Per l’assegnazione del premio Pritzker alla coppia francese formata da Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal spicca, tra le motivazioni della giuria, il valore di un’azione sistemica, rintracciata nel metodo e nelle realizzazioni dello studio, capace di riflettere e interpretare pienamente lo spirito democratico dell’architettura.
Come in una sorta di mantra ininterrotto e coraggioso, Lacaton e Vassal hanno sostenuto, nell’intero corso della loro ormai trentennale carriera, un approccio alla professione che è prova d’impegno su più fronti, in primo luogo nell’ambito della rigenerazione del patrimonio costruito in maniera innovativa, tecnologicamente avveduta ed ecologicamente responsabile. Non solo lo studio ha definito un metodo capace di reiterare, senza nostalgia, il legame con il movimento moderno, ma ha proposto e precisato a più riprese un rinnovato e più esteso significato dell’esercizio della professione. “Le speranze moderniste di miglioramento diffuso delle condizioni di vita hanno ripreso vigore nella loro attività, integrandosi con le sfide ambientali ed ecologiche emerse nel nostro tempo, come anche con le urgenze sociali, in particolare nell’ambito dell’abitare urbano”.
Questo metodo ha consegnato alle città una serie di spazi pubblici, di edifici residenziali e culturali, attraverso cui gli architetti hanno costantemente indagato ed esteso il concetto di sostenibilità quale concreto equilibrio tra fattori economici, ambientali e sociali; il loro lavoro si manifesta in una serie di costruzioni orientate da un forte senso di responsabilità, pienamente declinato secondo ognuna di queste tre dimensioni.
Nell’attento lavoro di analisi che precede ogni azione progettuale, Lacaton e Vassal riesaminano con perizia ciò che già esiste e, con una sorta di reverenza verso le strutture disponibili, elaborano un’architettura capace di reinventare drasticamente ciò che già è costruito. “Trasformare è un’opportunità per fare di più e meglio attraverso quello che già c’è. La demolizione è una decisione di comodo, una soluzione a breve termine. È uno spreco di molte cose: spreco di energia, di materiali, di storia. Per di più la demolizione ha un forte impatto sociale. Per noi rappresenta un atto di violenza”. Con l’adesione ferrea al principio che nega l’abbattimento come possibile avvio di un’opera, Lacaton e Vassal hanno intrapreso numerosi interventi non aggressivi, attraverso i quali hanno saputo aggiornare radicalmente strutture datate e, nei casi di complessi abitativi, lo hanno fatto senza incidere su regimi proprietari esistenti e sulle abitudini dei residenti.
Nel 1993, nella Latapie House a Floirac, in Francia, hanno concepito ex-novo un’abitazione monofamiliare a basso costo, in cui metà del volume costruito era costituito da una serra solare: uno spazio trasparente e luminoso per dilatare la superficie residenziale e allo stesso tempo migliorarne le prestazioni in termini di efficienza energetica.
A una scala molto più estesa la trasformazione della Tour Bois le Prêtre nel 2011, a Parigi, agisce secondo lo stesso principio. L’edificio di 17 piani, costruito originariamente nel 1960, è trasfigurato attraverso la rimozione della facciata in cemento e l’aggiunta di una serra bioclimatica ad ognuna delle 96 unità residenziali. I soggiorni delle abitazioni si estendono nelle nuove terrazze giustapposte, dando luogo a spazi ampi e flessibili in cui le ridotte aperture della preesistenza sono rimpiazzate da ampie vetrate, che concedono ai residenti una vista allargata sulla città.
Proprio il nuovo panorama, disponibile dall’interno delle abitazioni di edilizia popolare, è metafora di un iter di progettazione che non ha origine nell’immagine esterna dell’edificio, nella ricerca di una sua forma ammiccante alla città, ma che scaturisce dall’interno, dalle aspirazioni degli abitanti e dalla riaffermazione dei loro desideri e diritti.
Come afferma Jean-Philippe Vassal “una buona architettura è aperta alla vita, aperta ad assecondare la libertà di ciascuno, è il luogo in cui ognuno può fare ciò di cui necessita” e ancora, “una buona architettura non è dimostrativa o assertiva, è piuttosto qualcosa di familiare, utile e bello, capace di supportare silenziosamente la vita che si svolge al suo interno”.
Il dispositivo della serra addossata ritorna in molte delle loro architetture, rielaborato in maniera personale come strumento funzionale e tecnologico ma anche come elemento tipico di un linguaggio che rifugge l’inefficienza, l’inutile dispendiosità, a favore di un vocabolario essenziale ma allo stesso tempo fortemente incisivo in termini espressivi.
I giardini d’inverno, a metà strada tra loggia e stanza abitabile, costituiscono una sorta di buffer-zone applicata come nuovo spessore di facciata in molti dei loro interventi su edifici residenziali preesistenti: il semplice strumento di controllo ambientale è al contempo materia, forma e disegno di prospetto.
Questa soluzione è ribadita ancora nella trasformazione dei 530 appartamenti del complesso Grand Parc, a Bordeaux, nel 2017, con la completa e pesante rivisitazione della struttura attuata senza dislocare nessuno degli abitanti e con un budget pari a un terzo di quanto sarebbe costato un intervento di demolizione e ricostruzione.
Un simile approccio si ritrova nelle architetture non residenziali: la trasformazione del Palais de Tokyo di Parigi, tra il 2012 e il 2014, rifuggendo il principio delle gallerie asettiche e dei percorsi guidati caratteristici di molti musei contemporanei, predispone imponenti vuoti, permeati da un’estetica del non-finito, per concedere massima libertà di allestimento ad artisti e curatori e una conseguente esperienza di fruizione sempre diversa ai visitatori.
Nell’edificio FRAC a Nord-Pas de Calais del 2013, collocato su una banchina del porto di Dunkerque e destinato a ospitare collezioni di arte contemporanea, la preesistenza di un padiglione portuale postbellico si riflette in un nuovo edificio accostato, che ne ricalca con esattezza volumi e fattezze. Piuttosto che rinunciare all’impressionante vuoto dell’edificio esistente, gli architetti realizzano un secondo volume, improntato sulla leggerezza, la trasparenza, l’ampio uso della prefabbricazione, per ospitare gallerie, uffici, depositi e collezioni e lasciare inalterato e libero il mastodontico e suggestivo volume del vecchio hangar, disponibile per allestimenti e usi variabili.
L’École Nationale Supérieure d’Architecture di Nantes, del 2009, incarna perfettamente questa idea di libertà di utilizzo. La scuola si compone attraverso un susseguirsi di spazi flessibili, in cui le funzioni sono deliberatamente non prescritte e le superfici adattabili. L’auditorium si apre sulla strada, la generosità dell’interpiano genera spazio necessario ai laboratori di costruzione, persino la rampa che conduce in copertura è concepita come superficie multiuso disponibile all’interpretazione degli abitanti.
C’è un senso di umanità e d’intelligente modestia in un simile approccio, capace di rispettare le intenzioni di un progetto originario, quando presente, e di mettere al primo posto le aspirazioni degli odierni o futuri occupanti. C’è la convinzione che fare architettura non significa solo costruire edifici ma anche e soprattutto immaginare la vita all’interno di essi.
Come afferma Alejandro Aravena, presidente della giuria in questa edizione del premio, “Lacaton e Vassal sono radicali nella loro delicatezza e coraggiosi nella loro austerità, capaci di bilanciare un rispettoso ma allo stesso tempo diretto e incisivo approccio nella trasformazione dell’ambiente costruito”.
Leila Bochicchio, Redazione AR Web