Appunti sul restauro della villa “La Saracena” di Luigi Moretti – di Paolo Verdeschi
La prima questione nell’affrontare il restauro della villa “La Saracena” è stata quella di individuare il corretto e adeguato iter metodologico. Il dibattito nell’ambito del restauro del moderno è molto attivo e vario con numerosi interventi compiuti su importanti opere d’architettura. Esempi utilissimi ma sempre legati all’unicità dell’opera (caso per caso), alla sua storia, alle sue caratteristiche costruttive e allo stato di degrado. Sono sempre criteri, principi e postulati del restauro moderno, criticamente e scientificamente inteso, corrispondenti a quelli elaborati per il tradizionale intervento conservativo dei monumenti: distinguibilità, minimo intervento, potenziale reversibilità, rispetto dell’autenticità e della materia antica, compatibilità fisico-chimica delle aggiunte, riconoscimento sotto la duplice istanza estetica e storica dell’opera.
Nel caso della villa “La Saracena” questi principi sono stati adottati associando il tipo d’intervento alle varie parti da restaurare.
Restauro conservativo:
– Intonaci esterni distaccati (analisi chimica, studio della tecnica di realizzazione, pulitura, consolidamento delle parti distaccate, reintegrazione delle parti mancanti con gli stessi materiali);
– Infissi esterni, finestre e persiane (analisi dello stato di degrado, pulitura, ove possibile reintegrazione delle parti marcite con impiego del legno di recupero delle finestre del salone, verniciatura. Pulizia della ferramenta (maniglie, cerniere, serrature);
– Consolidamento delle pavimentazioni interne (distacco dal massetto);
– Restauro del mobilio della cucina.
Ripristino delle parti distrutte secondo progetto originale:
– Sostituzione di tutta la struttura portante delle finestre e velette del salone-promenade;
– Ricostruzione delle velette come da progetto originale;
– Rifacimento di tutte le finestre del salone come da progetto originale.
Ripristino, secondo verosimiglianza, delle parti distrutte:
– Rifacimento della pensilina fronte mare.
Reintegrazione dei colori originali scoperti durante i lavori:
– Corrimano scala;
– Pareti piano terra;
– Pareti piano interrato.
Il lavoro è stato segnato da alcune sorprese, la prima delle quali è giunta dall’Archivio dell’Ufficio Tecnico del comune di Santa Marinella durante il reperimento della documentazione edilizia. La licenza edilizia del 1955 (immagine 1) era riferita al primo dei cinque progetti redatti in corso d’opera da Moretti, giacché le successive varianti non erano mai state presentate per l’approvazione (2). Pertanto, dal punto di vista urbanistico, “La Saracena” si presentava un immobile irregolare sotto l’aspetto edilizio e, proprio perché vincolato, non avrebbe potuto essere sanato tramite le attuali procedure di regolarizzazione urbanistica. La seconda sorpresa, inoltre, è stata un prezioso ragguaglio fornito da un anziano tecnico del Settore edilizia privata del Comune, il quale ebbe a riferire che nel 1985 era stata presentata una domanda di condono edilizio dai secondi proprietari della villa. Rinvenuta la pratica e ottenuta la concessione edilizia in sanatoria, tutti gli uffici competenti, fino alla Capitaneria di Porto di Civitavecchia, hanno approvato il progetto edilizio di restauro conservativo.
Avviati i lavori, le scoperte non erano terminate. L’aspetto più rilevante di questo restauro è stato il rinvenimento di diverse colorazioni nella villa, soprattutto sulle superfici delle pareti interne. Il solo colore evidente era il rosso, sulla struttura portante della veletta e delle finestre (3). Successivamente, iniziati i lavori, sono apparse, sotto gli strati delle tinteggiature sovrapposte negli anni, coloriture del tutto inaspettate: il rosa di tre tonalità, il rosso corallo, il verde acqua.
Nel piano seminterrato, asportata la tinta bianca dalle murature, si è scoperto che le pareti, i soffitti e anche l’esterno della parete (dove è collocata la porta d’ingresso) erano tinteggiati di rosa (4), colore rinvenuto anche sulla colonna posta a reggere il cancello di accesso alla rampa stessa del garage.
Al piano terra, inoltre, sono state individuate altre due tonalità di rosa. La prima, più tenue di quella del piano interrato, copriva tutto il muro sotto le finestre (5-6), mentre il muro divisorio (pianta immagine 8, rif. immagine 7) tra la galleria e la porta a vetri affacciata sul giardino a mare, era di un colore tendente all’arancione-salmone (7-7a-7b). Sono state altresì individuate tracce dello stesso colore sul muro sottostante le finestre della galleria, sotto l’intonaco ma in esterno (9-10). Oggi è difficile immaginare questi colori soprattutto nella parte esterna della Saracena vista l’immagine ormai consolidata del tutto bianco. Il colore corallo, infine, è stato individuato sotto tre strati di vernice sul corrimano della scala (11).
Il primo interrogativo è stato quello di verificare se il bianco che aveva ricoperto tutti questi colori fosse una scelta in corso d’opera di Moretti oppure una ricopertura fatta eseguire dai vari proprietari succeddutisi nel corso degli anni. L’ipotesi che non si trattasse di successivi ripensamenti è stata formulata sin dall’origine, giacchè la villa presentava svariati colori: la fòrmica celeste e color burro dei mobili della cucina (12-13), alcuni dei quali in restauro; i divani, rosa all’ingresso, verde salvia, arancione e senape nel salone (14), fino alle guarnizione in velluto rosso delle porte delle quattro camere da letto della torre (15); il verde chiaro delle porte delle camere dei figli dei proprietari (16), identico a quello dei supporti delle cerniere del cancello della Falkenstien (17) e sulla traversa del portone d’ingresso (18). Infine anche alcuni elementi in vetro (19-a,b), le pavimentazioni e i rivestimenti dei bagni presentavano colori differenti, a volte tenui, a volte cangianti: il che rafforzava l’ipotesi suddetta (20,a,b.c,d,).
Moretti aveva scritto nel 1950 sulla rivista Spazio il saggio sui colori di Venezia, e in molte sue opere ha utilizzato dei colori per evidenziare degli elementi architettonici. Nella palazzina del Girasole, visitata durante i lavori di ristrutturazione di un appartamento, si poteva vedere sotto la vernice di un pilastro una colorazione arancio, mentre i pavimenti in marmo e alcuni rivestimenti dei bagni volgevano al rosa. Il corrimano della scala della ex GIL di Piacenza era rosso. Che queste colorazioni potessero essere originali lo supporta la scala e le porte della Villa “La Califfa” di colore arancione (21). Come che sia, in mancanza di qualsivoglia sostegno documentario, durante il procedere dei lavori si è deciso, pur con una certa qual riluttanza, di ricoprire con una tinta bianca le colorazioni rinvenute.
Quando il restauro ormai volgeva al termine, dopo quasi quattro anni di lavori, è giunta, inattesa, la conferma delle ipotesi avanzate. Diego Pignatelli Cortes D’Aragona, figlio dei primi proprietari, inizialmente cercato senza esito, stimolato dalle pubblicazioni sul restauro della “Saracena”, tornata a nuova vita, si è recato a visitarla, confermando tutte le colorazioni ritrovate; parimenti la sorella, Fabrizia Pignatelli, ha confermato il verde acqua della scultura-cancello (17) della Falkenstein e il rosso corallo del corrimano della scala (11). Dopo tali conferme, ha avuto inizio il restauro del piano seminterrato. La tinta originale, ripulita dalle varie sovrapposizioni, si presentava a “pelle di leopardo”, sicché, grazie alla campionatura delle parti più integre con la lettura del colorimetro, si è giunti a riprodurre la colorazione originale (22, 22a).
Il restauro della “Saracena” ha dato comprensibilmente origine a contrastanti emozioni sin dal primo sopralluogo, che ha posto in luce uno scatolone fatiscente (23), ben lontano dalle immagini pubblicate. Lo stato di degrado, in particolar modo della promenade-salone, era al limite del collasso (24). Il primo lavoro, ancora prima di definire il progetto degli interventi di restauro, è consistito pertanto nella messa in sicurezza di tutte le coperture (25-26) che dal giardino “Le fauci”, attraverso la promenade, portano al mare.
Il lavoro successivo ha invece interessato il ripristino delle velette orizzontali, della promenade-salone e della relativa struttura portante. Ciò che rimaneva di questo elemento architettonico non si prestava ad alcun intervento di restauro conservativo perché completamente eroso e pericolante (peraltro un precedente consolidamento, teso a scongiurare il pericolo di un crollo, aveva contribuito a peggiorarne lo stato). Erroneamente era stato supposto che la veletta, realizzata con un impasto di malta bastarda e inerti, armata da un’intelaiatura di tondini di ferro (27) il cui peso complessivo si aggirava intorno ai 70kg/mq, fosse agganciata al solaio. Per sostenerla erano state impropriamente inserite delle barre di ferro (27a). Questo lavoro aveva finito per provocare ulteriori danni, quali fenomeni di schiacciamento e di inclinazione della muratura sottostante, dovuti alle escursioni elastiche del solaio fortemente aggettante (28). Inoltre la veletta, orizzontale, era sostenuta da una struttura composta di travetti verticali in ferro reticolari, che agivano da controtelai delle finestre (29-29a,29b), e aveva altresì funzione di controventatura. Questi travetti verticali s’innestavano nel soprastante solaio con giunti a innesto maschio-femmina (30).
Nel corso della demolizione si è poi constatato che la veletta sottendeva un ripensamento in corso d’opera (31) inerente alla finitura finale interna dell’intonaco, inizialmente liscia, poi a sbruffatura leggera. L’ultimo strato, in argilla espansa, faceva parte dell’intervento di consolidamento cui si è accennato in precedenza. L’intervento è consistito nel ripristino secondo il progetto originale: tutta la vecchia struttura di ferro è stata demolita e sostituita con altra analoga, riprogettata in ferro zincato e più solida (33, 33a). Sono stati costruiti i giunti di scorrimento in acciaio AINSI 316 (34), mentre la veletta è stata realizzata con un pannello di poliuretano espanso, ricoperto con intonaco sbruffato (35, 35a). A distanza ravvicinata si può notare la differenza materica della superfice che consente di distinguere il nuovo materiale da quello precedente.
Terminato questo lavoro, ricollocata esattamente tutta la struttura (saldata a quella originale in fondazione, ancora in buono stato (36), si è potuto dare inizio al lavoro sulle finestre, con le misure esatte delle larghezze (peraltro tutte differenti). Anche questa fase ha riservato una sorpresa: dato il pochissimo gioco tra i montanti, meno di un centimetro, e con la struttura dei ferri a doppio T, non risultavano chiare le modalità di montaggio delle finestre. Smontandole, si è compreso che erano state assemblate direttamente tra i travi, infilando prima la traversa bassa orizzontale, poi i due verticali con le cerniere per le ante e, a chiudere, la traversa superiore. Nella convinzione che questo sistema, nel caso di smontaggio per manutenzione di qualche finestra, fosse alquanto macchinoso e soprattutto di scarsa tenuta, si è realizzata la costa interna con un ferro piatto smontabile, consentendo così alle finestre di essere installate già montate. Tutti gli infissi, infine, sono stati rifatti come gli originali, prendendo a modello sia quelli esistenti sia i disegni originali.
Terminata la struttura, si è affrontato il lavoro di ricostruzione della pensilina, posta alla fine del salone. Questo importantissimo elemento architettonico, forse riferito alle alberature di una barca a vela, terminava e completava poeticamente “La Saracena” protendendola verso il mare. Crollata a pochissimi anni dalla costruzione, certamente era stata realizzata in maniera non adeguata a sostenere l’aggressività degli agenti atmosferici e, soprattutto, il vento che soffia a Capo Linaro. La pur attenta ricerca documentaria non ha condotto al rinvenimento di alcun disegno esecutivo né di fotografie che consentissero di verificare come fosse stato fatto l’attacco dei travetti alla struttura e come fossero articolati gli stralli per sostenerli.
Nella planimetria questa pensilina-pergola appare nella quarta versione (37), mentre nella quinta, quella definitiva, non è più riportata. In sezione essa appare in tre disegni (38-38a-38c), ma senza quote e senza indicazione sui materiali; inoltre ciò che è rimasto degli attacchi non permetteva una lettura attendibile del sistema originale di ancoraggio (39). In questo caso il restauro è stato fatto in base al criterio della verosomiglianza, sulla base della documentazione fotografica pervenuta (40-40a). Il dimensionamento dei travetti è stato fatto tramite una serie di comparazioni e di sovrapposizioni, riportando in scala le fotografie dell’epoca (41). Il sistema di attacco alla struttura e delle strallature è stato riprogettato (42-42a), sempre sulla base del criterio della verosimiglianza, muovendo dalle immagini fotografiche e tenendo nel debito conto le esigenze strutturali. A questo riguardo mette conto notare che sia gli agganci sia la lamiera sulla quale questi ultimi erano posizionati erano di colore rosso (43-43a).
Contestualmente agli altri lavori, si è affrontato il restauro degli intonaci esterni. Dall’analisi visiva delle lacune (44) e dalla conferma dell’analisi stratigrafica (44a) sono giunte tutte le informazioni sul sistema di colorazione adottato per le superfici esterne. Per realizzare le scelte formali della villa (principalmente nella parte della “torre”, con gli angoli arrotondati, e della pensilina d’ingresso, tonda e con modanature), sulla muratura grezza è stato dato un primo strato d’intonaco a rinzaffo, senza sbruffatura, a base di calce, cemento e pozzolana rossa, steso con fratazzo di legno, così da dare origine a superfici perfettamente piane e regolari. Poi è stato steso un modesto spessore a base di sabbia e cemento Portland, utilizzato come Primer ancora umido per la posa a sbruffo di un corposo strato d’intonaco. Quest’ultimo, ancora umido, è stato ricoperto da “glassa” bianca composta di polvere di marmo, grassello e una piccola parte di cemento bianco (44a). Per la stesura di quest’ultimo strato si sono avvalsi di piccole scope di saggina, non come pennelli ma a getto di malta bianca, ben aggiustata nella densità.
Lo stato del degrado deriva, oltre che dalla vetustà, dalle seguenti cause: mancanza di manutenzione per prevenire le infiltrazioni d’acqua piovana, assenza della sbruffatura di supporto sotto il primo strato d’intonaco, non perfetta tenuta del secondo strato utilizzato come Primer, tinteggiatura con vernici plastiche non traspiranti date nel corso degli anni (due volte). Il restauro conservativo è consistito nell’asportazione degli strati di quarzo plastico e nell’eliminazione dei depositi di sporcizia e soprattutto della salsedine. Le reintegrazioni delle parti mancanti sono state eseguite con gli stessi materiali, malta di calce idraulica, pozzolana e cemento Portland, mentre il consolidamento degli intonaci distaccati è avvenuto tramite iniezioni (45). Per quanto, infine, riguarda il colore dello strato finale, la “glassa” bianca, poiché il fondo originale era coeso, liscio e impermeabile, si è reso necessario dare un aggrappante per la copertura con una scialbatura (45a) con prodotti a base di calce.
Il grottone che dalla villa dà accesso al mare è stato ripulito dal materiare di scarto depositato abusivamente, questo ha permesso di rinvenire un piatto doccia in mosaico (46) realizzato in opera di cui non si conosceva l’esistenza. Successivamente sono state consolidate le pietre che rivestono la parte intradossata della volta in cemento armato. Il bellissimo cancello-scultura di Claire Falkenstein (47) andato completamente perso a causa dell’erosione degli agenti atmosferici è stato reinterpretato dall’architetto Costanza Magli (48).
Paolo Verdeschi
Architetto, ha realizzato il restauro della Villa “La Saracena” di Luigi Moretti
Collaboratori
Flavio Fiorucci, Giulio Valerio Mancini (autore delle foto), Giulia Seppiacci
Inizio lavori, giugno 2016; fine lavori marzo 2020.
Progettisti: Arch. Paolo Verdeschi con: Arch. Flavio Fiorucci, Arch. Giulio Valerio Mancini, arch. Giulia Seppiaci.
Proprietà: Eleonora Cecconi
Il restauro della Villa “La Saracena” è candidato al “Docomomo Rehabilitation Award” 2021, che mira a evidenziare progetti eccezionali di restauro, ristrutturazione, conservazione e riutilizzo adattivo intrapresi su opere del Movimento Moderno in tutto il mondo, tra gennaio 2010 e dicembre 2021.
Paolo Verdeschi è autore del libro: “La Saracena”, CSA Editrice, 2017
Il volume è ora disponibile anche in formato eBook: