecamera all’interno di Chauvet, ci ricorda un po’ come è andata agli inizi la storia del cinema: alla fine dell’Ottocento tante cose concorrono affinché il cinema possa nascere, ci sono gli studi della pittura, la prospettiva, c’è la lanterna magica, gli studi di fisiologia, ma finalmente quelle gambe che abbiamo visto anche a Chauvet cominciano a muoversi!
L’uomo ha questa grande possibilità inizialmente di potersi rispecchiare nel mondo, l’illusione che in quel momento si possa disporre di uno strumento che permette di realizzare, di percepire o di registrare quello che gli occhi vedono, tuttavia immediatamente dopo si comprende che quello non è il fine del cinema. Affinché possa nascere un linguaggio deve scomparire l’immagine retinica.
C’è un aneddoto con cui voglio chiudere. Pochi mesi dopo I’invenzione del cinematografo da parte dei fratelli Lumière, che permetteva di registrare e di proiettare immagini in movimento, George Méliès mentre sta filmando a Place de l’Opera, incorre in questo incidente: la macchina da presa si inceppa e poi riprende. Durante la proiezione comprende che l’immagine che stava filmando si è trasformata in qualcos’altro. Da lì parte l’idea del linguaggio del montaggio, ma parte anche l’idea che affinché possa nascere un’immagine mentale, qualcosa di artistico, deve sparire l’immagine retinica per aprire il campo ad una visione capace di andare al di là della percezione materiale e fisica degli oggetti. E questo è quello che vediamo dal parallelepipedo, il monolite nero di Kubrick, fino alle grotte di Chauvet, ma è anche tutto quello che ha rappresentato l’arte nella storia umana.
Concludo dicendo, per dare anche un aggancio al prossimo intervento di Gaia Ripepi: allora, se noi pensiamo di mettere in orizzontale quel monolite nero, quel parallelepipedo che cosa ci ricorda?
Gaia Ripepi
Grazie a tutti per questa giornata e per questo invito, io dovrei facilmente iniziare a parlare di quello che mi compete, cioè della nascita dell’architettura, però il titolo di questo convegno, che è intrigantissimo, mi ha portato in realtà a ragionare su che cosa vuol dire abitare la terra e sul modo del tutto particolare che l’uomo ha sempre avuto di abitare la terra e che lo diversifica da tutti gli altri essere viventi. E allora parto da tutt’altro punto, mostrando una immagine che è un monumento alla storia dell’umanità, perché raffigura la prima camminata dell’uomo: ci sono le impronte di due individui della specie Austrolopithecus, quindi parliamo di circa 3,75 milioni di anni fa, che camminano uno affianco all’altro, uno è più grande, uno più piccolo. E’ un’immagine poetica (fig. 4), forse di un uomo ed una donna o di un adulto ed un bambino, questo non lo sapremo mai, però in questa immagine si vede quello che probabilmente è stato il primo modo che l’uomo ha avuto di abitare la terra, cioè di camminare nel mondo e di lasciare un tracciato, che qui è rimasto ben impresso nella cenere di un sito in Tanzania.
C’è un architetto Francesco Careri[1] che ha scritto un libro intitolato “Walkscapes. Camminare come pratica estetica”, nel quale sostiene che camminare è stato per l’umanità la prima forma simbolica con cui trasformare il paesaggio. Del resto una delle principali caratteristiche dell’Homo Sapiens è stata quella di uscire dall’Africa e di esplorare il mondo su due piedi come ci hanno spiegato Pievani e Cavalli-Sforza[2]. Quello che mi preme sottolineare è che il costruire è solo una delle forme che ha l’architettura, perché in fondo anche oggi il nomadismo è un fenomeno presente in alcune culture ed in proposito voglio mostrare un’altra immagine tratta dal libro di un architetto, Ugo Tonietti, che si intitola “L’arte di abitare la terra”, nel quale sostiene che “l’architettura e l’abitare sono prima di tutto espressione di una fantasia che non ha bisogno di costruzione”[3]. Questa immagine ci mostra una moschea nel deserto del Tassili in Algeria, che i Tuareg nomadi hanno “costruito” semplicemente disponendo a terra una linea di pietre che delimita uno spazio, che diventa ovviamente uno spazio simbolico; quel tracciare una linea è già un fatto tutto umano, profondamente umano, perché la linea in natura non esiste, è solo l’uomo che gli da un senso, come nelle bellissime immagini che abbiamo visto prima dei dipinti nelle grotte: quella capacità di fare immagini attraverso la linea è propria dell’uomo.
A questo punto sarebbe giunto il momento di parlare della nascita dell’architettura, che poi mi riguarda più da vicino, perché si verifica in un punto preciso del mondo che è il Vicino Oriente, l’area di cui mi sono occupata nei miei studi. Il primo passaggio è l’uscita dell’uomo dalla grotta e questo momento può essere certamente messo in relazione con le immagini delle pitture rupestri, qualcosa di assolutamente inutile che l’uomo fa, spinto appunto da una esigenza tutta umana. Qualcuno si è chiesto, e forse non è un caso che si tratti di uno psichiatra, il Prof. Massimo Fagioli, perché l’uomo ha lasciato la caverna che in fondo era un posto sicuro, al riparo dagli attacchi degli animali, spingendosi verso l’ignoto e verso il pericolo? Questa azione, sostiene il Professor Fagioli è atto del tutto irrazionale, quindi la nascita dell’architettura sarebbe in realtà qualcosa di molto poco razionale.
Vorrei provare a parlare della nascita dell’architettura partendo da quella che è stata la mia esperienza diretta, perché per tanti anni ho scavato nel sito palestinese di Tell es-Sultan, la biblica Gerico, che ha tanti primati, tra cui quello di essere il luogo in cui sono stati rinvenuti i più antichi mattoni crudi della storia dell’uomo. Mi riferisco sia ai primissimi tentativi di realizzare mattoni di argilla con le mani risalenti a circa 12.000 anni fa, sia ai mattoni un po’ più recenti, per modo di dire perché risalgono al 7.500-6.000 a.C., che hanno invece delle caratteristiche più strutturate (fig. 5): hanno misure precise, dimensioni modulari che ne permettevano la messa in opera nel muro di testa e di taglio, tenendo anche in considerazione aspetti tecnici e problemi di staticità del muro, e hanno anche queste impressioni di dita a spina di pesce per permettere una migliore aderenza della malta che veniva stesa tra un filare e l’altro. Con questi mattoncini vennero costruite le prime capanne, prima quelle di forma circolare, poi quelle di forma quadrangolare, ma con questo mattoncino inizia una rivoluzione, che porta alla possibilità dell’architettura monumentale.
Quello che mi ha sempre colpito riguardo i primi mattoni realizzati dall’uomo sono due cose: la prima è l’idea, la genialità, lo scatto mentale che sta dietro la loro invenzione, per cui l’uomo inizia ad assemblare elementi per produrre qualcosa che in natura non esiste: acqua, terra e paglia mescolate insieme creano il mattone. La seconda cosa è che, durante lo scavo in Oriente, era difficilissimo distinguere i mattoni dalla terra polverosa del sito, e anzi i primi anni erano gli operai a fermarsi, evitando di distruggere un muro del 3.000 a.C.: loro erano molto più abituati di noi a riconoscerli, perché ancora oggi nell’oasi di Gerico si costruisce con il mattone crudo, peraltro con risultati di coibentazione eccezionali. E questo si lega al grande tema del convegno di oggi, quello della sostenibilità ambientale che nell’antichità era un dato di fatto, un ovvio. Un’esigenza imprescindibile, visto l’impatto smisurato dell’uomo moderno sull’ambiente, mentre nel passato era fondamentale utilizzare quello che la natura offriva, come ha sempre sostenuto F.L. Wright[4].
A Gerico, dove scarseggiavano pietra e legno, l’uomo ha costruito con il fango, ma quel primo grumo di fango e paglia ha reso possibile la costruzione di qualsiasi cosa. Nel giro di qualche millennio infatti sempre in questo angolo di mondo nascerà la prima città, circondata da mura che racchiudevano abitazioni, templi, edifici pubblici o religiosi. Ma è una società diversa, una società stratificata, dove iniziano le disuguaglianze sociali, ed in cui l’architettura diventa anche un atto politico, sociale ed economico. Alcuni sovrani per esempio, si faranno raffigurare come re-costruttore o re-architetto, come in queste immagini in cui un sovrano porta una cesta sulla testa, con il materiale edile per costruire i templi, o come in una delle statue di Gudea di Lagash, in cui il sovrano ha il progetto del tempio poggiato sulle proprie gambe.
Ma questa è tutta un’altra storia, lunghissima e molto affascinante; è soltanto uno dei modi che l’uomo ha avuto di fare architettura, se vogliamo anche il più recente perché in fondo l’uomo ha iniziato a costruire solo nell’ultima tacca della sua storia. Per concludere intendevo sottolineare che qualcos’altro ha sempre distinto l’uomo dagli animali nel suo modo di stare nel mondo; questo qualcos’altro è appunto il saper fare e concepire le cose inutili che però hanno anche permesso di realizzare delle cose incredibili.
E allora tornando alla camminata dell’inizio mi piace pensare che quei due uomini, quei due individui, non stavano scappando da qualcosa ma stavano invece muovendosi verso gli altri, come mi piace pensare che l’architettura sia nata proprio per questo, per stare insieme agli altri, sarebbe a dire che sono nate prima le case e poi le mura di difesa delle città.
Simona Maggiorelli: Vorrei sottolinearea un aspetto: riprendendo quello che diceva Gaia, oggi abbiamo parlato tanto di arte come esigenza interna, ma una esigenza fondamentale della nostra specie è anche quella di muoversi, di viaggiare, di incontrare il diverso da sé. In quest’anno di pandemia purtroppo la possibilità di spostamento fisico è stata estremamente limitata, per esempio c’è stato un blocco enorme dell’immigrazione e questo porterà conseguenze molto negative non solo per l’Africa, ma anche per l’Europa, la vecchia Europa che vive ed ha bisogno dell’incontro con giovani popolazioni per potersi rigenerare; trovo centrale questa idea di muoversi non solo per il bisogno ma per una esigenza di conoscenza e di rapporto con l’altro.
Flavio Trinca: innanzitutto vi ringrazio perché è stato veramente interessante seguirvi. Alcuni spunti: parto da quest’ultima fotografia e dalle sue figure, credo di riconoscere una popolazione nella quale mi sono imbattuto in Namibia, una popolazione che ha scientemente deciso di non confrontarsi con la modernità, vivono ancora in capanne costruite di legno e fango, percorrono molti chilometri per andare a raccogliere l’acqua, vivono nella loro serenità; questo mi è sembrato di riconoscere quando li ho visti e forse rappresentano l’altra faccia dello scimmione barbuto di cui parlavate, quello che in qualche modo ha dato luogo al primo apporto razionale che ha condotto alla costruzione del monolite, forse anche della città, ma non è lo stesso uomo che ha costruito le mura attorno alla città, non è lo stesso uomo che ha ucciso.
C’è una frase che avete detto all’inizio e che mi è piaciuta molto: gli uomini che dipingevano nelle caverne non le abitavano, quindi era una scelta irrazionale quella di incontrarsi in un luogo, anche a distanza di anni, di decenni, di secoli, per compiere un qualcosa di irrazionale, un rito, il sovrapporsi, proprio quello che noi oggi chiameremmo partecipazione; e tutto questo mi è sembra molto bello.
Ci avete dato già molti spunti di riflessione che spero potremo sviluppare durante la giornata, ancora grazie.
[1] “L’Alba dell’Uomo”, sequenza iniziale di “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick
[2] “Dalla mia terra alla terra”, di Sebastião Salgado e Isabelle Francq, Ed.Contrasto (2014)
[3] “Casa come me”, di C. Malaparte, in“Città come me”(in ‘Corriere della Sera’,1937- Mondadori 1991)
[4] “La grande cecità”, di Amitav Ghosh, Ed. Neri Pozza (2017)
[5] “Vedere come una città”, di Ash Amin e Nigel Thrift, Ed. Mimesis (2010)
[6] Stanley Kubrick, “2001: Odissea nello spazio” (1968), scena iniziale dell’Alba dell’uomo; Werner Herzog, “Cave of forgotten dreams” (2010), riprese della Grotta Chauvet in Francia; Mario Martone, “Il giovane favoloso” (2014), l’Infinito di Leopardi recitato da Elio Germano
[7] S. Maggiorelli. Attacco all’arte. La bellezza negata. L’asino d’oro Edizioni
[8] Careri 2006, 3-4.
[9] Cavalli Sforza – Pievani 2011, 32-36.
[10] Tonietti 2011, 173; fig. pag. 172.
[11] Il riferimento è ad una frase di F.L. Wright, “Una casa non deve mai essere su una collina o su qualsiasi altra cosa. Deve essere della collina, appartenerle, in modo tale che collina e casa possano vivere insieme, ciascuna delle due più felice per merito dell’altra.”
-Nell’immagine di copertina: Cueva de las Manos (Caverna delle Mani), Perito Moreno, Argentina