Il recente e, per certi versi, encomiabile e avviato “recupero” dell’edificio della GIL di Trastevere, opera complessa e nel contempo emblematica del giovane Moretti nell’ambito dell’Architettura italiana degli anni ’30 da parte degli Enti proprietari (Regione Lazio e Comune) e rimasto negletto per decenni, pone alcune osservazioni sulle scelte operate.
La facciata su via Induno infatti rimane completamente alterata e per così dire negata dalla installazione di luci colorate sulle parti vetrate, che tradiscono appunto l’impianto strutturale, ritmico e metafisico dell’idea originaria di Luigi Moretti. Il linguaggio architettonico viene ancor di più alterato dalla parziale occlusione a livello terra dell’angolo vetrato, punto di cerniera tra la facciata stessa e la torre dell’arengo, corpo assolutamente chiuso, prospiciente Largo Ascianghi e fortemente caratterizzante il contesto urbano, altrimenti assai modesto. Inoltre la realizzazione di un pilone in ferro di sostegno della nuova vetrata angolare fa sì che la partitura architettonica pensata da Moretti per la prima volta su questa scala, come “trasfigurazione materica” derivante dagli studi su Michelangelo Architetto, compiuti tra il 1927 e il 1931 che costituiscono le fondamenta culturali, ideali e umanistiche del suo essere Architetto, venga ad essere completamente annullata. Infine si evidenzia come il “recupero” stesso non sia stato concepito come organicamente unitario, che pure poteva essere possibile trattandosi di enti pubblici.
Ciò pone un problema di metodo e di approccio al recupero e restauro di questa tipologia di edifici di alta valenza artistica, peraltro largamente documentati in archivi pubblici e privati, al fine di comprendere non solo il progetto stesso ma soprattutto il significato “ideale”, che sostanzia la cultura architettonica che lo genera. Significato di primaria importanza per un Maestro dell’architettura moderna come Luigi Moretti. Nel caso in questione la documentazione progettuale è contenuta nel suo archivio personale, conservato e curato da chi scrive a partire dalla morte del Maestro.
Il contributo di 80 milioni di euro alla società Sport e Salute per il recupero, restauro e valorizzazione del complesso del Foro Italico pone appunto il problema della conoscenza storica e filologica del complesso medesimo tramite lo studio e la comprensione della documentazione archivistica, propedeutica alla progettazione definitiva dell’intervento.
Come noto, il complesso del Foro ha subito, a partire dagli anni’90 del secolo scorso, un progressivo deterioramento dello stato di conservazione, un’alterazione e pesante trasformazione, prima con l’abbattimento del vecchio stadio Olimpico, splendido catino a cielo aperto in dialogo con gli elementi naturali del contesto, quali appunto il cielo stesso, gli svettanti pini e il verde della prospiciente collina, poi con la impressionante costruzione “fuori scala” del nuovo, modificando in modo irreversibile il misurato rapporto “ecologico” tra il contesto antropico del Foro e la stessa collina di Monte Mario. In seguito la realizzazione del nuovo “centrale” del tennis ha di fatto interrotto quel complesso e unico sistema di “coni visivi” che erano alla base della progettazione originaria di Luigi Moretti.
Per dirla con lui stesso “cannocchiali ottici” in grado di realizzare non solo una sorta di urbanistica “spazio-visuale” in relazione con la parte limitrofa di città che in quegli anni si andava realizzando, ma altresì attuare quei “concetti di “simmetria” squisitamente morettiani, che “non sono mai stati intesi come pedante corrispondenza di particolari e di misure, ma piuttosto al modo ellenico di contrappunto musicale di masse, e di giusti rapporti volumetrici e cromatici”.[1]
Per comprendere il significato del rapporto di scala tra costruito, contesto naturale e i raffinati “cannocchiali ottici” di relazione spazio-visuale basterebbe studiare, su dimensione però più limitata, il complesso termale di Bonifacio VIII a Fiuggi.
Tuttavia è la Casa delle Armi che (insieme con la Casa del Fascio di Terragni) è assurta a livello mondiale della civiltà artistico-architettonica della modernità italiana, il punto più delicato e complesso dell’intero Foro.
La storia di abbandono e pesantissima manomissione credo sia ben nota a tutti.
È bene comunque metterne rapidamente in luce gli aspetti negativi salienti, quali l’occlusione e distruzione – come nell’ala della biblioteca – dei sistemi di luce nascosta e indiretta studiati da Moretti, della “luce” intesa “come materia prima e radice delle cose, come espressione fondamentale dello spirito”[2] e ripresi dalla “luministica” di Bernini, ad esempio nella cappella Cornaro, e dal Borromini nelle cappelle laterali di S. Giovanni in Laterano, concepite come “camere di luce”.[3]
L’occlusione totale degli spogliatoi degli accademisti alle spalle della sala della scherma, con la realizzazione di box ad uso ufficio, fa sì che la lettura della campata strutturale, lasciata a vista da Moretti, viene ad essere completamente tagliata e impedita.
La realizzazione nell’ala della biblioteca, totalmente svuotata al di sotto, di un insieme di “cubicoli” sorretti da una struttura a telaio in ferro, appoggiata peraltro alla originaria in cemento armato; la distruzione del soffitto con le sculture a stucco di Aliventi, anch’esso fonte di luce nascosta, sostituito da cupole in plexiglass trasparente, pone una serie di complessità filologiche per il recupero dell’edificio.
Tutta una serie di principi architettonici studiati da Moretti che costituiscono proprio quel significato ideale e culturale metastorico, di cui prima si diceva, una reinterpretazione e nuova creazione di valori linguistici ed espressivi, quale ad esempio lo svuotamento spaziale della materia superflua, ripreso da Michelangelo, vengono ad essere completamente obliterati.
Altre osservazioni potrebbero essere aggiunte, come il corretto restauro del rivestimento marmoreo e lo stato di abbandono in cui versa il pavimento musivo, disegnato da Moretti stesso nello snodo angolare, nonché l’inscatolamento della scala elicoidale, spazialmente aerea, nell’atrio e l’obliterazione totale dell’affresco a tutt’altezza di Achille Capizzano. Infine l’impattante occlusione a livello terra del collegamento aereo tra i due corpi di fabbrica, forma pienamente plastica, vibrante nell’aria e sospesa nello spazio, fa sì che tale suggestione espressiva ed iconica venga ad essere annullata, interrompendo altresì il “cannocchiale ottico” tra il Foro e le pendici di Monte Mario.
Per la Casa delle Armi si pone quindi un problema assai difficoltoso di restauro artistico, architettonico e statico, tale da restituire una “rappresentazione” della “civiltà estetica”, come prima si diceva, italiana e non solo, che costituirebbe già di per sé una emblematica funzione.
Il rischio evidente è che Luigi Moretti rimanga obliato per sempre.
Tommaso Magnifico
Architetto
Archivio Moretti Magnifico
[1] IL FORO MUSSOLINI: IV FORMA ULTIMA FORI, pag.39. Valentino Bompiani Editore in Milano; Edizione a cura della Presidenza Centrale dell’Opera Balilla, 20 settembre 1937 XV.
[2]Luigi Moretti: Spazi – luce nell’architettura religiosa. “Spazio” fascicoli, 1962.
[3] Paolo Portoghesi: “Attualità di Borromini”, pag.62. Architetti Roma edizioni e MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo. Giugno 2021
Immagini © Archivio Moretti Magnifico – Digitalizzazione Ordine degli Architetti P.P.C. di Roma e provincia – Materiali presenti nella collezione MAXXI Architettura – Museo nazionale delle arti del XXI secolo